Montserrat Caballé
(Barcellona, 12 aprile 1933 – Barcellona, 6 ottobre 2018)
Per citare Francesco Guccini: “La notizia si sparse in un baleno”. Già il giorno prima di quella fatidica “Anna Bolena” scaligera del 1982 si sapeva perfettamente che la Caballé non avrebbe cantato. Si trattava della prima ripresa dell’opera dopo le storiche serate del 1957 con la Callas e, perdipiù, nello stesso allestimento firmato da Luchino Visconti e ripreso, per quelle recite, da Sandro Sequi. C’erano tutte le premesse per scatenare le ire dei “vedovi Callas”: agguerritissimi e professionali fischiatori che imperversavano in loggione pronti a contestare ogni soprano che si presentasse in un’opera in cui la divina si era esibita, come ci ricorda bene la Freni in Traviata.
Al tempo studiavo canto con la Maestra Morselli che si autodefiniva la prediletta di Mascagni e che, forse, lo era anche stata. Ero da lei, squilla il telefono ed un conoscente ci avvisa del forfait del soprano catalano. Ovviamente avverto Luca Gorla e tutti gli altri amici che frequentavano la Scala. La decisione fu unanime: andiamo ugualmente a fare la coda per il loggione. Come congiurati, nelle nebbie di quel febbraio dell’82 alle 4 del mattino ci ritroviamo davanti al teatro. Passano le ore ma, nonostante si sapesse quasi per certo che la Caballé non avrebbe cantato, nessuna notizia. Arriva stancamente la sera fra discussioni e domande senza risposta ed alle sette si apre il loggione con la consueta corsa a perdifiato per accaparrarsi i posti migliori. Ancora nulla, tanto che si cominciò a pensare che, probabilmente, la Caballé avrebbe cantato e che tutte le voci che si erano rincorse dal giorno prima erano, come si direbbe oggi, maligne fake news messe in giro dalla Raina o dalla Mirella, invidiose dei successi della Montsy.
Si giunge, finalmente, alle 19.55. Mezze luci. Tutti pronti: i vedovi Callas a contestare, i plauditores (la claque) ad applaudire e tutti gli altri a godersi lo spettacolo. Voce anonima amplificata da dietro le quinte: “a causa di una improvvisa indisposizione il soprano Montserrat Caballé sarà sostituita da Ruth Falcon”. Segue un secondo di intenso silenzio e di stupore, poi si scatena l’inferno: tutti, ma proprio tutti cominciarono ad ululare anche, redivivi Lon Chaney jr, senza luna piena. Platea, palchi e loggione all’unisono. La caciara continuò per una ventina di minuti ed a nulla valse il fatto di spedire la Simionato con la sua chioma azzurra (la nonna della Lollo, disse qualcuno, ricordando il bellissimo “Pinocchio”di Comencini) in proscenio a cercare di placare gli animi. Alla fine, visto il perdurare delle contestazioni, la medesima voce annunciò l’annullamento della recita. Exit. Ma non è finita: la settimana successiva vanno in atto due finali. Il primo vede protagonista ancora la Caballé che si presenta davanti al pubblico e viene impietosamente beccata durante tutta la recita. Eppure, pur non essendo più la diva degli anni d’oro e ad onta di un settore acuto decisamente problematico, a tratti fu davvero notevole in certe elegie vaporose ed alate, in particolare nella nenia Al dolce guidami, come testimonia un CD della Myto. L’altro finale vede il forfait definitivo alla recita successiva della catalana (andandosene commentò sarcasticamente: “c’è a chi non piace il parmigiano, c’è a chi non piace la Caballé”) ed il debutto di una giovanissima e promettente Cecilia Gasdia che studiò il ruolo in pochi giorni ed ebbe un meritato trionfo, inizio della sua luminosa carriera. Ovviamente non fu l’unica volta che ascoltai la “mamma mediterranea” (copyright di Carlo Mayer) a teatro: ricordo la sublime “Forza del destino” con la regia di Puggelli ed un cast da favola, una “Messa da Requiem” nella chiesa di San Marco diretta da un Abbado in stato di grazia, innumerevoli concerti di canto (in uno si presentò per l’ennesimo bis con le mani dietro la schiena in cui erano nascoste delle nacchere con le quali accompagnò il suo canto: pubblico in delirio), la “Salome” con una regia stramba di Bob Wilson. Poi “La bohème” e “Norma” a Macerata con Giacomini (il miglior Pollione di sempre con Del Monaco). Infine, il famoso “Barbiere” a Nizza in cui la Caballé debuttava Rosina e che si segnalò per una prestazione esilarante in cui i recitativi erano praticamente reinventati e decisamente approssimativi. A questo proposito mi ricordava Alessandro Verducci, uno dei migliori bassi con cui abbia cantato e persona intelligente e simpatica, purtroppo ritiratosi troppo giovane dalle scene, che durante l’ “Agnese di Hohenstaufen” a Roma, la Caballé, preso da parte il direttore Maximiano Valdes, gli segnò con una matitona rossa sulla partitura ciò che avrebbe cantato di quell’opera e ciò, invece, che si sarebbe tagliato. D’altra parte, come non ricordare la sua prestazione spassosa ma, a tratti imbarazzante, come Madama Cortese nel “Viaggio a Reims” allo Staatsoper di Vienna nel 1988? Obiettivamente faceva ridere e si sente il pubblico letteralmente sganasciarsi dalle risate insieme ad un Abbado palesemente divertito. Sull’altro piatto della bilancia, la non conoscenza del libretto (a volte, invece delle parole, vocalizzava sulla vocale “a”) ed un approccio allo stile rossininano a dir poco personale, oltre ad acuti risolti con gridolini più adatti ad un film hard giapponese, piuttosto che ad un capolavoro del melodramma.
