Cosa succede se insulto qualcuno su WhatsApp
Quando l’insulto è reato: le differenze tra ingiuria e diffamazione. Le prove della chat con l’offesa.
Hai insultato una persona su WhatsApp. Ora questa ha minacciato di denunciarti con lo screenshot della chat. Cosa rischi? Sicuramente offendere una persona costituisce un illecito; tuttavia è importante comprendere se questo rientri nell’ambito del reato di diffamazione o nell’illecito civile di ingiuria. Da ciò dipende non solo la procedura giudiziaria che ne seguirà, ma soprattutto l’entità della sanzione. Procediamo con ordine e vediamo cosa succede se insulti qualcuno su WhatsApp.
Indice
Quando insultare qualcuno su WhatsApp non è reato
L’insulto su WhatsApp può essere:
- reato di diffamazione: ciò succede solo quando l’offesa viene proferita in un gruppo con almeno due persone oltre alla vittima e al colpevole. Inoltre è necessario che, al momento dell’invio del messaggio, la vittima non fosse connessa;
- illecito civile di ingiuria: questo avviene in due casi diversi. Nel primo, l’offesa è proferita in un gruppo costituito solo dalla vittima e dal responsabile oppure da questi due e un terzo soggetto. Nel secondo, essa è pronunciata anche da più persone ma, al momento dell’invio del messaggio, la vittima era connessa e ha potuto leggere in tempo reale l’insulto.
Solo nel caso di ingiuria, l’offesa su WhatsApp non è reato. L’ingiuria è un semplice illecito civile. Ciò però non significa che non sia punito. La vittima infatti potrà agire con un giudizio civile per chiedere il risarcimento del danno, proporzionato alla gravità dell’offesa, al numero di persone che hanno letto e alle qualità morali e/o professionali di essa stessa. Oltre al risarcimento, all’esito del processo, il giudice condannerà il colpevole al pagamento di una sanzione amministrativa, da versare nelle casse dello Stato, che può variare da 100 a 8.000 euro.
Ai fini dell’azione civile, la vittima può agire entro 5 anni da quando si è verificato il fatto.
Se invece l’offesa integra la diffamazione, l’insultato potrà sporgere querela e chiedere la condanna penale del colpevole. Quest’ultimo sarà processato e condannato con la pena della reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 516 euro. Anche in questo caso però la parte lesa può chiedere il risarcimento del danno, e può farlo nello stesso processo penale, costituendosi parte civile, oppure con ulteriore giudizio civile.
Cosa si rischia per insulti su WhatsApp?
Tanto nel caso ingiuria quanto di diffamazione, la vittima può quindi agire contro il colpevole. Lo farà
- in sede civile, se c’è ingiuria;
- in sede penale, se c’è diffamazione.
Tuttavia, nulla esclude che, anche in caso di diffamazione, la parte lesa possa preferire solo l’azione civile per ottenere subito il risarcimento. E ciò anche alla luce del fatto che i termini di prescrizione dell’azione civile (5 anni) sono più lunghi rispetto a quelli per la querela (3 mesi).
Chiaramente però l’entità del risarcimento sarà maggiore per la diffamazione, posto il maggiore danno all’onore e alla reputazione (costituito dalla presenza di altre persone).
Il risarcimento viene quantificato anche sula base di una serie di variabili come la gravità dell’offesa, il numero di persone che ha letto il messaggio, l’attribuzione di un fatto specifico alla vittima (è sicuramente più grave dire “Sei tu il ladro dei quadri di mio zio” piuttosto che dire “sei un raccomandato”).
Quale prova può portare la vittima?
La vittima dell’insulto può agire dimostrando l’illecito con un semplice screenshot della chat. I giudici, infatti, hanno ormai riconosciuto pieno valore probatorio a tale rappresentazione della schermata dello smartphone. Il magistrato potrebbe, nei casi più gravi, ordinare anche il sequestro del cellulare del reo, ipotesi però piuttosto remota.
La parte lesa potrà invece chiedere una trascrizione dei messaggi vocali, inoltrati nella chat, da depositare agli atti, in modo da dimostrare il contenuto degli stessi.
Quando non si può essere puniti per un insulto su WhatsApp?
La legge prevede una causa di giustificazione tutte le volte in cui l’ingiuria o la diffamazione è stata pronunciata a seguito di un comportamento ingiusto subìto. È la cosiddetta provocazione, prevista dall’articolo 599 del Codice penale. Essa non attenua la pena, ma la esclude.
Si pensi a Tizio che venga accusato falsamente da Caio di un reato e questi, per tutta risposta, lo insulta: Tizio non sarà punibile.