Bignardi e Sapienza, due libri da leggere per capire il carcere- Corriere.it

Bignardi e Sapienza, due libri da leggere per capire il carcere

di Alessandro Trocino

�Ogni prigione � un’isola� � un libro che racconta i 30 anni di volontariato dell’autrice. E che fa venire voglia di rileggere il memoir degli anni ‘80 �L’universit� di Rebibbia�

Bignardi e Sapienza, due libri da leggere per capire il carcere

Succede con i libri pi� stimolanti, che una volta finito di leggerli, ti viene voglia di leggerne altri. �Ogni prigione � un’isola� il nuovo libro di Daria Bignardi (Mondadori – Strade blu) e sorprender� chi la segue da anni, nelle sue incursioni televisive e nei suoi romanzi, perch� per la prima volta parla in maniera esplicita di una passione poco pubblicizzata, quella per le carceri. Bignardi � entrata per la prima volta in un penitenziario 30 anni fa, da volontaria, e da molti anni frequenta La Nave, il reparto di San Vittore fondato 20 anni fa da Luigi Pagano. Uno di quei personaggi ai quali bisognerebbe fare un piccolo monumento per l’intelligenza, la passione, la forza commovente con la quale ha fatto per anni il direttore del carcere di San Vittore e poi il vice del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Contribuendo a creare le premesse che un altro grande protagonista delle istituzioni democratiche, Nicol� Amato, chiamava �il carcere della speranza�.

Finito di leggere Bignardi, sono finito dunque a leggermi �Il direttore�, la bella autobiografia di Pagano pubblicata da Zolfo editore. E mi sono ascoltato un podcast del Post di Luigi Mastrodonato che dice cose incredibili, �Tredici�, sulle rivolte del 2020 finite con 13 morti nelle carceri di Modena e non solo, incredibilmente dimenticati, una vera e propria strage che fu trattata come un inevitabile incidente di percorso. E poi sono arrivato a Goliarda Sapienza. Non al suo libro pi� celebrato (sia pure con fama postuma e importata dalla Francia), �L’arte della gioia�, ma a �L’universit� di Rebibbia�, un memoir splendido, che racconta l’esperienza dell’autrice, finita ultracinquantenne a Rebibbia, nel 1980, per aver rubato dei gioielli a un’amica. Di quel furto dir�: �Mi ha preso una corda pazza, come capita a noi siciliani�. Ma anche: �Un po’ volevo andarci, in carcere. Mi ero troppo imborghesita, infragilita. Troppo lavoro intellettuale, troppi cavilli […] A Rebibbia sono rinata�.

Goliarda, che era un’attrice, una scrittrice, un’intellettuale che aveva fatto la resistenza e aveva avuto una lunga storia d’amore con Citto Maselli, si ritrova nella sezione femminile del carcere. E ne scrive con una grazia e una ferocia insuperati. Racconta i primi tentativi di autodifesa – �fermare la fantasia�, �non tuffarsi nella sofferenza� – il latte con il bromuro, il �sole di Rebibbia� che abbronza, i sonniferi per scimmie (�sbobba azzerante�), �il bieco riformismo che maschera il pi� moderno, asettico ed efficiente fascismo�, il linguaggio delle emozioni, il �marchio del privilegio� che sopravvive tra le celle, �l’atrocit� dell’essere espulsi dal consesso umano e lasciati a marcire�, la noia, �l’indigenza morale�, le spedizioni punitive delle guardie, i pugni e gli schiaffi �su noi che siamo carne da frusta o immondizia�, i tonfi e le urla rotte, lo spioncino metallico che si chiude.

E poi la sindrome carceraria, di chi alla fine si affeziona alla detenzione come a una droga: �Si vive in una piccola collettivit� dove le tue azioni sono seguite, riconosciute. Non sei sola come fuori. Non c’� vita senza collettivit�. E lo stigma: �Essendo stata una volta qua, Goliarda, non sperare pi� di uscire com’eri prima. N� tu ti sentirai mai pi� una di fuori, n� loro – quelli di fuori – ti riterranno mai pi� una di loro. Vedrai: quando uscirai magari ti porteranno dei fiori, ti diranno benvenuta, ti abbracceranno, ma il loro sguardo sar� cambiato per sempre quando si poser� su di te�.

E il rovesciamento improvviso della prospettiva e la scoperta paradossale che � qui �l’unico potenziale rivoluzionario che ancora sopravvive all’appiattimento e alla banalizzazione quasi totale che trionfa fuori�: �Sono da cos� poco sfuggita dall’immensa colonia penale che vige fuori, ergastolo sociale distribuito nelle rigide sezioni delle professioni, del ceto, dell’et�, che questo improvviso poter essere insieme – cittadine di tutti gli stati sociali, cultura, nazionalit� – non pu� non apparirmi una libert� pazzesca, impensata�.