Ma, al di là dell’aneddotica, l’importanza della catalana fu davvero rimarchevole: dagli inizi difficili in Germania alla scrittura come artista stabile al teatro di Basilea, fino all’esplosione definitiva nel 1965 sostituendo Marilyn Horne in una “Lucrezia Borgia” alla Carnegie Hall (esiste un CD e vale la pena di acquistarlo: sentirete anche un Alain Vanzo in stato di grazia). Da lì partì la sua grande carriera: Scala, Metropolitan, Covent Garden, tutti i maggiori teatri del mondo fecero a gara per averla, quasi sempre negli amati Donizetti e Bellini. Non le giovò l’allargamento del repertorio a ruoli più spinti. La voce si depauperò, anche se in Puccini, Ponchielli ed il Verdi più maturo regalò sprazzi di grande, grandissima arte.
D’altra parte, il lungo periodo passato all’Opera di Basilea, le aveva già in gioventù aperto le strade di altri autori come Dvorak, Strauss e d il Wagner più lirico. Certo è che, con la Gencer, fu una delle artefici della Donizetti renaissance ed in questo ambito fu interprete da considerarsi storica in assoluto.
Vennero poi i concertoni con Freddy Mercury ed altri interpreti di musica leggera. Le giovarono in popolarità, ma i bei tempi erano già passati e nulla aggiunsero alla sua gloria. Anzi, a tratti ricordava la Castafiore, il soprano che talvolta appare nei fumetti di “Tintin et Milou”, uno stereotipo della diva attempata e declinante.
Tecnicamente era perfetta e poteva sfoggiare una tavolozza di colori cui solo la giovane Ricciarelli si poté a tratti avvicinare in quegli anni.
Nei teatri dettava legge, forse grazie anche al fratello Carlos che era titolare di un’agenzia lirica importante.
La sua discografia è imponente. Difficile segnalare qualcosa in particolare, quasi tutto è di livello assoluto tranne la orribile Adalgisa di una “Norma” assemblata con divi stagionati solo per far cassetta. Sicuramente da ascoltare la “Lucrezia Borgia” con Kraus, “Il pirata” (ma il live di Firenze con Labò), il “Don Carlos” diretto da Giulini, “Il trovatore” con Tucker anch’esso da Firenze, “La bohème” con Domingo diretta da Solti, “Aida” con Muti e la “Luisa Miller” con Pavarotti. Infine, la lunare e pallida “Turandot”con Carreras diretta da Alain Lombard dove, in un ruolo non suo, impartisce una lezione di stile ed interpretazione a tutte le altre interpreti discografiche del personaggio.
Concludendo: per mio conto, se devo pensare ad un soprano di quegli anni, la memoria corre sempre a lei, alla sua simpatia, alla sua arte. Indipendentemente da una certa sciatteria nell’imparare bene gli spartiti e di una voce che, a partire dal 1980, non era più quella degli anni d’oro. Fino all’ultimo, anche con uno strumento a brandelli, riusciva ad esprimere e comunicare, come ricordo bene in un suo concerto a Lugano nel 1998 dove era decisamente alla frutta, ma fu ugualmente strepitosa nel “Poema en forma de canciones” di Joaquin Turina.
I suoi eterei pianissimi ed i filati infiniti, risuonano ancora negli anfratti dei teatri in cui si esibì. Anche solo per quelli ci dovremmo inchinare e ringraziare.
Io lo faccio ora: grazie Montsy. Grazie, grazie, grazie.
Carlo Curami
Montserrat Caballé: Com'è bello dalla "Lucrezia Borgia" di G.Donizetti - Direttore Jonel Perlea
New York - Carnegie Hall 1965