Sulla strada - Jack Kerouac - Recensioni di QLibri
 

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Sulla strada

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Il viaggio verso sud di Sal e Dean lungo le strade infinite del Texas e del Messico, è in definitiva un viaggio verso il nulla, nel quale ciò che importa non è arrivare, ma andare, muoversi indefinitamente nella speranza, che si sa comunque vana, di esorcizzare un'ansia e un male di vivere sempre crescenti, a dispetto delle richiose vie di fuga offerte dall'alcol, dalla marijuana, dalla benzedrina. L'ineludibile bisogno di ribellarsi, il valore dell'amicizia, la ricerca dell'autenticità e di una difficilissima appartenenza offrono le coordinate elementari di un universo giovanile segnato dall'ombra nera della dissoluzione e della morte.



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Sulla strada 2020-05-15 10:18:59 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    15 Mag, 2020
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Strade

«Ma allora danzavano lungo le strade leggeri come piume, e io arrancavo loro appresso come ho fatto tutta la mia vita con la gente che m’interessa, perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali colo giallo che esplodono come ragni traverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno “Ooohhh!”»

Oggetto centrale dell’opera di Kerouac è il viaggio come fuga dalla quotidianità e da quella freneticità febbrile che caratterizza sempre più le nostre esistenze. Protagonista dell’opera, nonché portavoce della cd. “Beat generation” in perfetta contrapposizione con la cd. “Lost generation” propria di Hemingway e Fitzgerard, non è altro che Dean Moriarty, giovane dissoluto che attraversa da una costa all’altra l’America con una vasta molteplicità di coprotagonisti che si intervallano nell’arco della narrazione. Elemento costante in questa è dato da questa volontà di dissoluzione che si manifesta in una voglia continua di dimenticare la realtà per mezzo di serate e nottate in libertà da pensieri e responsabilità e in compagnia di avvenenti donne, sogni, illusioni, whisky, sigarette e marijuana per poi risvegliarsi al mattino con un incessante senso di inutilità. In questa ottica il viaggio da modalità di fuga dal lavoro e dall’esistenza vissuta, diventa la vita vera e finisce con l’assumere i connotati della non omologazione a quella società americana da cui gli eroi delineati rifuggono.
Tuttavia, per quanti meriti contenutivi possano essere riconosciuti all’opera, devo riconoscere di non esserne rimasta particolarmente colpita e di non essere riuscita a farmi travolgere da questa generazione che ho vissuto come molto lontana dalla mia prospettiva e dagli insegnamenti ricevuti. Ho trovato i protagonisti grotteschi, alla ricerca della “strada più facile” per la risoluzione dei problemi, alla ricerca di un qualcosa di spasmodico ma ignoto perfino a loro stessi e ho trovato forzata questa voglia di evasione basata sul trinomio alcol, sesso e sostanze stupefacenti. Ciò perché le voci presentate sono emblema di una generazione di uomini e donne eterni bambini e per questo totalmente refrattari all’assumersi qualsivoglia responsabilità. Una beat-itudine che lascia qualche perplessità.
Al tutto si somma uno stile narrativo caotico, poco evocativo, ridondante, scarno e caratterizzato da un alternarsi di periodo brevi ad altrettanti avvalorati da espressioni comuni del parlato che finiscono con il rendere disomogenea la narrazione e farraginosa la lettura.
Un elaborato che divide e che riesce a convincere soltanto in parte.

«Qual è la tua strada amico?... la strada del santo, la strada del pazzo, la strada dell'arcobaleno, la strada dell'imbecille, qualsiasi strada. È una strada in tutte le direzioni per tutti gli uomini in tutti i modi.»

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Sulla strada 2019-10-31 22:13:40 cristiano75
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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    01 Novembre, 2019
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Come ti creo il mito americano