Letti Pagano e Sapienza, si pu� tornare a Bignardi, che fa un racconto sincero, appassionato, da volontaria e da cronista. Leggere queste pagine � un buon modo per cominciare ad avvicinarsi a un mondo che a pochi, diciamo la verit�, interessa davvero. E quei pochi che se ne interessano attivamente sono ben raccontati nel libro. Persone comuni, ma anche personaggi come Pino Cantatore, ex detenuto che ha fondato una cooperativa nel carcere di Bollate; la direttrice Lucia Castellano; Cecco Bellosi, ex br che si occupa del recupero di tossicodipendenti e minori in difficolt�; il criminologo Adolfo Ceretti, uno degli alfieri della giustizia riparativa (insieme all’ex magistrato Gherardo Colombo). E Luca Sebastiani, l’avvocato che ha fatto il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per i morti di Modena.

Ve li ricordate i morti di Modena del 2020? No, non li ricorda quasi nessuno. Hanno avuto la sfortuna di morire l’8 marzo, il giorno prima che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, decretasse il lockdown nazionale. I giornali avevano altro da scrivere, la gente era terrorizzata di suo e quella storia complicata di rivolte e di morti non trov� troppo spazio nell’entropia generalizzata.

Eppure � una storia sconvolgente. Succede che in tutta Italia scoppiano rivolte, perch� il Covid faceva paura anche in carcere e per precauzione erano anche state interrotte le visite dei parenti. Al Sant’Anna di Modena c’� un assalto all’infermeria. Muoiono nove persone: quattro dentro e cinque durante il trasferimento verso altre carceri. Ne muoiono altri 3 a Rieti e uno a Bologna. Ascoltando il podcast �Tredici� - e leggendo il libro di Sara Manzoli �Morti in una citt� silente� - si racconta bene cosa � successo o cosa potrebbe essere successo. Alcuni di questi detenuti sono morti per overdose da metadone, che ha una caratteristica: fa morire ore o anche giorni dopo l’assunzione. I detenuti che l’hanno preso dall’infermeria, andrebbero ricoverati e messi sotto osservazione. Invece li si trasferisce. E li si trova morti nelle celle. Uno cade per terra senza vita, appena fuori da un carcere.

Erano tutti stati al Sant’Anna di Modena. Tutti, tranne uno, erano stranieri. Ci sono testimonianze che mettono in dubbio che siano tutti morti di metadone. Si parla di botte, di pestaggi. Non ci sono video, naturalmente. Fuori uso, come sempre. E i corpi sono stati cremati, causa Covid. Nessuno ha voluto indagare troppo a fondo sulla questione. Si � preferito archiviare subito. C’era altro da fare, altro a cui pensare. Luca Sebastiani, insieme allo scomparso Valerio Onida, ha depositato contro l’archiviazione un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che si discuter� a maggio.

Quella incredibile tragedia � finita in un angolo della cronaca, �trattata – come scrive Bignardi – come un effetto collaterale del Covid�. Oggi che le carceri scoppiano, per sovraffollamento e condizioni igieniche, oggi che i suicidi sono a un livello record (32 e 4 agenti, nel 2024), altre rivolte sono in arrivo, altre morti ci attendono. Tutti quelli che devono sapere sanno, ma molti fingono di non sapere. Gli altri, che saremmo noi, che sareste voi, possono sapere, se vogliono leggendo e ascoltando per esempio Bignardi, Sapienza, Pagano, Mastrodonato e molto altro. Su Radio Radicale c’� Riccardo Arena che dal 2002, incredibilmente da solo, due volte alla settimana monta, dirige, conduce e produce �Radio carcere�, con interviste e confronti fondamentali per sapere cosa succede. Ha anche organizzato un incontro tra Anm e Unione delle Camere penali, evento senza precedenti, che si terr� a Roma marted� 23 aprile. Poi ci sono Antigone (fondata negli anni ’80 da Massimo Cacciari, Stefano Rodot� e Rossana Rossanda), Nessuno Tocchi Caino (Rita Bernardini e i radicali), Sbarre di Zucchero (ex detenute di Verona), Ristretti (Ornella Favero) e molti altri ancora. E migliaia di volontari e volontarie che ogni giorno, come Daria Bignardi, si impegnano per cambiare il carcere di oggi, che nell’indifferenza della politica � diventata discarica sociale e scuola di criminalit�.

20 aprile 2024 (modifica il 20 aprile 2024 | 15:30)