La storia del jazz dall’origine ad oggi attraverso l’evoluzione degli stili. Un viaggio musicale tra nomi di grandi musicisti e album famosi alla scoperta delle caratteristiche e delle trasformazioni di uno dei generi più amati e influenti della storia della musica

La storia del jazz ha radici profonde nella cultura afroamericana e si è sviluppata nel corso del XX secolo attraversando diverse fasi e stili. Il jazz è considerato uno dei generi più innovativi e originali della musica moderna, capace di esprimere emozioni, sentimenti, improvvisazione e creatività ma anche la voglia di emancipazione dei neri americani oppressi dalla segregazione razziale e dalla povertà.

La storia del jazz corre parallela all’evoluzione della società americana da un punto di vista artistico, culturale e sociale. Ma come è nato questo genere,  quali sono state le sue principali influenze e i suoi protagonisti? Quali sono le caratteristiche distintive dei suoi principali stili? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande, ripercorrendo tutta la storia dalla sua nascita fino ai giorni nostri.

Indice

Origini del jazz: dalla schiavitù alla libertà

Il jazz nasce dalla fusione di elementi musicali provenienti dall’Africa e dall’Europa, portati in America dai colonizzatori e dagli schiavi. Gli schiavi africani, privati della loro lingua e della loro cultura, usavano la musica come forma di comunicazione, resistenza e espressione della loro identità. La musica africana era basata sul ritmo, sulla poliritmia, sulla percussione, sull’improvvisazione e sulla partecipazione collettiva.

La musica europea, invece, era basata su melodia, armonia, notazione musicale e forma. Queste due tradizioni musicali si incontrarono e si mescolarono in America, dando origine a nuovi generi come il blues, il gospel, il ragtime e infine il jazz. Il blues considerato il genere madre della storia del jazz, è una forma musicale che esprime sentimenti di tristezza, dolore, nostalgia e protesta degli afroamericani.

Il blues si basa su una struttura armonica semplice, composta da dodici battute suddivise in tre frasi di quattro battute ciascuna e utilizza una scala particolare, detta “blues scale”, che altera alcune note della scala maggiore o minore con le “blue notes”, ovvero delle note abbassate o alzate di un semitono. I brani sono caratterizzati dalla ripetizione e risposta tra voce e strumento e dall’improvvisazione.

Il gospel, sempre prendendo modalità armoniche simili al blues, esprime la fede religiosa degli afroamericani e deriva dagli spirituals, ovvero dei canti religiosi che gli schiavi cantavano durante le funzioni cristiane o nelle piantagioni. Se la struttura armonica del gospel è semplice e simile a quella del blues, la ritmica è più veloce e sostenuta e al posto di un semplice accompagnamento di piano e chitarra, aggiunge anche l’uso dell’organo e del coro.

Il ragtime è la musica per pianoforte che i pianisti suonavano nei saloon, nei bordelli e nei teatri. In questo caso i brani diventano più complessi sia dal punto di vista armonico, melodico che ritmico. Nell’improvvisazione le scala blues e pentatoniche vengono affiancate dalla scala “cromatica”, composta da dodici note. La ritmica invece è sincopata, ovvero sposta l’accento dalla battuta forte a quella debole.

Il primo jazz: New Orleans e Dixieland

Dalle origini del blues, la storia del jazz comincia nella città di New Orleans, nel sud degli Stati Uniti, dove si incontrano e si mescolano le culture di diversi popoli: francesi, spagnoli, inglesi, creoli, africani, caraibici. In questo contesto multietnico e multiculturale, nasce una nuova musica che riflette la varietà e la vitalità di questa società. Dentro c’è anche la voglia di emanciparsi dei musicisti neri americani, da sempre segregati e vissuti in condizioni povertà.

Dal punto di vista musicale il jazz fonde il ritmo, la poliritmia e il canto di generi come blues, gospel e ragtime con elementi della musica europea, soprattutto quella delle bande militari e delle marce. Il primo stile di jazz che si afferma è il Dixieland, chiamato anche New Orleans o Traditional, basato sull’improvvisazione collettiva dei musicisti, che suonano insieme senza seguire una partitura scritta, ma seguendo una struttura armonica comune.

Gli strumenti tipici del Dixieland sono la tromba, il clarinetto, il trombone, il banjo, il pianoforte, il contrabbasso e la batteria. La tromba ha il ruolo di guidare la melodia principale, mentre il clarinetto e il trombone creano delle variazioni e dei contrappunti. Il banjo, il pianoforte, il contrabbasso e la batteria formano la sezione ritmica, che sostiene e accompagna gli altri strumenti.