Gli americani sono geniali nel creare il proprio mito, nell'esportarlo al mondo e porre le basi del loro impero.
Hanno usato nei decenni, libri, film, attori, attrici, cantanti, musiche, tirato su città scintillanti, autostrade infinite, paesaggi da sogno.
Questo romanzo di Kerouac rientra a pieno titolo tra le pietre miliari che hanno fatto degli Stati Uniti la nazione di riferimento nelle mode e nei costumi del mondo occidentale.
Un libro che ha un fascino senza fine, sin dalla leggenda che narra, che l'autore usasse anche la carta igenica delle stazioni di servizio che incontrava lungo il suo pellegrinare tra uno stato e un altro, per tirare giù le proprie riflessioni.
E un America, sporca, malfamata, popolata da straccioni, rifiuti umani, battone, drogate, perdigiorno.
Autostrade a 12 corsie. Tir. Stazioni di servizio messe nel nulla.
Si incontrano questi due ragazzi, poi si uniscono anche le femmine e vanno da una parte all'altra del paese senza un apparente meta.
Leggendo le pagine, come si fa a non sognare questa libertà, questo gusto dell'ignoto, il fascino di rimediare un dollaro per prendersi un panino.
Fare all'amore sotto una volta stellata.
Il destino di questi ragazzi è anche il destino di un popolo intero, che è sempre stato un popolo nomade, senza un identità precisa, pieno di contraddizioni e contrasti.
Spietato e dissoluto, marchiato a fuoco dal Dio del dollaro.
Praterie sconfinate, sogni senza fine.
Dopo tanti anni i due amici si ritroveranno, saranno quasi estranei, la vita li ha segnati e devastati, ma avranno con loro i ricordo di un periodo della propria esistenza in cui contava solo l'amicizia, l'amore e la libertà. Vi sembra poco?

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Sulla strada 2019-02-19 13:27:51 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    19 Febbraio, 2019
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Asylum Generation

Ho comprato questo romanzo diviso tra curiosità e timore. La curiosità era dovuta alla massiccia ristampa delle opere di Jack Kerouac, soprattutto da parte di Oscar Moderni Mondadori, che possiede tra le sue file tantissimi autori che amo; il timore era una sensazione non meglio definita, ma che comunque ha determinato il passaggio di un buon periodo di tempo dall’acquisto del libro alla sua effettiva lettura.
Il mio timore ha trovato un nome solo una volta cominciato a leggere.
Non sono mai stato un lettore che si delizia con le storie di puro e semplice viaggio; sarà che sono un tipo a cui i viaggi piace farli in prima persona, ma non sono un estimatore di questo tipo di “storie”. Poi, riflettendo, mi sono reso conto che tra i miei libri preferiti ci sono anche lunghi tratti in cui i protagonisti sono impegnati in viaggi del genere. Allora, qual è stato il mio problema con “Sulla strada” di Jack Kerouac?
Che è solo viaggio e non molto di più.
Certo, in molti lo prendono a manifesto della famigerata “Beat generation”, la gioventù bruciata di cui Kerouac ha fatto parte e si è reso portavoce, ma devo dire che questa generazione mi è risultata insensata, folle e per niente intrigante; sicuramente priva del fascino della “Lost generation” di Hemingway e Fitzgerald. Dunque quasi quattrocento pagine di viaggio da una costa all’altra dell’America (per ben tre volte), accompagnate da intermezzi in cui i protagonisti si danno a un’insensata pazza gioia in cui mettono tutto a ferro e fuoco (compresi sé stessi) mi sono risultate piuttosto ostiche. Non ho provato empatia per i personaggi, se non per brevi tratti. È chiaro che sia una generazione anch’essa perduta, che cerca incessantemente il suo posto nel mondo senza mai trovarlo, ma detto in tutta sincerità mi è parsa una generazione di bambinoni incapaci di crescere, che fuggono incessantemente dalle proprie responsabilità.
Oltretutto c’è una cosa che mi sono chiesto: il personaggio di Dean Moriarty è quello che, a quanto mi è parso di capire, meglio incarna la “Beat generation”. Com’è possibile che un personaggio che viene preso a simbolo di una lunga schiera di persone risulti inverosimile? È forse volutamente esagerato e portato al limite? È sempre super accelerato, sembra che vada al triplo della velocità rispetto agli altri; grida all’improvviso senza motivo; te lo ritrovi nei locali a sbavare dietro ai musicisti, incitandoli a suonare come un pazzo scatenato. Cambia moglie come cambia i pantaloni, sembra amare una più di tutte, un minuto dopo cambia idea, quello dopo torna indietro, poi cambia ancora. Altro che “Beat generation”, questa è roba da manicomio.
Mettendo da parte l’incapacità di trovare una connessione coi personaggi, devo dire che è tutto davvero troppo lungo e ripetitivo. Questa “storia”, forse, avrebbe potuto essere raccontata con meno della metà delle pagine e sarebbe stata apprezzata di più, almeno per quanto mi riguarda. Non vi nascondo che ogni volta che il protagonista, Sal Paradise (che non è altro che l’alter ego di Kerouac), decideva di partire di nuovo verso la costa opposta dell’America, sentivo un colpo al cuore. “Ancora? Oh no”, pensavo, perché sapevo che mi apprestavo a leggere qualcosa di molto simile a quello che avevo appena finito di leggere. Paesaggi (ben descritti, per carità, ma una volta mi basta), sbronze allucinanti nei locali di varie città, follie inspiegabili.
Come dicevo prima, la mia opinione è sicuramente influenzata dai miei gusti di lettore: posso leggere anche pagine e pagine di caratterizzazione psicologica, ma non riesco a immedesimarmi in pagine e pagine di descrizione dell’ambiente. C’è sicuramente un tipo di lettore che è tutto l’opposto, ed è forse a questo tipo di lettore che è più consigliabile la lettura di questo romanzo.
Dimenticavo; la mia curiosità era dovuta anche al fatto che io amo letteralmente gli autori, i paesaggi e le storie americane. Ma un grande autore, per me, è anche chi riesce a dare un equilibrio, a non eccedere in un aspetto a dispetto di un altro; che riesce a calibrare bene tutto: descrizioni dell’ambiente, caratterizzazione dei personaggi, tessitura di una buona trama (anche se questo non è un aspetto fondamentale). Vedevo in Kerouac un autore che potenzialmente avrei potuto aggiungere ai miei preferiti. Purtroppo, il primo approccio è stato traumatico e non so se leggendo altro io possa cambiare idea. Considerato che “Sulla strada” è considerato il suo capolavoro, la vedo dura.

