Il regista Tavarelli: “La Luxemburg era un mondo a sé, pareva uscita da Manhattan di Woody Allen” - La Stampa

«È un grande dolore, in centro quello era uno dei punti di riferimento più conosciuti e amati». Come ogni torinese che si rispetti, anche Gianluca Tavarelli esprime il suo dispiacere per il prossimo e annunciato spostamento della Luxemburg. Da quasi trent’anni il regista vive a Roma, dove ha trovato il successo tv con “Paolo Borsellino”, “Il giovane Montalbano”, “Chiamami ancora amore”, fino al recente “Everybody Loves Diamonds”. Nel 1988 però, ancora a Torino, girò una delle sue opere più belle e personali, “Un amore”. Era interpretato da due attori all’epoca sconosciuti, Fabrizio Gifuni e Lorenza Indovina, nel film una coppia di innamorati nell’estate del 1982. I due sembrano avere un futuro, ma si lasciano senza un perché. Per vent’anni continueranno a rincorrersi e sfiorarsi, ritrovarsi e perdersi, in un labirinto di specchi senza un’apparente via d’uscita.

“Un amore” si articolava su dodici piani sequenza, uno dei quali, ambientato la sera del 20 dicembre 1996, venne girato proprio nella storica libreria di via Cesare Battisti. «Era un momento importante del film», racconta oggi il regista.

Perché?
«Era l’unica libreria di Torino che profumava di New York, Parigi, Londra. Avrebbe potuto essere in qualsiasi città del mondo, e loro due potevano essere Meryl Streep e Robert De Niro. Pareva uscita da “Manhattan” di Woody Allen».

Che cosa la rendeva così affascinante?
«L’essere un mondo a sé stante. Dava immediatamente una connotazione di grande fascino, unito a un’estrema eleganza. Con quel suo arredo modernissimo, le pareti piene di libri fino al soffitto, i neon, le vetrine nere. Un posto unico».

Ne era un frequentatore?
«In rare occasioni. Era una libreria internazionale, con tanti testi in inglese e francese, editoria di settore. Confesso che entrarci e vedere quegli scaffali alti e belli mi incuteva soggezione. Ci andavo in occasioni speciali, non era certo il bookshop in cui entravi per farti un giro. Più che altro ero un frequentatore assiduo delle sue vetrine».

In che senso?
«Essendo un grande passeggiatore, partivo da casa mia in via Sacchi e, andando in centro, la Luxemburg era una tappa obbligata. Ero affascinato da quella sorta di punta nera, incastonata all’angolo fra le vie Battisti e Accademia delle Scienze con uno sguardo su piazza Carignano. In vetrina c’erano sempre composizioni originali e non mancavano mai i volumi dei grandi fotografi, che io mi mangiavo con gli occhi».

Che ricordi ha della scena che girò lì?
«Il nostro era un piccolo film, avevamo pochissimi soldi. La sola idea di andare a chiedere alla Luxemburg di poter girare da loro ci faceva sentire come se ci stesse ricevendo la Regina d’Inghilterra. Invece i proprietari furono gentilissimi e ci dissero subito di sì. Trattandosi di un piano sequenza, abbiamo preparato tutto prima e poi girato senza interruzioni in una notte. Ne ho un ricordo bellissimo».

Ora quella libreria resterà soltanto nella scena di un suo film.
«Sono contento di averla potuta raccontare. E il fatto che a breve “Un amore” verrà restaurato dal Museo del Cinema fermerà per sempre il ricordo di quel luogo».

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