Tra i primi esponenti del Dixieland ci sono i musicisti della Original Dixieland Jass Band, che nel 1917 registrano il primo disco di jazz della storia: “Livery Stable Blues”. Altri pionieri del Dixieland sono King Oliver e la sua Creole Jazz Band, nella quale suona anche il giovane Louis Armstrong, destinato a diventare uno dei più grandi e influenti musicisti jazz di tutti i tempi.

Il Dixieland raggiunge il suo apice negli anni ’20 e ’30 del XX secolo, quando si diffonde in altre città americane come Chicago e New York. In queste città nascono nuove forme di jazz che si distaccano dallo stile tradizionale di New Orleans. Il Dixieland continua però a essere suonato da molti musicisti che ne conservano lo spirito originario e lo arricchiscono con nuove influenze. Tra questi ci sono Jelly Roll Morton, Sidney Bechet, Bix Beiderbecke e i fratelli Dorsey.

Il jazz di Chicago, New York e lo swing

Dopo il successo del Dixieland a New Orleans, la storia del jazz procede trasferendosi nelle grandi città del nord, dove incontra nuove influenze e pubblico. A Chicago, si arricchisce di elementi blues e ragtime, grazie a musicisti come Louis Armstrong, King Oliver e Jelly Roll Morton, mentre a New York diventa più sofisticato e orchestrale, con l’apporto di compositori e arrangiatori come Duke Ellington, Fletcher Henderson e Benny Goodman.

Nasce così lo Swing, uno stile caratterizzato da un ritmo incalzante e sincopato, che negli anni ’30 e ’40 fa ballare milioni di americani. Lo Swing è la prima forma di musica jazz ad avere successo commerciale e mediatico, grazie alla diffusione in radio e al cinema. Le grandi orchestre, chiamate big band, si esibiscono in locali notturni, teatri e ballrooms, attirando folle di appassionati, spesso giovani ribelli e anticonformisti, che sfidano le convenzioni sociali e razziali dell’epoca.

Tra i locali più famosi dove si suona lo Swing ci sono il Cotton Club di Harlem, dove si esibiscono Duke Ellington e Cab Calloway, il Savoy Ballroom di Manhattan, dove si sfidano le band di Chick Webb e Count Basie, e il Carnegie Hall di Midtown, dove Benny Goodman si dice abbia tenuto il primo concerto di jazz della storia. Lo Swing non è solo musica da ballo, ma anche musica d’arte, che esplora nuove possibilità armoniche, melodiche e timbriche.

Tra i musicisti più innovativi ci sono Lester Young, Coleman Hawkins e Charlie Christian, che anticipano il linguaggio del Bebop. Tra le voci più celebri dello Swing ci sono Billie Holiday, Ella Fitzgerald e Frank Sinatra, che interpretano con maestria i classici del Great American Songbook. Lo Swing è anche la musica della guerra, che accompagna i soldati americani in Europa e nel Pacifico, portando con sé i valori di democrazia e libertà.

Il jazz si evolve: gli stili bebop e cool

Tra la fine degli anni ’30 e gli inizi degli anni ’40, un gruppo di musicisti di New York, stanchi dello swing commerciale e delle limitazioni imposte dalle big band, iniziò a sviluppare un nuovo stile di jazz, più complesso e sofisticato, basato sull’improvvisazione individuale e sulla rottura delle convenzioni armoniche e ritmiche precedenti. Questo stile fu chiamato bebop o bop, un termine onomatopeico che richiama il suono delle note veloci e sincopate che lo caratterizzano.

Suonare bebop richiede una grande abilità tecnica e una profonda conoscenza della teoria musicale. Tra i principali esponenti del bebop ci furono Charlie Parker (soprannominato Bird), al sax alto, Dizzy Gillespie, alla tromba, Thelonious Monk, al pianoforte, e Max Roach, alla batteria. Questi musicisti si riunivano spesso al Minton’s Playhouse, un locale di Harlem dove si tenevano jam session notturne in cui si sfidavano a suonare le melodie più difficili e originali possibili.

Il bebop influenzò alcuni tra i jazzisti più famosi della storia del jazz, tra cui Miles Davis, John Coltrane, Sonny Rollins e Art Blakey e fu anche una forma di protesta sociale e culturale da parte dei musicisti afroamericani. Non tutti i musicisti jazz però apprezzarono il bebop e il suo approccio rivoluzionario. Alcuni preferirono mantenere uno stile più legato alla tradizione dello swing e del jazz classico, ma con una maggiore attenzione alla qualità sonora, alla delicatezza delle sfumature e alla ricerca di un equilibrio tra improvvisazione e composizione.

