Come attecchisce la Mafia russa sull'Adriatico - Avanti
sabato, 8 Giugno, 2024

Come attecchisce la Mafia russa sull’Adriatico

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Viaggio tra le mafie straniere in Italia:
Parte Seconda – La scalata della Mafia Russa tra vodka e piadine

Ad Oggi in Italia non ci sono solo gli affari della ‘Ndrangheta, della camorra, di Cosa Nostra, perché il nostro paese si è trasformato in un importatore di associazioni criminali straniere. A raccontalo è l’ultima relazione della Direzione distrettuale Antimafia dove si spiega con dati alla mano che ogni 4 indagati per 416 bis 1 è straniero. Le gang cinesi a Nord, i nigeriani e i russi nel Centro-Sud e la mafia albanese che coprono tutta la penisola. Gestiscono il narcotraffico, la tratta degli esseri umani, la prostituzione e infettano l’economia con il riciclaggio di danaro sporco. E nel frattempo si associano ai calabresi, siglano patti di non belligeranza con i siciliani, lavorano insieme ai pugliesi e fanno da manovalanza ai camorristi. Non ci sono solo i tentacoli delle mafie italiane a fare il bello e il cattivo tempo in tutta Italia isole comprese ma adesso si sono aggiunte le mafie estere. Non ci sono solo gli affari della ‘ndrangheta e di cosa nostra ad imperversare dalla Lombardia alla Sicilia.
La nostra storia inizia nelle Marche e precisamente a Fano. Fano è un’antica cittadina marchigiana che si affaccia sull’Adriatico, a qualche chilometro dalle più note Pesaro e Urbino. I cultori di storia rinascimentale ricordano che venne invasa da Cesare Borgia, l’uomo che tentò di creare uno stato tutto suo nell’Italia centrale del xv secolo, famoso per aver ispirato a Machiavelli la figura del Principe. Ma Fano è anche il luogo dove, negli anni Ottanta e Novanta, si trasferiscono due criminali nati nell’ex Urss: Monja Elson e Iosif Roizis. Monja Elson, nato nel ghetto ebraico di Chișinău, capitale della Moldavia, era emigrato a New York nel 1978 grazie a un visto speciale per perseguitati religiosi. Presto la sua «carriera» prende il volo e si dedica a reati più gravi, fra i quali l’estorsione e l’omicidio. La sua ascesa nella malavita russa lo mette prima in contatto e poi in conflitto con un trafficante di droga di primo piano, e successivamente con Vjaãeslav Ivankov, soprannominato Japonãik, il boss della Solncevo a New York. Solncevo è un modesto quartiere operaio nella zona sudoccidentale di Mosca fatta di schiere di anonimi palazzoni e grattacieli che oscurano il sole ma Solncevo è anche il nome di quella che è forse l’organizzazione criminale più potente nata dalle ceneri dell’Unione Sovietica, detta anche «fratellanza di Solncevo» (Solncevskaja bratva). Il fondatore sarebbe Sergej Michailov, oggi stimato uomo d’affari noto per le sue opere di beneficenza a favore della Chiesa ortodossa. Le foto più recenti lo ritraggono in giacca di tweed e cravatta, rasato e pettinato in modo impeccabile, mentre fissa l’obiettivo con uno sguardo penetrante e allo stesso tempo interrogativo. la Solncevo diventa, verso la metà degli anni Novanta, una protagonista del «selvaggio Est». Un rapporto dell’Fbi del 1995 la descrive come l’organizzazione criminale eurasiatica più potente del mondo quanto a patrimonio, influenza e controllo di risorse finanziarie. Attualmente l’organizzazione conterebbe dai 5000 ai 9000 affiliati.  Benché si sappia pochissimo dei meccanismi interni al gruppo, alcuni ex affiliati, oggi collaboratori di giustizia, hanno dichiarato che esso è governato da un consiglio di dodici persone che si incontrano regolarmente in diverse parti del mondo in occasione di feste e matrimoni, mascherando in questo modo la vera ragione degli incontri. La Solncevo dispone di un fondo comune o cassa il quale viene reinvestito nell’economia legale attraverso numerose banche che lavorano per l’organizzazione. Ma ritorniamo alla nostra storia, creata un forte ramificazione a New York e per depistare determinate indagini del FBI Elson decide di rifugiarsi a Fano, dove un ucraino con passaporto americano, Iosif Roizis, si era stabilito già dalla metà degli anni Ottanta. Qui Roizis aveva avviato un’attività di import-export di mobili fra l’Italia, Brooklyn e la Russia. Roizis era sotto osservazione da parte della polizia italiana. In passato era stato accusato di reati di droga, per i quali non fu mai condannato; era anche il destinatario di bonifici provenienti da località insolite, tra cui New York e la Russia, i quali confluivano sul suo conto corrente aperto presso la filiale di Pesaro della piccola Banca Popolare dell’Adriatico. L’istituto americano al centro degli inspiegabili trasferimenti di denaro era la Bank of New York, la quale alla fine degli anni Novanta sarà oggetto di un’indagine che farà scalpore: due emigrati russi che lavorano per l’istituto – uno è il vicepresidente – trasferiscono illegalmente oltre 7 miliardi di dollari attraverso centinaia di bonifici telegrafici. Nove persone saranno rinviate a giudizio. Nello stesso periodo, Elson è ricercato a New York per omicidio e, su richiesta dell’Fbi, la polizia italiana entra in azione. Nelle prime ore del mattino dell’8 marzo 1995, gli agenti fanno irruzione nell’appartamento di Roizis e lo arrestano ma di Elson nessuna traccia. Poco dopo l’arresto, Roizis comincia a collaborare con le autorità. In