Francesco Maselli, il regista che attraversò da coprotagonista più di mezzo secolo di cinema italiano - HuffPost Italia

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Francesco Maselli, il regista che attraversò da coprotagonista più di mezzo secolo di cinema italiano

 Francesco Maselli, il regista che attraversò da coprotagonista più di mezzo secolo di cinema italiano

Il 21 marzo 2023 ci lasciava Francesco Maselli detto Citto, un regista che attraversò da coprotagonista più di mezzo secolo di cinema italiano. La sua figura rimase sempre un poco in ombra forse a causa dei suoi titanici maestri Michelangelo Antonioni e Luchino Visconti, ma anche perché il destino cinematografico volle che al momento della sua possibile definitiva affermazione, il vento della storia gli voltasse le spalle.

Per essere un comunista, Maselli non aveva certezze granitiche e infatti lungamente il suo cinema oscillò tra opzioni divergenti, saltellando dal severo “Gli indifferenti” (capolavoro del 1964 che esemplifica compiutamente il suo esistenzialismo comunista, anche grazie alla fotografia sottoesposta di Gianni Di Venanzo) alle curiose commedie americane “Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo!” e “Ruba al prossimo tuo…”.
 
Nel 1986 Maselli presentò alla mostra veneziana “Storia d’amore”, che ottenne il Gran Premio della Giuria e la Coppa Volpi per l’intensa interpretazione della giovanissima Valeria Golino. Il cinema maselliano sembrò entrare in una fase nuova, coniugando originalmente intimismo e lirismo, con un occhio aperto sulla realtà dell’emarginazione sociale. Seguirono “Codice privato”, “Il segreto” (un capolavoro misconosciuto, con una magnetica Nastassja Kinski e un Franco Citti che sorprende) e lo sfortunato “L’alba”, film interamente girato in una stanza d’albergo che non entusiasmò la critica e che in qualche modo finì per segnare una battuta d’arresto per i sogni di gloria di Francesco Maselli.
 
A me “L’alba” sembra un ottimo film: un’opera all’altezza del grande cinema europeo dell’epoca, di poche parole e di gesti significanti, di suggestiva atmosfera e di sensato rigore. Un film di puro stile. Purtroppo all’inizio degli anni Novanta il gusto cinematografico registrò un profondo mutamento: basta atmosfere, basta sguardi personali, al cinema d’autore si chiedeva di virare verso racconti più lineari.
 
Prendendo a pretesto polemico le masturbazioni stilistiche di qualche giovane pretenzioso, si inneggiò al ritorno della sceneggiatura di ferro. Le buone sceneggiature avrebbero dovuto scacciare la noia, invece da trent’anni ci annoiamo guardando sceneggiature illustrate e qualche osannato spettacolo di esibizionismo registico spacciato per autorialità, senza quell’organicità espressiva maselliana in cui lo stile e l’azione psicologica si fondono in una cosa sola.
 
Francesco Maselli si rifugiò nella propria ombra: continuò a girare film problematici, continuò a interrogarsi sulle ipocrisie della sinistra, continuò a professarsi comunista. Non volle fare come i suoi colleghi che, dopo avere cavalcato l’onda comunista, con disinvoltura si risvegliavano democratici. Amen.

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