Nacque così il cool jazz o jazz modale i cui principali esponenti furono Miles Davis, Chet Baker, Gerry Mulligan, Stan Getz e Dave Brubeck. Il cool jazz si contrapponeva al bebop per il ritmo più lento e rilassato, per l’armonia più semplice e lineare, per la sua melodia più cantabile e orecchiabile. Ebbe il suo apice negli anni ’50, con la pubblicazione di album storici come Birth of the Cool di Miles Davis (1957), Kind of Blue di Miles Davis (1959) e Time Out di Dave Brubeck (1959).

Il cool jazz fu anche influenzato dalla musica classica europea, in particolare da compositori come Debussy, Ravel e Stravinsky. Fu anche una musica più aperta al dialogo con altre culture musicali, come il folk, il blues, i generi latino americani e la musica brasiliana. Tra le collaborazioni più famose ci furono quelle tra Stan Getz e João Gilberto, che diedero vita ad uno degli album più iconici della bossanova.

L’hard bop, il modal jazz e il free

La storia del jazz affrontò nuove sfide e esigenze espressive dopo la seconda guerra mondiale. Il bebop, che aveva rivoluzionato il linguaggio jazzistico negli anni ’40, cominciò a essere percepito come troppo rigido e limitante. Alcuni jazzisti cercarono di recuperare le radici blues e gospel del jazz, altri di sperimentare nuove forme e sonorità, altri ancora di liberarsi dalle convenzioni armoniche e ritmiche tradizionali. Da queste ricerche negli anni ’50 e ’60 naquero tre correnti: l’hard bop, il modal jazz e il free jazz.

L’hard bop, strettamente derivato dal bebop, sposta ancora oltre i confini dell’improvvisazione e delle armonizzazioni. Oltre ad una sezione ritmica di pianoforte, contrabbasso e batteria, spesso c’è una sezioni di fiati con tromba o flicorno, sax contralto o tenore integrati eventualmente da sax soprano, trombone e flauto. Alcuni musicisti rappresentativi del genere sono Horace Silver, Clifford Brown, Charles Mingus, Art Blakey, Cannonball Adderley, Thelonious Monk e Tadd Dameron.

Il modal jazz è uno stile jazzistico nato negli anni ’50 che si distingue per improvvisare basandosi su scale modali, dalle sonorità caratteristiche, anziché sugli accordi. I brani, influenzati anche dalla musica classica contemporanea (Debussy) e dalla musica etnica (indiana), si basano su pochi accordi o addirittura su un solo accordo per lunghe sezioni del brano, dando maggiore libertà agli improvvisatori di esplorare le possibilità melodiche offerte dalle scale modali.

Il primo album famoso di questo stile fu Kind of Blue (1959) di Miles Davis, considerato uno dei capolavori della storia del jazz. In questo disco Davis si avvalse della collaborazione di musicisti come John Coltrane, Bill Evans e Cannonball Adderley. Altri esempi di modal jazz sono A Love Supreme (1965) di John Coltrane, Maiden Voyage (1965) di Herbie Hancock e Speak No Evil (1966) di Wayne Shorter.

Il free jazz nasce invece negli anni ’60 e si caratterizza per il rifiuto delle regole e delle convenzioni del jazz tradizionale, come la tonalità, l’armonia, il ritmo e la forma. Si proponeva di liberare la musica da ogni vincolo e di esaltare la spontaneità, la creatività e l’espressione individuale degli artisti. Il free jazz fu influenzato anche dal movimento dei diritti civili degli afroamericani e dalla contestazione sociale degli anni ’60.

Gli strumenti nel free potevano essere usati anche in modo non convenzionale, producendo suoni atonali, dissonanti, rumoristici o distorti. Tra gli album più famosi ci sono Free Jazz: A Collective Improvisation (1961) di Ornette Coleman, considerato il padre del genere. Altri esempi di free jazz sono Out to Lunch! (1964) di Eric Dolphy, Ascension (1966) di John Coltrane, Bitches Brew (1970) di Miles Davis e The Shape of Jazz to Come (1959) di Ornette Coleman.

