Sopravvissuto – The Martian - Recensione

L’accoppiata Ridley Scott-Matt Damon in uno dei fanta-movie più belli dell’anno.

La recensione di Sopravvissuto – The Martian


Durante una missione su Marte, l’astronauta Mark Watney viene considerato morto dopo una forte tempesta e per questo abbandonato dal suo equipaggio. Ma Watney è sopravvissuto e ora si ritrova solo sul pianeta ostile. Con scarse provviste, Watney deve attingere al suo ingegno, alla sua arguzia e al suo spirito di sopravvivenza per trovare un modo per segnalare alla Terra che è vivo. Intanto, a milioni di chilometri di distanza, la NASA e un team di scienziati internazionali lavorano instancabilmente per cercare di portare Mark a casa, mentre i suoi compagni cercano di tracciare un’audace, se non impossibile, missione di salvataggio.

Prima Alfonso Cuarón con la fantascienza visiva e sensoriale di Gravity, dove tra l’altro il 3D aveva ancora un suo senso, poi Christopher Nolan con l’odissea quantica di Interstellar e ora Ridley Scott (uno che la fantascienza come la conosciamo noi l’ha in parte creata) con Sopravvissuto – The Martian. Non si può dire che negli ultimi due anni i patiti di sci-fi siano rimasti a secco di filmoni, anche se questi tre esempi non potrebbero essere più diversi tra loro.

Il film che però mi ha spiazzato maggiormente è proprio quello di Scott, regista di un’incostanza più unica che rara da cui, dopo Prometheus (non orrido come molti dicono ma nemmeno 'sta gran cosa), era difficile aspettarsi qualcosa di valido sul versante sci-fi. Eppure il buon Ridley, che come George Miller più diventa canuto più ci dà dentro con grandi produzioni (il precedente Exodus - Dei e Re era costato la bellezza di 150 milioni di dollari), ha azzeccato forse il suo film più convincente da quindici anni a questa parte e il merito va proprio al fatto che quello di Sopravvissuto – The Martian non è né lo Scott tronfio e iperspettacolarizzato dei blockbuster, né quello un po’ spaesato e rigido dei vari American Gangster, Un’ottima annata e Robin Hood.

L’avventura del botanico-astronauta Mark Watney (un sempre ottimo Matt Damon) è innanzitutto divertente e ben scritta, sebbene il romanzo di partenza di Andy Weir fosse spesso appesantito da pipponi scientifici-chimici-botanici-ingegneristici che ho digerito a fatica. Per fortuna lo script di Drew Goddard, che pensavamo di aver perso per sempre dopo l’imbarazzante World War Z, è di un equilibrio raro nel dosare sia il senso di avventura, pericolo e di scoperta in chiave sci-fi (su Marte si muore facilmente e non c’è quasi nulla di romantico nel descrivere il Pianeta Rosso), sia la leggerezza del racconto, la simpatia del protagonista e, appunto, tutta l’impalcatura scientifica (sponsored by NASA) sulla quale si innesta questa sorta di Robison Crusoe ipertecnologico, che riesce a mantenere la lucidità mentale anche grazie alle compilation musicali abbandonate su Marte da un membro della spedizione (e che compilation!).

Goddard è stato agile anche nello schivare i pericolosi affondi patriottici insiti in un racconto simile e, anche se alla fine Mark è un po’ l’emblema dell’uomo americano capace di vincere i pericoli della frontiera con le sole sue forze, non si cade mai nell’eroismo da quattro soldi e le stesse parti ambientate sulla Terra si mantengono dignitose nella loro non santificazione della NASA e delle sue magnifiche sorti e progressive. Tra l’altro i 140 minuti del film scorrono alla grande se pensiamo alla poca azione in senso classico e al poco “movimento” con il quale si srotola la vicenda sul Pianeta Rosso. Che per di più (altro merito del film) non è immerso fino al collo nella CGI bensì, grazie alle location in Giordania, gode di un impatto visivo certamente lavorato dalla fotografia del grande Dariusz Wolski ma quanto mai naturale e affascinante.

Qua e là qualche affondo leggero e comico può quasi stonare nel contesto, il 3D nativo colpisce poco esclusa la prima parte del film e si ha la sensazione che certe sequenze avrebbero potuto giovare di un montaggio più serrato per aumentarne la tensione. Nel complesso però Sopravvissuto – The Martian è bello dall’inizio alla fine, diverte, è girato e fotografato alla grande e, stranamente, l’ho quasi preferito all’eccessiva logorrea tecnica del romanzo di Weir. Ah, pare tra l’altro che a livello scientifico il coinvolgimento della NASA abbia reso il film molto più accurato e credibile di certe concessioni viste invece in Gravity e Interstellar, ma non capendo un accidente di spazio, botanica e reazioni chimiche non saprei né confermare, né smentire.

P.S. Se i 140 minuti di film non vi sono bastati e volete vivere ancora qualche ora in compagnia di un altro Robinson Crusoe spaziale, scaricatevi l’avventura testuale Lifeline per iOS o Android. I migliori 99 centesimi spesi ultimamente per un gioco mobile sul mio fido iPad Air 2.

Verdetto

Divertente, meno pachidermico del romanzo da cui è tratto e bello dall’inizio alla fine nonostante i 140 minuti di durata, Sopravvissuto – The Martian è tra le cose migliori fatte da Ridley Scott negli ultimi 15 anni e il merito va anche allo script di Andrew Goddard, abile nel dribblare derive rischiose (patriottismo, pipponi scientifici) e nel consegnarci un nuovo Robinson Crusoe con un mix di leggerezza, avventura, dramma e thrilling impensabile dopo lo script imbarazzante di World War Z. E alla fine, anche se non ci sono i piani sequenza di Gravity e i totem filosofici e cosmici di Interstellar sono lontani anni luce, anche questa fantascienza ha una sua profonda (e godibilissima) dignità.

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