“A quel tempo danzavano per le strade come pazzi, e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno «Oooooh!»”

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Sulla strada 2017-07-29 15:30:58 LIsaRay
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LIsaRay Opinione inserita da LIsaRay    29 Luglio, 2017
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SOLO PER I VERI AMANTI DEL GENERE

Molti mi avevano consigliato questo libro e, da amante della letteratura americana, mi ci sono cimentata.
Devo ammettere che è stata una lettura a tratti un po' faticosa, soprattutto dalla metà in poi, quando le storie non facevano altro che ripetersi.
E' consigliato leggere questo libro soprattutto per l'importanza storica, ovvero poiché viene considerato il manifesto della beat generation. Infatti questa gioventù bruciata viene descritta a 360° in maniera molto dettagliata e assillante. Dopo un po' il succedersi di queste stravaganze diviene quasi noioso e probabilmente, l'idea dell'ansia di vivere pienamente, viene tramandata perfettamente.
Ma è una pienezza distaccata, ridondante, ripetitiva. Il narratore si focalizza sui nomi delle strade, delle città, delle donne che incontra... ma raramente emergono i sentimenti interiori e le descrizioni che mi aspettavo di leggere sulla selvaggia e grandiosa America, sono praticamente assenti.
Avrei preferito leggere un'opinione più personale dell'esperienza, che risulta invece distante, quasi come se fosse avvenuta molto tempo prima per il narratore.

Se nella prima parte lo stile risultava quasi piacevole, che con poche parole riusciva ad evocare (ma mai descrivere) una città americana, con l'andare del libro e il ripetersi delle situazioni, la lettura si fa faticosa.
Non solo per questo ho dato una bassa valutazione allo stile, ma anche perché il suo modo di scrivere lo trovo molto scarno: pieno di punti, periodi brevissimi e molti frasi del parlato inserite un po' ovunque che a tratti i hanno ricordato lo stile de Il giovane Holden.

In un certo senso questo libero è un'opportunità sprecata, visto che la storia è davvero ricca (fin troppo) di eventi che potevano essere più coinvolgenti.
Serve un altissimo spirito americano per poterlo apprezzare appieno, anche se è molto lontano dai capolavori della letteratura di questo Paese.

Piacevole per certi aspetti, scorrevole e incantatorio, ma decisamente troppo lungo e ripetitivo.