un precipitare di circostanze, informa gli inquirenti che un boss della Solncevo, Ivan Jakovlev, si era trasferito in una piccola località balneare fuori Roma a partire dall’ottobre 1994, in quel momentogli gli investigatori scoprirono di dover combattere una nuova forma di malavita organizzata la Solncevo o volgarmente chiamata “Mafia Russa”. Il salto di qualità della Mafia Russa avviene con il crollo dell’Urss. I gangster ebbero l’occasione storica di arricchirsi grazie al collasso del sistema pubblico e al ritmo forsennato delle grandi privatizzazioni. Presero il controllo di un asset criminale strategico: il traffico di armi, compresi uranio e plutonio. Non esistono dati certi sulla quantità di materiale bellico sottratta al complesso militar-industriale sovietico in sfacelo; il tramite ceceno potrebbe essere stato uno dei canali di rifornimento che sono stati usati da Bin Laden. I capi delle grandi “brigate” sono glaciali finanzieri che investono nel business immobiliare e guadagnano con la tratta dei clandestini, il traffico di organi, la prostituzione, la droga e le armi. Corrompono e minacciano chiunque si metta sulla loro strada. Sono avidi e camaleontici: Vyacheslav Ivankov, il “giapponesino”, si fingeva ebreo per muoversi tra le frontiere della Russia, l’Europa e gli Stati Uniti. In Italia. La mafia russa sbarca sulla costa romagnola negli anni Novanta. Rimini è la meta preferita del “turismo criminale” postsovietico. I boss girano in riviera per investire il denaro sporco, comprano attività commerciali, gestiscono il mercato nero. L’ecstasy che sballa i discotecari fino all’alba viene dai loro laboratori clandestini. La coca arriva direttamente dalla Colombia: i russi hanno stretto accordi con i cartelli colombiani per gestire la triangolazione degli stupefacenti dal Sudamerica in Europa. L’organizzazione si allarga presto nelle regioni del Centro e del Nord-Est, tra Emilia, Marche, Toscana, Veneto.
Sempre all’inizio degli anni Novanta il gotha mafioso moscovita viene scalzato da figure emergenti che si impongono in patria e all’estero. Yuri Ivanovich Essine, detto “Samosval”, è uno dei nuovi, potentissimi capibastone che scelgono l’Italia come quartier generale. Appartiene alla “Brigata del sole” una delle famiglie vincenti della mafia russa (conta almeno un migliaio di affiliati e fiancheggiatori). Yuri è laureato in legge, esperto di alta finanza, sembra un tipo dai modi gentili. Lo arrestano nel 1997 a Madonna di Campiglio, una delle mete turistiche preferite del jet set mafioso russo. Pasteggiava a caviale e saldava i suoi conti d’albergo in contanti (anche 30 milioni di lire alla volta). Nel frattempo gestiva campi paramilitari in Belgio.
L’operazione “Scacco matto” – condotta da polizia, DIA e Sisde – ha scoperto che Yuri reinvestiva i soldi sporchi in alberghi, tecnologie elettroniche, moda e alimentazione. Con lui vengono arrestate un centinaio di persone. Come avviene per altri gruppi criminali stranieri che operano nel nostro paese, Yuri aveva trovato degli agganci nel mondo politico e imprenditoriale. Era socio al 30% della “Globus Trading”, nella cui compagine societaria figurava anche l’ex-forlaniano Alberto Grotti, un boiardo dell’ENI già condannato per la maxitangente Enimont.
Nel 1995 la polizia arresta Monya Elson, un altro pezzo da novanta della Brigata del Sole. Lo fermano a Modena nel corso della operazione “Rasputin”. Sembrava un onesto gioielliere ma lo arrestano per truffa, estorsione e riciclaggio. Qui da noi aveva l’esclusiva nel commercio delle calze e dei mobili d’arredamento, imposti agli imprenditori russi che lavorano in Italia. Sarà estradato negli Usa. Nel 1997 viene smantellato un gruppo di fuoco che aveva scelto Roma come base di lancio. In un’abitazione della capitale la Polizia trova fucili d’assalto, sistemi di puntamento laser, munizioni da guerra. E’ la casamatta del boss Solonnik Alexander crivellato qualche tempo prima ad Atene. Solonnik era a capo della “Brigata Kurganskaya” – specializzato in omicidi su commissione e traffico di armi per questi suoi servizi spesso viene reclutato sia dalla Camorra che dalla Ndrangheta con cui allaccerà veri e propri rapporti collaborativi.
Nel 2000, a Prato, la polizia scopre un traffico di sordomuti costretti all’accattonaggio dall’organizzazione. La chiamano “tratta degli storpi” e fa il paio con quella delle baby-sitter, delle badanti e delle prostitute. Sono tanti i canali con cui vengono persuasi e ricattati gli immigrati clandestini. I boss hanno in mano agenzie interinali e turistiche per reclutare lavoratori di ogni genere (soprattutto edili) e fornirgli documenti falsi. L’operazione “Girasole”, condotta dal Ros dei Carabinieri nel 2002, porta a 75 arresti nell’ambito della tratta di corpi umani. Nel 2006 la Fondazione Caponnetto definisce la mafia russa l’organizzazioni criminale più sottovalutata del nostro Paese ma fortemente radicata. Da ultimo c’è stato il salto di qualità cibernetico: i boss della net-generation assumono cervelloni informatici per fare spamming, “pishing” e frodi finanziarie. L’anno scorso sono state attaccate diverse piattaforme di e-commerce, costrette a pagare il pizzo per sfuggire agli hacker. Possiamo definirla la prima cyber estorsione on-line.

Francesco Brancaccio

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