Fight Club: la spiegazione del finale del film di David Fincher

Fight Club: la spiegazione del finale del film di David Fincher

“Sei la canticchiante e danzante merda del mondo.”

Il protagonista di Fight Club è un consulente nel ramo assicurativo di un’importante casa automobilistica, frustrato, insonne e depresso. La causa? Il riflesso di una società che attraverso il consumismo ha appiattito le interazioni umane a becere relazioni di vendita e acquisto: possedere è una risposta pratica alla ricerca della felicità.

Si reca, su consiglio di un medico, in un centro per malati di cancro ai testicoli, per capire il vero significato del dolore.

Qui incontra Bob, ex culturista che, nella ossessiva ricerca di virilità, assumendo sostanze dopanti, è stato causa stessa del suo cancro ed ha sviluppato un seno prominente ed un’emotività altamente empatica. Subentra così nel protagonista il bisogno di accudimento come risposta ad un’esistenza troppo controllata: vuole, per una volta, lasciarsi andare.

Brad Pitt ed Edward Norton discutono bevendo una birra sul marciapiede

“È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa.”

Ciò però non è sufficiente e nasce così nell’uomo l’esigenza di qualcosa di più forte: viene alla luce il suo alter ego interiore: Tyler Durden.

In un inesorabile quanto scoraggiante fluire di cinismo, la violenza rappresenta un’alternativa insolitamente funzionale al rischio rappresentato dall’alienazione.

Tyler ed il protagonista, fonda (si, ho usato il verbo alla terza persona singolare) il Fight Club: semplicemente uno scantinato dove tutte le ansie, le patologie e le frustrazioni possono trovare un primordiale sfogo ed i partecipanti possono svuotarsi attraverso una “catarsi attiva” di ogni preoccupazione.

Edward Norton protagonista Fight Club in giacca e cravatta alienato

“Smettila di cercare di controllare tutto, pensa solo a lasciarti andare, lasciati andare!”

La società capitalista è accudente nei confronti dei figli che osservano le scrupolose leggi della domanda e dell’offerta: creando un bisogno danno la possibilità, lavorando e producendo valore, di acquistarlo, contribuendo allo sviluppo stesso di tale società e appagando un bisogno creato ad hoc.

Questo sistema può funzionare per alcune persone, chi però non è una “persona in porzione singola” ed è capace di guardare più lontano del bisogno contingente, intuendo la fallibilità di tale modello, inizierà a manifestare segni di insofferenza, come ad esempio l’insonnia, passando a disturbi più gravi e, di conseguenza, alla ricerca di altre vie da percorrere come risposta all’inquietudine esistenziale.

“Siamo consumatori, siamo sottoprodotti di uno stile di vita che ci ossessiona.”

Non è un caso che la prima risposta del protagonista all’insonnia sia frequentare un gruppo di malati di cancro.

L’alienazione pare essere invincibile, e cosa può batterla se non il più grande livellatore sociale della storia dell’umanità, ovvero la morte?

Ebbene qui incontra uomini malati, che guardano in faccia alla morte dandogli del tu e per i quali comprare e apparire non ha più alcun significato. Non sanno quanto e se resti loro da vivere, sono perciò sinceramente interessati agli altri, a comunicare e supportarsi a vicenda.

Non è nemmeno un caso che il passo successivo, come già detto, sia la violenza, ovvero un’esperienza primitiva, brutale, per certi versi catartica, che praticata senza limiti porta alla morte.

Il finale ed il passaggio chiave da Nichilismo passivo a Nichilismo attivo

Il Nichilismo o trasvalutazione dei valori, per Nietzsche “l’ospite più inquietante”, si articola socraticamente in una pars destruens e pars costruens, in passivo e attivo: il primo è rassegnazione alla perdita di tutti i valori, il secondo è superamento del primo, attraverso la consapevolezza della vacuità dell’esistenza e, di conseguenza, l’accettazione della vita per il nulla che rappresenta. Tale accettazione porta finalmente serenità e gioia ma solo pochi individui riusciranno a conseguirla.

Nel protagonista il primo passo è la cognizione che quello stile di vita lo sta lentamente logorando mentalmente e, progressivamente, anche fisicamente.

Il suo subconscio, mediante autoconservazione, ovvero la tendenza istintuale a conservare sé stessi e la propria integrità, crea Tyler Durden, risposta a tale disagio che lo porterà gradualmente ad una consapevolezza nichilista passiva.

Il finale rappresenta la rinuncia a Tyler Durden con tanto di assimilazione dei due personaggi in un unico uomo, nichilista attivo, che trova nuovi valori attraverso i quali elevarsi e, forse, proprio l’Oltreuomo di cui Nietzsche parlava.

https://www.youtube.com/watch?v=11eBZd7zdbs

Conclusione

In un disperato gesto di rinuncia del proprio alter ego il protagonista si spara in bocca, rimanendo gravemente ferito ma tornando in sé. 

A questo punto la vena autodistruttiva di Tyler è assimilata e quindi gestita, poiché vi è stata un’accettazione della stessa da parte del protagonista.

Si ricongiunge quindi con Marla e, insieme a lei, osserva il crollo di quel mondo malato che proprio Tyler aveva individuato come causa della propria alienazione. Mentre guarda tale spettacolo però stringe la mano della donna: ha ristabilito un sincero e profondo contatto umano; non sarà più solo e, soprattutto, non dovrà più scegliere un soprammobile che lo “definisca come individuo.”

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