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Solo per chi è davvero appassionato della Beat Generation
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Sulla strada 2017-04-29 05:05:35 Bipian
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Bipian Opinione inserita da Bipian    29 Aprile, 2017
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Sulla maledetta strada

Prima di aggiungere il mio contributo a quanto già ampiamente scritto su questo celebre libro precursore della beat generation, mi sono soffermato sulle numerose recensioni precedenti (cosa pericolosissima perché sembra sempre che sia già stato detto tutto). La considerazione che ne consegue: è un libro che ha diviso i lettori. Molti l’hanno detestato, altri ne hanno riconosciuto i meriti e l’importanza. Io mi schiero subito dicendo che appartengo ai secondi, anche se è indubbio che il contenuto e soprattutto il modo di scrivere di Kerouac possano spiazzare e talvolta irritare.

Il tema del viaggio come fuga dalla quotidianità e dall’ingranaggio in cui ci costringe la società è trattato in maniera febbrile, frenetica, a tratti minuziosa e con dei particolari di per sè irrilevanti che il narratore sceglie di includere. Per comprendere questa scelta credo occorra essere stati almeno qualche volta sotto l’effetto di alcool e marijuana, assieme a degli amici. La percezione si amplia e si distorce a dismisura, certi dettagli (un paesaggio, un’ombra, un sorriso, un tono di voce, un colore, perfino un oggetto artificiale) vengono associati a degli stati d’animo, escono dal loro normale e spesso anonimo contesto in cui la nostra coscienza li categorizza ed assumono un significato nuovo, esaltante o deprimente a seconda dell’umore. Ci si stupisce di questo cambiamento rivoluzionario di prospettiva e si è sopraffatti dall’urgenza di cogliere l’attimo fuggente e di comunicarlo il più fedelmente possibile agli amici.

Ed ecco che il vero protagonista del libro Dean Moriarty, amico del narratore Sal Paradiso, che lo segue durante una serie di quattro viaggi attraverso gli Stati Uniti ed il Messico, è un vulcano di sensazioni e aneddoti da esprimere, sviscerare, interpretare, in maniera compulsiva e continuativa, con l’ingenuità e lo stupore di un bambino. Le parti in cui i due inseparabili amici - che sono la trasposizione di Jack Kerouac (Sal) e Neal Cassady (Dean) - si sbronzano o assumono qualche sostanza si dilatano, le pagine si infittiscono e si moltiplicano di dettagli e il lettore è catapultato nelle loro interminabili baldorie nei bar di Denver o nei bordelli messicani.

Concordo con molti recensori che le descrizioni delle pazze notti americane di due ubriaconi possano non suscitare molto interesse, ma trovo che questo stile narrativo, comunque originale e innovativo, metta a nudo in maniera autentica anche l’autore e le sue esperienze.

Ne esce un uomo diviso, solo, alle prese con un passato che non riesce a risolvere. Inizialmente, nel primo viaggio da New York a San Francisco, Sal appare più spensierato ed euforico, incontra e lascia un sacco di amici, con la leggerezza di chi è sicuro di ritrovarli. Ma gradualmente e specialmente nei viaggi successivi, la percezione di se stesso, delle persone che lo circondano e delle loro vite si offusca. La precarietà di un viaggio che assume spesso i connotati di un vagabondaggio, punteggiato da grosse sbornie, che il giorno dopo lasciano soltanto l’amaro in bocca e un senso di inutilità, simboleggia e infine diventa la precarietà della vita stessa. Il viaggio, che doveva essere un modo per evadere dalle miserie della vita lavorativa, diventa la vita autentica dell’uomo, ma l’uomo per mancanza di forza e per la volontà di non omologarsi al sogno americano diventa vagabondo, schiavo della strada ed escluso dalla deprecata società.

E pensare che Kerouac è considerato il padre della beat generation perché ricercava la beat-itudine nell’evasione, nell’alcol e nelle droghe. Invece è morto alcolizzato e a nulla sono valsi i ripetuti tentativi dei suoi compagni di viaggio di salvarlo. Il colpo di grazia probabilmente è stata la morte dell’inseparabile Neal Cassady, morto assiderato sui binari di un treno, quel Dean Moriarty, farabutto e folle, pirata ed asso della strada, papà di molti figli disseminati coast to coast, eterno bambino e sognatore, instancabile parlatore, vagabondo e formidabile bevitore che assieme al più riflessivo e malinconico Sal, ci stanno a testimoniare a quali rischi si va incontro quando ci si incammina su quella maledetta strada.

