Il Segreto di Liberato Recensione

Il segreto di Liberato: la recensione del film

07 maggio 2024
3.5 di 5
4

Un po' documentario, un po' anime che racconta una origin story, un po' film-concerto e un po' backstage. Ci sono tante anime dentro questo film vitale e irrequieto: soprattutto la capacità di riespecchiare l'anima e l'idea di questo misterioso musicista mascherato, e della sua città. La recensione di Il segreto di Liberato di Federico Gironi.

Il segreto di Liberato: la recensione del film

Napoli, l’amore romantico, il mistero dell’anonimato. Un progetto artistico che va oltre la musica, sfiora la performance situazionista, ripudia il culto della personalità in un'era dove il narcisismo regna sovrano.
C’è tutto quello che è e rappresenta il fenomeno Liberato dentro a questo film diretto a tante mani:  Francesco Lettieri, certo, ma anche Giorgio Testi, e ancora Giuseppe Squillaci e LRNZ, alias, Lorenzo Ceccotti per le parti - belle assai - animate. Un film collettivo, quasi, per raccontare di un progetto altrettanto collettivo, orizzontale, diffuso. Qualcosa che ricorda una famiglia, in qualche modo. Perché il legame umano, nella sua essenza più semplice e immediata - quella dell’amicizia, dell’amore, di una quotidianità priva delle sovrastrutture della celebrità o del successo - è quello che emerge prepotente da Il segreto di Liberato.

C’è tanta energia, tanta vitalità, in questo film, che di base è un documentario, ma che viene sovvertito, sgangherato, contaminato dalla voglia di essere tante altre cose ancora. Film concerto, forse, backstage, anche. Origin story, perfino, in quella parte d’animazione di grande qualità estetica e narrativa, e così evidentemente ispirata alla tradizione giapponese, che racconta di come un ragazzino che amava il carnevale e che non capiva perché non si poteva stare sempre mascherati, e che grazie al nonno scopre la musica, arriverà a diventare Liberato, passando per gli anni del liceo, le prime esperienze musicali, esperienze all’estero non sempre felici, e soprattutto una (bellissima) storia d’amore che ne segna il cammino e l’esistenza, e che finisce anche per commuovere noi spettatori.

Che sia vera, quella storia raccontata dal film, importa ben poco. Come importa poco che quelli che sembrano piccoli, fugaci indizi disseminati nel film possano o meno portare a costruire un’ipotesi sull’identità di questo artista.
Importa che, come le parti più puramente documentarie, e come la musica di Liberato, riesca a esprimere e a trasmettere con forza e precisione un’idea. L’idea di Liberato e della sua musica. L’idea di una Napoli che parte dalla tradizione (perfino dal luogo comune) per andare incontro al mondo, al futuro, alla trasformazione di sé stessa. L’idea di un romanticismo e di un sentimento schietti e diretti, capaci di coinvolgere e trascinare. L’idea di poter condurre una vita normale, e semplice, tra la gente, anche quando si riempiono gli stadi.

Come sempre, quando si parla di Napoli, il legame con la città è fondamentale. Non a caso nel pantheon della cameretta del giovane Liberato, ai caschi dei Daft Punk si associa la maschera di Pulcinella, mentre Diego Armando Maradona e Pino Daniele stanno sui poster a guardare.
La capacità di Liberato di elaborare la tradizione napoletana per superarla e confermarla al tempo stesso ha senza dubbio giocato un ruolo fondamentale nel rinascimento della città partenopea. Una città che però questo misterioso artista - che nel finale del film si rivolge direttamente allo spettatore, parlando proprio di segreti - continua a voler vedere nella sua essenza più sincera e profonda: quella che sta sotto gli aperitivi, i tour e le trappole per i turisti, le patinature folkoristiche (o magari i concerti e la maschere), e che si ritrova invece nel mare, nelle amicizie, nelle cose semplici della vita.
Il segreto di Liberato, allora, è in fondo questo: trovare la libertà nell’anonimato, liberarsi dalle sovrastrutture piegandole alle proprie esigenze, rifiutare le regole imposte. Un po’ come fa questo film a lui dedicato, e sul quale è evidente, immanente, la sua approvazione artistica e esistenziale.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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