Al regista cinese Zhang Yimou il Gelso d’oro alla Resistenza - Messaggero Veneto
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Al regista cinese Zhang Yimou il Gelso d’oro alla Resistenza

Candidato all’Oscar, ha ricevuto il riconoscimento alla carriera del festival udinese. La masterclass: « L’emozione sarà l’unica suggestione che sopravviverà»

Gian Paolo Polesini
2 minuti di lettura

Il regista Zhang Yimou, protagonista in chiusura del Far East 26; a sinistra una scena del film Lanterne Rosse

 

UDINE. Si eclissò silenziosamente, nonostante “Lanterne rosse” (1991) rappresenti a tutt’oggi la prima “via del cinema” fra la Cina e l’Occidente, restando nascosto per un trentennio. Candidato all’Oscar, lasciò un segno profondo a un’entusiasta platea della Mostra di Venezia (e fu Leone d’Argento) quindi dilagò in giro per un mondo ancora disabituato a interagire con le sentenze cinematografiche dell’Asia.

Ora l’opera di Zhang Yimou, giovedì 2 maggio doppio protagonista in chiusura del Far East 26 — al mattino impegnato in una entusiasmante masterclass e di sera vincitore del Gelso d’oro alla carriera — è riemersa dall’oblio con un restauro fortissimamente voluto dal Feff in collaborazione tecnica con la cineteca di Bologna impadronendosi nuovamente del suo stile rigoroso, pellicola di gran fascino che non risente affatto di un lungo letargo.

L’estensione scenica è minima, un elegante palazzo di un ricco signore della dinastia Chen, ma i giochi di seduzione e di potere fra le quattro mogli del signore s’insinuano con determinazione in ogni anfratto della struttura fino a una progressiva «disumanizzazione», come dice Soglian, l’ultima arrivata (un’indimenticabile Gong Li) di una Cina arcaica ancora soggiogata dalle feroci tradizioni.

Nonostante Zhang Yimou ne abbia viste di cose (citando timidamente “Blade Runner”) che forse noi umani non abbiamo visto, il regista è comunque rimasto stupito di trovarsi davanti a 1200 persone che «guardano un film». In realtà sale così capienti non sono frequenti neppure in Cina.

Ci siamo impadroniti, ascoltandolo con attenzione, di alcuni ferrei principi non soltanto artistici, che poi — si sa — di quanto un film sia condizionato dalla vita: «La resistenza è fondamentale. Non sempre le tue prove ricevono applausi, il fallimento è parte integrante di un progetto. Resistere, lo ammetto, è una virtù. Il saper cogliere un’occasione è decisivo tanto quanto il destino e la fortuna. Chi riuscirà a rispettare le regole verrà sicuramente ricambiato».

I suoi inizi hanno avuto una matrice fotografica: Yimou, conclusi gli studi, diventò un ricercato direttore della fotografia e persino un attore. «Cercavamo un interprete magro che avesse certe caratteristiche. Ricerche estenuanti non portarono a nulla finché il regista mi fissò dicendo: “Potrebbe essere Zhang quel personaggio!”. Io risposi, voi siete pazzi, non so fare quel mestiere. Lavorai sodo, però, e durante un set notturno di “Sorgo rosso” (il primo film del maestro, ndr) arrivò la notizia che avevo vinto un premio a Tokyo come miglior attore».

Non sempre accade che un direttore della fotografia si sieda dietro una cinepresa. «Leggevo di nascosto libri di regia e il mio addestramento fotografico si dimostrò decisivo quando pensai di dirigere un film», rivela Yimou.

Il suo arrivo al Feff 26 non è stata un’improvvisazione. Una corte cominciata prima del Covid, quindi interrotta e ripresa nel 2023 fino alla visita di Sabrina Baracetti e di Thomas Bertacche nel rifugio del regista, una casa-laboratorio immersa del verde a un tiro di schioppo da Pechino. «I Festival hanno un’importanza decisiva per i giovani artisti che così hanno la possibilità di mostrare le proprie qualità. E sono orgoglioso di essere qui al Far East che rappresenta il più quotato avamposto europeo della cinematografica d’Oriente».

Se gli incontri internazionali rispettano una consolidata consuetudine, la comunicazione è stata alterata dai tempi. «Dagli anni Ottanta a oggi c’è stato uno stravolgimento totale: pensate soltanto al potere del web. Con poco si riesce a ottenere un risultato eccellente che ha una diffusione immediata ovunque».

C’è un però. La tecnologia è sì al servizio di chiunque possieda estro, ma secondo Zhang esiste un elemento capace di arrivare davvero a qualunque spettatore: il sentimento. Leggo moltissimi copioni, ma se uno di questi mi commuove in più passaggi diventerà senza dubbio un film. L’emozione sarà l’unica suggestione che resisterà all’intelligenza artificiale, alla robotica, a qualunque diavoleria che l’uomo inventerà. Far battere un cuore sarà sempre l’arma vincente».

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