“Sulla strada” è un’opera estremamente simbolica: è considerata da molti l’inizio di un’epoca, la beat generation, con tutti i movimenti che ne sono derivati, gli hippy, il pacifismo, il ’68, ma vi si può leggere col senno di poi anche il presagio della fine e dell’autodistruzione. Cosa rimane oggi dei Kerouac e dei poeti maledetti? Dove sono i figli dei fiori e quelli che credevano in un mondo migliore? Dove gli studenti filosofi e un pò intellettuali? Dove il popolo di Seattle e i no global? Si sono o li hanno suicidati. Alcuni sono morti di cirrosi o di overdose. Alcuni hanno indossato abiti più eleganti, altri sono entrati in banca, ripudiando l’inutile filosofia. Quasi tutti hanno comprato casa. Molti si sono rincitrulliti con le miniserie e la Playstation, viaggiando non più sulla strada ma comodamente sdraiati sul divano. Alcuni da Seattle sono arrivati a Genova ed hanno visto i black-block e poi non si è visto mai più nessuno. Alcuni sono usciti dal gruppo, ed ancora sperano e pensano, ma da soli, e da soli non contiamo nulla. Forse è il tempo di tornare sulla strada...

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Sulla strada 2016-03-23 14:25:37 fede.book21
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fede.book21 Opinione inserita da fede.book21    23 Marzo, 2016
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fiumi di parole

Devo essere sincera, ho fatto un po' di fatica a leggere questo libro.
Ne avevo sentito tanto parlare, ne hanno fatto il film e poi l'ho spesso trovato nelle liste di libri da leggere almeno una volta nella vita quindi ero davvero curiosa e interessata.
Mi ha completamente sorpreso e destabilizzata. Da un lato mi aspettavo qualcosa di diverso e più impostato, non fiumi di parole, molto spesso incasinate e senza logica; ma dall'altro lato è comunque un testo che ti culla e ti trascina nel suo scorrere e neanche te ne accorgi.
A me ha lasciato molta confusione in testa e molto spesso mentre lo leggevo mi veniva da chiedermi ''e quindi?'' ma non è un libro con la presunzione di insegnare o di dare un senso alla vita. Semplicemente è una storia che rispecchia in pieno i suoi personaggi: senza trama, folli , innamorati della vita e della strada, qualunque essa sia e ovunque li porti, l'importante è che non si farmi mai.
Quindi tra eccessi, discorsi confusi e lunghi viaggi non lo si può definire un libro per tutti, si può leggere un capitolo ogni tanto o tutto d'un fiato. Dategli una chance, leggete qualche pagina e se proseguite bene altrimenti non c'è problema non vi perdete nessuna trama, semplicemente avrete percorso qualche folle chilometro con Dean, Sal e tanti altri, su lunghe bellissime strade americane e messicane.

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Sulla strada 2015-03-06 19:26:29 Rebel Luck
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Rebel Luck Opinione inserita da Rebel Luck    06 Marzo, 2015
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L'ansia di dover vivere.

Chi non ha mai sognato di mettersi uno zaino in spalla, mandare tutti e tutto affankulo e partire in autostop...
Io l'ho desiderato troppe volte, ma sempre i miei viaggi cominciavano alla sera e finivano alla mattina, devastato da alcolici ed altro, alla ricerca di qualcosa che non c'era.
Sal Paradise e Dean Moriarty nella mia vita sono esistiti davvero, avevano altre facce ed altri nomi, noi alla mattina però dovevamo alzarci dopo poco più di un ora di sonno, e con le nostre numerose scimmie sulle spalle dovevamo tornare a fare gli schiavi della società, gli schiavi di quel "dovere" che la famiglia e la società ci ha impresso indelebilmente e di cui possiamo solo sognare di liberarci.
Jack Kerouac, scrive questo viaggio autobiografico nel nulla e nel tutto, ma sopra ogni cosa "nell'ansia di vivere" sotto lo pseudonimo di Sal Paradise, mentre cerca di inseguire questa angosciosa ricerca dell'essere vivo e di vivere davvero, uscendo da una malattia bastarda che è la depressione, insegue Dean Moriarty.
Dean è la vita, la vita quando hai vent'anni quando sei tutto frenesia ed energia, quando tutto è possibile e niente è indispensabile, Dean è l'amico tosto quello giusto che tutti inseguono ed imitano, quello che non riesce mai a stare fermo, Dean Moriarty siamo noi quando riusciamo ad essere quello che vorremmo essere, quando per brevissimi attimi di vissuto vero riusciamo a liberarci delle catene e dei dogmi che ci hanno messo.

