In questa incisione del 2016 edita dalla Leo Records ho ascoltato il Perelman più riflessivo che mi sia mai capitato davanti.
Ho ritrovato la solita fantasia creativa, il solito piacere di cercare ogni potenzialità espressiva del suo strumento (sax tenore) il solito fraseggio zizzagante, ma le atmosfere create evocano sempre sensazioni di pacatezza, quasi meditative. Anche nei momenti in cui Perelman si lascia completamente andare e il suo sax disegna davvero cose di sublime creatività il mood è calibrato su basse frequenze, non avverti mai la sensazione che il suono possa esplodere o implodere.
Lo stesso identico discorso vale per Gerald Cleaver, uno dei batteristi più fantasiosi ma anche propulsivi della scena avant jazz. Il suo apporto in questo lavoro lo si potrebbe definire minimalista.
E allora viene da pensare che a dettare il climax di questa incisione sia il chitarrista Joe Morris, che sia lui l'anima lirica di questa incisione.
Supposizioni che lasciano il tempo che trovano le mie, quel che conta è l'elevato livello creativo ed emozionale di questa musica. Ed è un livello molto alto ve lo assicuro.
Grazie ai meravigliosi dialoghi tra i tre strumenti, grazie agli spazi solistici che si prendono Perelman e in parte Morris, grazie al supporto ritmico che si offrono l'un l'altro.
Come detto Perelman è si trattenuto a livello "umorale" ma non certo a livello inventivo. Stupisce invece il lavoro di Morris, solitamente esuberante e in prima linea ma che qui si mette in mostra soprattutto come supporto ritmico, come creatore di impalcature di sostegno per i voli liberi di Perelman.
E' il sodale di Cleaver più che di Perelman.
Alla fine abbiamo tra le mani l'ennesima prova del valore di tre protagonisti assoluti della scena avant jazz.
Ma in fondo l'esito era scontato.