Il jazz rock, la fusion e lo smooth jazz

Il jazz rock nasce negli anni ’60 e ’70, quando alcuni musicisti di jazz iniziano ad incorporare elementi tipici del rock, come chitarra elettrica, basso elettrico, batteria amplificata ed effetti sonori per suonare brani con un ritmo incalzante e una forte componente improvvisativa. Tra i precursori del jazz rock possiamo citare Miles Davis, che con album come Bitches Brew (1970) e On the Corner (1972) introduce sonorità psichedeliche, funky e sperimentali. Altri esponenti importanti sono Larry Coryell, John McLaughlin, Chick Corea, Herbie Hancock, Weather Report e Mahavishnu Orchestra.

La musica fusion arriva negli anni ’70 e ’80, quando il jazz si mischia con la musica elettronica, funk, soul e rhythm and blues. La fusion si caratterizza per l’uso di sintetizzatori, tastiere, campionatori e drum machine, che creano atmosfere sofisticate, ritmiche e melodiche. Si distingue dal jazz rock per una maggiore influenza della musica afroamericana e una minore enfasi sull’improvvisazione. Tra i principali esponenti della fusion possiamo citare Pat Metheny, Al Di Meola, Return to Forever, The Brecker Brothers, Spyro Gyra e Yellowjackets.

Lo smooth jazz nasce negli anni ’80 e ’90, quando il jazz comincia ad ispirarsi alla musica pop, al soft rock e alla musica d’ambiente. Caratterizzato da sonorità morbide, rilassanti e melodiche, utilizza prevalentemente strumenti a fiato come il saxofono e la tromba. Rispetto alla fusion c’è una maggiore semplicità armonica e ritmica e una minore sperimentazione. Tra i principali esponenti del genere possiamo citare Kenny G, David Sanborn, George Benson, Dave Koz e Sade.

Il jazz oggi: tra tradizione e innovazione

La storia del jazz è una continua evoluzione e trasformazione e anche nel XXI non smette di esplorare nuove sonorità, anzi diventa ulteriormente eterogeneo dialogando con altri generi musicali e sperimentando nuove forme e tecniche. Il jazz non è più un genere musicale omogeneo e definito, ma un insieme di sottogeneri, correnti e scene, che spaziano dal tradizionale all’innovativo, dall’acustico all’elettronico, dal più melodico al più dissonante.

Il jazz oggi è il risultato di una contaminazione e di una fusione con altri generi musicali, come il rock, il pop, il funk, l’hip hop, l’elettronica, la world music, la musica classica e quella contemporanea. E’ anche il frutto di una globalizzazione e diversificazione culturale facilitata dalla tecnologia che ha enormemente ampliato l’offerta musicale in tutto il mondo portando alla nascita di nuove scene e nuovi stili in Europa, Asia, Africa e America Latina.

Se è impossibile catalogare il jazz contemporaneo, tra le tendenze c’è chi riprende e rielabora i linguaggi e le forme del jazz classico, come lo swing, il bebop, il hard bop e il cool jazz come Wynton Marsalis, Branford Marsalis, Joshua Redman, Roy Hargrove, Christian McBride e Diana Krall. Chi amplia il linguaggio del bebop e del hard bop come Herbie Hancock, Wayne Shorter, Chick Corea, Keith Jarrett, Pat Metheny e Brad Mehldau.

C’è chi fa jazz moderno ispirandosi al free e alla fusion, ma incorporando anche influenze della musica contemporanea, dell’elettronica e della world music come John Zorn, Dave Douglas, Steve Coleman, Vijay Iyer, Jason Moran e Esperanza Spalding. E chi nello stile chiamato nu jazz fonde il jazz con la musica elettronica, creando sonorità originali e innovative. Tra i suoi esponenti più noti ci sono St Germain, Erik Truffaz, Bugge Wesseltoft, Nils Petter Molvaer e Cinematic Orchestra.

Queste sono solo alcuni esempi delle molteplici sfaccettature esistenti. Ovviamente non esistono confini netti tra le diverse correnti e molti musicisti si muovono tra vari stili e generi. Nel panorama contemporaneo c’è da notare anche una maggiore presenza delle donne nel jazz. Questo non fa altro che confermare lo spirito innovativo che ha sempre caratterizzato la storia del jazz in ogni sua era, che rifugge dalle gabbie formali per anticipare i tempi vivendo lo spirito della società.


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Autore: Fulvio Binetti
Fulvio Binetti è un editore online, fondatore di Bintmusic.it, musicista, produttore e esperto di comunicazione digitale. Da oltre tre decenni collabora con le principali realtà del campo audiovisivo, discografico ed editoriale, dove si è distinto nella produzione di canzoni e colonne sonore per tv, radio, moda, web ed eventi. In qualità di blogger, condivide approfondimenti su musica, cultura e lifestyle. Per saperne di più leggi la biografia o segui i suoi profili social.