Simbolo stesso della Beat generation, la maggior parte del significato di questo libro non è nelle parole scritte, non è nei periodi o nelle pagine, il novanta per cento del significato di questo libro lo si scova non scritto ma tra una riga e l'altra.
Quello che ci si trova dipende da se stessi dal proprio animo e dal proprio umore. Io ho letto questo libro tre volte, in diverse fasi della mia vita ed ogni volta l'ho trovato diverso, ogni volta ho avuto l'ardire di giudicarlo ed ogni volta il mio giudizio ha ribaltato il precedente.
La prima a 19 anni e l'ho trovato irritante, la seconda a 26 anni e l'ho trovato illuminante, la terza a 34 anni e l'ho finalmente capito nel suo significato e nella sua interezza.

Penso che la recensione unica, vera e possibile per questo libro sia: VIVETELO non leggetelo ma vivetelo.

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a chi cerca insistentemente di vivere...
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Sulla strada 2014-11-29 15:02:03 Rob89
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Rob89 Opinione inserita da Rob89    29 Novembre, 2014
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Far parte di una pazza combriccola di viaggiatori

Ho appena finito di leggere questo libro. Mi mancano già i personaggi.
E' una di quelle storie che ti fanno entrare in contatto con i protagonisti. Li chiami per nome e spesso ti ritrovi a dar loro pure consigli su cosa fare dinnanzi a certe difficoltà. Strana ma bella sensazione questa, I personaggi sono vivi ed escono fuori dal libro. Mi mancano già, come se per il loro lungo viaggio lungo l'America fossero passati qui da casa mia, fossero entrati stravolto la mia vita e fossero ripartiti, come in fondo fanno in queste pagine. Partono, arrivano e ripartono, mai fermi per un lungo periodo nello stesso posto.
Riporto una citazione che mi ha spinto a leggere Kerouac:
"Tu e io, Sal, esploreremo il mondo intero con un'automobile così perché, amico, in fondo la strada è fatta apposta per farci girare il mondo" .

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consigliato a chi vuole leggere un racconto su un viaggio. A chi sente il bisogno di evadere dalla realtà.
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Sulla strada 2014-10-03 02:09:24 ChiaraNirta
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ChiaraNirta Opinione inserita da ChiaraNirta    03 Ottobre, 2014
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Un viaggio lungo l'infinito

