Gianfranco Fini: “Meloni è antifascista nella sostanza. Ma oggi c’è molta propaganda e poca politica. Manca la genialità di Tatarella” - la Repubblica

Bari

Gianfranco Fini: “Meloni è antifascista nella sostanza. Ma oggi c’è molta propaganda e poca politica. Manca la genialità di Tatarella”

Gianfranco Fini: “Meloni è antifascista nella sostanza. Ma oggi c’è molta propaganda e poca politica. Manca la genialità di Tatarella”
(ansa)
In Senato il ricordo dell’esponente di An a 25 anni dalla morte. Parla l’ex presidente della Camera: “Lo conobbi nel 1977, gli devo molto”
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Gianfranco Fini, già presidente della Camera, vicepremier e ministro, segretario del Msi e successivamente di Alleanza Nazionale, deve molto a Giuseppe («Pinuccio”) Tatarella di cui l’8 febbraio ricorre il 25mo anniversario della morte. Domani il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà presente al Senato a una delle due tavole rotonde in ricordo del “ministro dell’armonia”. «Di Tatarella — osserva Fini — voglio dire sùbito due cose. La prima è che per lui la politica era progetto mentre la propaganda e la comunicazione venivano dopo. La seconda è che, per lui, la riforma costituzionale preparata dalla Commissione Bicamerale presieduta da D’Alema avrebbe costituito, per la destra italiana, il secondo tempo della svolta di Fiuggi che diede vita ad Alleanza Nazionale, ossia avrebbe segnato la legittimazione della destra, perché co-artefice della nuova Costituzione. Il fallimento di quel tentativo, nel 1996, fu per lui la più grande delusione».

Quanto deve a Tatarella la destra italiana?

«È stato riconosciuto come un protagonista della politica italiana e della destra. La sua destra, in particolare, guardava alla realtà meridionale e pugliese. Non a caso la destra missina si rifaceva a figure come De Marzio e allo stesso Di Crollalanza, a una destra che non aveva nostalgie del passato e che non si poteva definire neofascista. Questa radice culturale spiega perché Tatarella fu tra i principali sostenitori di Alleanza Nazionale».

Tatarella era stato sul punto di seguire De Marzio nella scissione di Democrazia Nazionale nel 1976?

«Tatarella non aderì. Posso solo dire che per lui la destra doveva guardare avanti, non indietro. Con un perimetro ben definito, quello dell’anticomunismo fino a quando il comunismo è stato vivo. Lui nella sua prima intervista disse di essersi iscritto al Msi perché si sentiva anticomunista, non fascista. Finito il comunismo, per lui la destra doveva essere il contenitore di tutte le forze non marxisteggianti».

Lei cosa deve a Tatarella?

«Molto. Lo conobbi nel 1977 quando divenni segretario nazionale dei giovani missini. Nel 1987, con la mia elezione a segretario del Msi, su proposta di Almirante, iniziò la collaborazione con Pinuccio che, con La Russa, era tra i promotori della mozione Destra Protagonista, a mio sostegno. Ho lavorato e dialogato con lui ogni giorno. Siamo diventati amici. Per lui una politica priva di progettualità era un controsenso. Non voglio offendere nessuno, ma oggi c’è molta propaganda e poca politica. La lezione di Pinuccio andrebbe riscoperta. Lui, nella sua genialità, arrivò a delineare la nuova frontiera di “Oltre il Polo” quando il Polo neppure c’era».

Lo definivano ministro dell’armonia, ma non aveva un carattere facile.

«Sì. Era disposto a capire le ragioni altrui. Non foss’altro che per combatterle meglio. Ma quando apriva i conflitti politici, lo faceva per chiuderli a vantaggio della destra. Era imprevedibile e per certi versi insostituibile. Il fallimento della Bicamerale presieduta da D’Alema e vice-presieduta da Tatarella lo segnò molto. Lui mi disse di non aver mai saputo o immaginato che Berlusconi avrebbe fatto saltare il banco. Viceversa aveva avuto sentore che il primo governo Berlusconi poteva saltare».

Cosa direbbe oggi Tatarella di Fratelli d’Italia? Direbbe che è stato un passo avanti o indietro rispetto a Fiuggi?

«Molti risponderebbero senza esitazione. Io non sarei così netto. È una fase nuova della destra, perché nuove sono le generazioni alla guida, tranne La Russa, che rappresenta la continuità. Penso che Tatarella non darebbe un giudizio negativo su Fdi».

Sui diritti civili, ad esempio sulla fecondazione assistita, lei però assunse posizioni che forse la destra attuale contrasterebbe.

«Sulle questioni di coscienza i partiti che non hanno una vocazione totalitaria non possono dare ordini di scuderia. Rispetto tutti coloro che difendono i valori religiosi. Ma chi, come me, ha una visione laica, non laicistica, della società, non può che rimettersi alla propria cultura».

Cosa direbbe della renitenza, in Fdi, a dichiararsi antifascisti? De Gaulle, di destra, resta un simbolo di antifascismo.

«Tatarella non ha avuto e non avrebbe avuto esitazioni. Lui collaborò con me e Gennaro Malgeri a una frase chiave di Fiuggi: uscire dalla casa del padre senza farvi più ritorno. Ciò detto, Tatarella rimase assai male per lo sgarbo subito in Europa dal vicepremier belga Di Rupo, per giunta originario del Sud Italia, che non volle stringergli la mano. Poi i due divennero amici, ma questo rientrava nella tipicità tatarelliana».

Ma perché, secondo lei, la Meloni non si dichiara antifascista?

«Lei è giovane, ma ha letto di quello slogan folle degli anni ’70-’80: “Uccidere un fascista non è reato”. Il rogo di Primavalle, sul giornale del Pci, venne descritto come una faida interna alla sezione missina. Fatti che hanno colpito molto Giorgia Meloni. Manca solo l’aggettivo, ma nella sostanza lei ha aderito ai valori dell’antifascismo, della libertà, ultime le sue parole per la Giornata della Memoria».

Cosa avrebbe detto Tatarella dell’autonomia differenziata?

«Lui non era un meridionalista e meridionale piagnone. Avrebbe chiesto massima chiarezza sui Lep (Livelli essenziali di prestazione). Lui era orgoglioso del suo Meridione e della sua Puglia. Accettava le sfide, un po’ come fa anche Emiliano quando dice “siamo pronti”. Tatarella avrebbe spinto la classe dirigente del Sud a migliorare la propria qualità progettuale e programmatica».

Cosa direbbe Tatarella dei ministri e della classe dirigente di Fratelli d’Italia?

«Alcuni li ha conosciuti come validi dirigenti, come Urso e Mantovano. Altri erano troppo giovani per essere giudicati da lui. Tatarella della Meloni avrebbe detto che ha un progetto, vedi i riconoscimenti che sta ottenendo in Europa e in politica estera. Il piano Mattei è un progetto. Giusto incalzare, chiedere spiegazioni, ma il progetto c’è».

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