<span class="gwt-InlineHTML kpm3-ContentLabel">Jefferson Hack: la moda è rivoluzione<br /></span> - la Repubblica

<span class="gwt-InlineHTML kpm3-ContentLabel">Interviste<br /></span>

Ha fondato uno dei giornali più rivoluzionari per il fashion system. E oggi continua a dettare tendenze e a essere uno dei pionieri del settore. D.it l'ha intervistato. Chiedendogli come vede il futuro dei giornali di moda e dell'informazione di settore

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Ci sono giornalisti che passano nell'orbita del fashion system assestandosi come satelliti, quasi fossero una Luna che ammira il pianeta di stilisti, modelle e sfilate con un distacco imperturbabile. Uno di questi è Jefferson Hack, ieri fondatore del magazine rivoluzionario Dazed&Confused (era il 1991), poi fidanzato di Kate Moss e oggi ancora una delle voci più interessanti e pionieristiche del panorama. D.it l'ha incontrato in occasione della sua nuova collaborazione con Tod's per Todsnocode, un progetto che mette al centro della comunicazione fashion lo "storytelling", una delle chiavi di volta più importanti per le strategie d'informazione contemporanee. Ma partiamo da lontano.

Qual è il tuo primo ricordo relativo alla moda?
Difficile dirlo. Penso sia relativo alla mia infanzia passata a Montevideo, in Urugay. Mia madre mi confezionava dei poncho ricamati bellissimi. Ricordo perfettamente il tessuto, i disegni e soprattutto la libertà di movimento che provavo quando li indossavo.

Come ti sei avvicinato a questo settore?
Fu un avvicinamento per gradi. All'inizio degli anni Novanta, Londra era un crogiolo di tendenze eversive, interessanti, piene di forza. Insieme a un gruppo di amici e giornalisti di moda, come Katie Grand, iniziammo a interessarci su come la moda e certe collezione fossero in grado di raccontare questa radicalità, questo universo di segni e di significati. Il nostro interesse principale era dare corpo e voce alla cultura underground. Fu come dare un pugno nello stomaco alle riviste patinate. E la moda ci servì come mezzo per farlo. E così arrivò Dazed&Confused: fino a oggi, ci siamo sempre sforzati di esprimere un punto di vista esterno, a volte radicale, ma comunque sempre indipendente.

Cosa pensi dell'attuale crisi dei periodici di moda e dell'avvento di internet?
Penso che bisogna fare delle distinzioni per evitare di banalizzare un fenomeno. Un giornale di moda, a mio parere, deve oggi più che mai esprimere un punto di vista e non inseguire l'informazione tout-court. Con Dazed&Confused, per esempio, non cerchiamo di raccontare quello che succede, ci sforziamo piuttosto di narrare quello che accadrà nei prossimi sei mesi. Ovviamente ci rivolgiamo a una nicchia, però la distinzione dev'essere chiara. L'indipendenza e il desiderio di sorprendere sempre, infine, restano caratteristiche peculiari.
Se, però, mi chiedi di analizzare la crisi dei grandi periodici di moda, a mio parere si deve legare all'omologazione generale, alla ricorsa di notizie che si trovano da tempo su internet e soprattutto all'incapacità di prendersi dei rischi. A riguardo, mi piace invece il lavoro di Franca Sozzani per Vogue Italia: il suo sguardo è sempre puntato sui fenomeni di costume più scomodi e forti, c'è sempre qualcosa di azzardato e di provocatorio nei suoi lavori. E questo penso sia premiante.

Per Tods hai appena curato un progetto legato allo "storytelling", ovvero all'importanza di raccontare storie, soprattutto su internet. Cosa pensi di questa nuova tendenza dell'informazione?

La rivoluzione mediatica apre un universo di possibilità che rende l'esperienza di shopping meno significante rispetto al passato. Oggi siamo in grado di connetterci emotivamente con chi ci legge e ci guarda. Il progetto
Todsnocode, per esempio, è il tentativo di immergere il potenziale acquirente in un universo di storie, persone, realtà narrate in prima persona.
Lo stesso si può dire del sito Dazeddigital, basato praticamente sullo storytelling. L'abbiamo pensato completamente slegato dai contenuti del magazine, ovviamente. E siamo sorpresi dalla sua efficacia e dal suo successo. La lezione più importante imparata negli ultimi mesi, poi, è semplice: su internet non si tratta solo di numeri, di click. Ma di qualità e di coinvolgimento. Non conta, infatti, avere milioni di utenti, ma utenti di qualità. Persone che passano molto tempo sulle tue pagine, che tornano a visitarti e soprattutto che scelgono di interagire con te.



Hai iniziato giovanissimo a Londra. Che consiglio daresti a chi si avvicina al fashion system oggi, in un momento complicato e difficile come questo?
Consiglierei di fare da soli, di non cercare un grande editore. Di costruire la propria realtà, il proprio progetto con amici fidati e coetanei. Internet, in un certo senso, oggi rende tutto più facile. Però il segreto rimane sempre lo stesso: fai per conto tuo, non avere paura di sbagliare. O almeno questa è stata la forza che ha reso possibile la nascita di Dazed&Confused.