"A me piacciono troppe cose e io mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all'altra finché non precipito. Questa è la notte e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia stessa confusione."
La perfetta equazione sovrastante è tratta dall'eminente libro "On the Road", concepito con lacrime di sangue e confusione (una brina di senzazioni comune a tutti i veri scrittori), che Jack Kerouac conosce bene. On the road, come spiega il titolo è un un viaggio (infinito) che ci porta sulla strada. Il protagonista Sal Paradise, nonché alterego dello stesso autore decide di intraprendere un viaggio a rotta di collo con una combicola di amici, tra cui spicca la personalità smaniosa, interrotta e folle di Dean Moriarty. Questo cammino si sciorina gradatamente tra picchi di perversione, fughe alluginogene e mete che non si capisce mai quali siano se non prima dello stesso arrivo, arrivo a cui si accavalla già la prossima partenza, come un'impossibilità a stare fermi, come una necessità a protendersi sempre verso l'infinito. Sal, avrà presto modo di capire che il suo amico Dean è totalmente inaffidabile. Inaffidabile perché non può sfuggire a un destino superiore, quello del disperso... è costretto a seguirsi e mai a seguire. Dean, che vive ogni passo bruciando e corrodendosi, Dean che vive appieno ogni sensazione fino a sentir male alle ossa, a sentirsi raschiare la gola e allora suda, gronda il solo peso d'esistere che gli svapora addosso: un fiume in piena sotto le ascelle, tra le gambe e le mani, tra i capelli zuppi. Gli occhi sempre sgranati e spiritati come per accogliere tutti i fermo immagine del mondo. Dean che ha due donne, ma che all'occorrenza quando il viaggio canta il suo richiamo di dispersione non perde occasione per lasciarle e seguire il suo stesso disadattamento, la sua condanna, un viaggio eterno verso il nulla e verso il tutto. Dean trascina. Lo stesso Dean che ritorna dalle sue dame e giura amore e castelli in aria, e le ama davvero, si prostra per implorare il loro perdono ogni volta che s'illude di potersi fermare, di potersi borghesizzare, come un romantico invasato ottocentesco che venera la donna illibata, l'angelo del focolare e della purezza, emblema come il nespolo dei Malavoglia verghiani della famiglia per antonomasia. Ma non si può ricostruire perfattamente un vaso già crepato in più punti. E' infatti lo stesso uomo licenzioso che affoga nella libidine, nelle droghe, nel rumore assordante della città, è lo stesso che danza come un baccante a ritmo Jazz, nei negri vicoli malfamati dell' Ohio, a San Francisco, a Danver, come se ogni centimetro di terra fosse stato contaminato e benedetto dalle impronte delle sue scarpe, ovunque Dean ha firmato il suo arrivo e la sua partenza poco dopo, assieme a Sal che lo segue. Sal Paradise, apparente protagonista che quasi assorbe il trascinante ritmo di Dean, ma che è solo la sua spalla destra e forse neppure, dell'eroe di questo libro. L'eroe malfamato e sottovalutato Dean, Eroe dei perdenti. Ogni viaggio e ogni tappa che consegue sembra abbacinata da ombre di lussuria, di alcol, di sregolatezza, di personaggi sciancati e coi denti rotti, poveri diavoli ai margini della società avrebbe detto di loro Giovenale, sordidi e viziosi, avrebbe aggiunto e concluso. Ernesto de Martino e Capossela forse sarebbero stati più magnanimi, definendoli semplicemente tarantati, ammalati e adepti del Ballo di San Vito, senza redenzione dall'Apostolo delle genti, come Pantalea di Giuggianello e i tanti che speravano in Galatina, la chiesa madre della redenzione al movimento. Ma sembra che per Sal e Dean non ci sia mai stata una cura, se non scrivere e raccontare quell'ammasso di macerie che era la loro vita e che si è andato accumulando durante viaggi pazzeschi fatti di corse sotto le stelle, finché sognare, per dirlo alla De Andrè sarebbe loro costato uno spruzzo di sangue dal naso, per lo sforzo. Per quanto mi riguarda, questo libro, assemblato su orme e impronte lasciate a germogliare a ridosso dei selciati di tutto il mondo, e non solo sotto cieli americani, ma fra tutte le nebulose della Via Lattea, talmente è infinito e ininterrotto non si porta appresso né un inizio e men che meno una fine. E' un perenne protendersi verso un altrove, un altrove che è qui e poco dopo non c'è più. Quel Non Luogo indefinito che ci manca nostalgicamente speziato d'oriente quando siamo partiti, che abbiamo bisogno di ritrovare solamente ritornandoci. Il bisogno di ritornare, quello che anche il Langarolo Pavese ha tanto decantato nel suo capolavoro "La Luna e i falò". Il ritorno è un tema caro un po' a tutti gli scrittori, almeno tanto quanto è caro l'andare, la fuga, gli scrittori io amo definirli degli "Scappati". Sono scintille vacue: come luci in lontananza appaiono e scompaiono lasciando a bocca aperta chi li osserva, facendo percepire un senso di lontananza e un sapore di promontori inarrivabili, come se si aprissero alla vista soltanto per dissolversi l'istante dopo. Jack Kerouac ha dato vita a un grande capolavoro, i temi principali non solo il viaggio e il disadattamento, ma il ritorno, l'oscurità della comunicazione che sventa se stessa mentre avviene, perché la soggettività si pone prima delle parole deviandone il senso (quasi per un omaggio a Luigi Pirandello, quello che ci aveva avvertiti tutti). A galleggiare in questo minestrone di vitemmorte al confine, tra queste pagine imbevute del sudore di Dean, c'è l'impossibilità del pago. Si capisce scavando che l'essere umano è nato con accanto il cordone ombelicale e l'insoddisfazione, si capisce che ogni posto stanca, e che un divano tappezzato di seta può non essere comodo come una panchina logorata sulla quale stratracannano birra giovani amici in compagnia di vecchi ricordi. Si capisce come le cose cambino se solo ci si sposta di un centimetro per osservarle diversamente. Si capisce quanto la falsa sicurezza della borghesia abbia fallito innanzi alla precarietà della vita, quanto' il benpensante economicamente ostentato possa essere ipocrita rispetto all'immagine denigrata del barbone che canta nenie in compagnia di fuoco e cassonetti putrescenti, quanto la carezza di una prostituta la carezza di una prostituta possa essere più sincera dello sguardo languido-costruito di una verginella dabbene, certe volte, forse. Si capisce quanto le personalità troppo accese e maledetta sopravvivano a loro agio di notte come cani bastardi e randagi digrignando i denti per scippare un tozzo di pane o la libertà. Ci sono molte gradazioni in On The Road, chi vuol salire a bordo di quella macchina di pazzi, si convinca di non far più ritorno realtà, non come prima almeno, rimanendo sempre disperso nel caos confusionale esplicito dall'inchiostro, fra arabeschi di parole e labirintiche che Kerouac ha assegnato eminentemente ispirandosi a Neal Cassady. Il cui pseudonimo è Dean, Dean Moriarty.

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Sulla strada 2014-05-26 17:24:07 ml11
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
ml11 Opinione inserita da ml11    26 Mag, 2014
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La strada degli eccessi

"On the road" è considerato uno dei più grandi romanzi americani di tutti i tempi, un romanzo che ha segnato una generazione: la 'beat generation', quel gruppo di poeti, artisti, scrittori che ha solcato le strade degli Stati Uniti negli anni '40 e '50, contribuendo in un certo senso a cambiare la mentalità di un'intera nazione. E "On the road" ne è il manifesto. La follia, la sregolatezza, il gusto nella ricerca dell'eccesso tramite viaggi infiniti, l'abuso di alcol e droghe, il piacere del sesso. Con il proprio capolavoro Kerouac dipinge un vero e proprio affresco che rappresenta il cuore pulsante dell'America 'beat, underground' degli anni '50. E lo stesso Kerouac ne è un personaggio. Tutte le avventure narrate sono state infatti vissute sulla pelle dall'autore del libro, che dei 'beatniks' è stato uno dei fondatori. Il suo alter-ego nel romanzo si chiama Sal Paradise, un giovane Newyorkese che accompagna l'amico Dean Moriarty in una serie di folli avventure che hanno un denominatore in comune: la strada.
I due infatti attraversano più volte il suolo americano, da est a ovest e viceversa. Le mete sono sempre le stesse, ovvero quelle città che sono famose per la vita notturna e per la possibilità di dar libero sfogo alla sregolatezza. New York, Denver, San Francisco: tra i vicoli di queste città Sal e Dean danno vita a feste infinite insieme ad alcuni amici, cullati da un senso di benessere indotto dall'alcol, dalle donne e dal jazz, la musica che batte all'unisono con la loro anima.
Più volte nel corso del romanzo Sal cerca di distaccarsi da Dean, ben consapevole che quando si trova in compagnia dell'amico si trasforma in un'altra persona, inaffidabile, folle e senza freni. Eppure non riesce mai a perdere l'ammirazione che nutre nei suoi confronti, perchè Dean non si stanca mai della vita, della ricerca dell'istante di pura estasi ed emozione, quando la beatificazione dell'anima si realizza.
Questo senso innato di speranza e fiducia nei propri mezzi lega la figura di Dean a quella del Grande Gatsby di Fitzgerald, anche se nel suo caso la luce verde, l'oggetto dei desideri non è traducibile in qualcosa di concreto, come l'amore di Gatsby per Daisy. Il 'sogno americano' vissuto da Dean e da tutti i beatniks coincide con l'amore per la vita stessa, con la voglia indomabile di scoprire e sperimentare emozioni sempre nuove. Proprio per questo motivo Sal e Dean, alla fine del romanzo, decidono di varcare i confini del Messico e spostare l'asse del loro percorso da ovest-est verso sud, perchè la Route 66 non è più sufficiente, servono nuovi stimoli e sensazioni.
I loro viaggi non hanno mai una meta precisa e reale; ciò che conta è la strada, il viaggio stesso, la conoscenza di un mondo che è sempre troppo piccolo per due uomini come loro.
E anche quando alla fine Sal trova la donna della sua vita e decide di prendersi una pausa dall'esistenza sregolata che aveva fino ad allora condotto, non riesce mai a togliersi dalla testa il pensiero di Dean e delle loro folli avventure. Perchè per lui la vita, quella vera, è sulla strada al fianco di Dean.

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