L'ultima battaglia di Alamo - la Repubblica

Il Venerdì

L'ultima battaglia di Alamo

Turisti all’ingresso dell’Alamo, il monumento più visitato del Texas (Robert Alexander/Getty Images)
Turisti all’ingresso dell’Alamo, il monumento più visitato del Texas (Robert Alexander/Getty Images
Il restauro del fortino in cui nel 1836 si asserragliarono i texani indipendentisti diventa motivo di scontro nell’America di oggi. Ricordare solo Davy Crockett o anche George Floyd? Reportage
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SAN ANTONIO. Ai più resistenti alle sirene del Texas più retrivo, le onde radio di Npr offrono sempre, guidando, una bretella di sensatezza. Pur lanciati in corsia tutti nella stessa direzione, e sovrastati dai due lati da quello che al non texano apparare come una sorta di machismo della carrozzeria, la National Public Radio srotola davanti un invisibile corridoio di comfort. È una passerella prima di tutto linguistica in onde Fm: l'inglese della East Coast, un conversare posato e disteso, l'ambasciata radiofonica dell'America progressista. Basterebbe un attimo per scivolare in Am, l'auto si gonfierebbe di musica country e sermoni, e il tutto sarebbe in rima perfetta con questa distesa di erba che si fa fatica a chiamare pianura, e che costeggia l'Interstate 10 che attraversa San Antonio, e poco dopo diventa prima deserto e poi Messico.

Dalla radio s'infila invece, appena arrochita da una tosse ormai sempre sospetta, la voce di un uomo che chiede al suo ospite se avrebbe accettato "quel ruolo" dopo la morte di George Floyd. Capisco poco del contesto, nostro figlio reclama il sopraggiunto limite di tolleranza da seggiolino, mia moglie da dietro invoca un pit stop da pannolino. Il tema del dialogo alla radio è un film, l'ospite è un attore afroamericano chiamato - così mi pare - a interpretare il ruolo di un poliziotto di colore. L'ospite dà due colpi di tosse, si schiarisce la voce, poi dice soltanto "No". E tace. Quel niente di parole che segue, pronunciato dentro questo panorama di frontiera, dentro il Texas più orgogliosamente bianco, è molto loquace.

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La pausa poco dopo è Flatonia, il cui nome non lascia scampo alla fuga dal piatto. Una linea unica per un treno che non passa più, e una baracca con sopra scritto City Jail, una vecchia galera ormai arrugginita, un container per fuorilegge la cui massima pena è il sole texano che batte da sopra. Sul cruscotto, la faccia di Davy Crockett - l'icona, inscindibile cinematograficamente dal volto di John Wayne, simbolo della lotta per l'indipendenza del Texas dal Messico - sulla copertina di un libro sulla battaglia di Alamo, e l'adesivo di Black Lives Matter che chiude il portellone della nostra Honda stanno insieme, come sta insieme, ora che siamo di nuovo in viaggio, il country che dà una spallata ai commenti sul processo a Derek Chauvin e quel tre volte guilty, colpevole, per un poliziotto, nella sentenza per l'omicidio di Floyd.

David "Davy" Crockett ci aspetta anche sull'insegna dell'hotel, a San Antonio, per questa prima gita per così dire post pandemica. E insieme al lettino da camera per bambini, che un cameriere messicano in mascherina ci consegna bussando alla porta, ci dà una sporta di stoffa con materiale pubblicitario sull'Alamo e il suo intramontabile mito nella vulgata più classica: la resistenza di pochi texani all'escalation militare del generale messicano Sant'Anna, la fine nel sangue per i texani, e quel grido Remember the Alamo!, con cui poi andarono alla controffensiva e si proclamarono indipendenti dal Messico. E poi l'eco lunghissima di quel grido, lanciato nel 1836, distorto negli anni, diventato leggenda, e arrivato fino a gennaio 2021, quando un Trump da estremi rimedi vi alluse nella sua conferenza finale, proprio a Alamo, Texas, tre ore a ovest da qui, parlando con alle spalle i pochi metri di muro col Messico realizzati davvero - mentre dietro l'elicottero già batteva le pale pronto a partire. Come a dire: tornerò, e non avrò pietà per nessuno.

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Quel "Ricorda" così perentorio, caricato di vendetta più che di sprone alla memoria, in questo inizio d'estate texana suona come un verbo sempre più difficile da pronunciare. Su una cancellata poco lontana dalla missione francescana in cui si asserragliarono i texani di Crockett, una schiera di palloncini rossi a forma di cuore portano scritto Remembering the families. Sono il residuo - stanco - del primo anniversario pandemico, febbraio 2020, quando i primi casi si annunciarono su un trafiletto, sigillati dentro la base militare San Antonio-Lackland, trasportati da una nave crociera. E da lì poi dilagarono, per il Texas, in America, sulle pagine dei giornali.

Un “soldato” durante la rievocazione storica (Alamy/ Ipa)
Un “soldato” durante la rievocazione storica (Alamy/ Ipa) 

Un anziano in tenuta d'epoca si aggiusta la mascherina mentre mostra a un capannello di turisti come si puliva quel cannone - piuttosto male in arnese - prima di far fuoco contro l'esercito messicano. Da un paio di mesi, il governatore del Texas ha decretato la fine dell'emergenza Covid, eppure qui stiamo tutti distanti e protetti, e la mascherina di questo anziano Mr Crockett da celebrazione, rompe ogni patto su cui si fonda la finzione, cioè, di base, la fiducia che in un modo o nell'altro tutto andrà a finire bene. Ci invita per una foto: indica nostro figlio dentro il passeggino, e lui per tutta risposta punta il dito altrove e dice "Di là!".

Il gift shop dell’Alamo (Alamy/ Ipa)
Il gift shop dell’Alamo (Alamy/ Ipa) 
Là è uno dei tanti negozi di souvenir, dove la faccia di John Wayne, da dentro il manifesto del film The Alamo, si sporge verso quella di George Floyd, stampato sulle t-shirt di tre ragazze in dreadlocks. La scritta Remember Big Floyd, sotto il sorriso del ragazzo originario di Houston ucciso a Minneapolis, ha tutto il tono di una provocazione. L'Alamo, di fronte, nella sua solidità intaccata dal tempo, è infatti al centro di una controversia. C'è un piano da oltre 400 milioni di dollari per rinnovarlo, ma l'inciampo è nel solito conflitto di memorie. Ricordare l'Alamo, certo, ma come? Solidificare la semplificazione di un mito fondativo tutto bianco, indipendentista e cowboy, oppure sfruttare l'occasione per fare storia, visto che la storia è un'azione di conoscenza. Nel concreto: riportare al centro del discorso lo schiavismo, e il ruolo di primo piano che ha avuto nell'indipendenza del Texas, oppure continuare ad alimentare il mito hollywoodiano dei pistoleri?

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Ci mettiamo in coda, mi chiedo a quale età le frasi si sedimentino in coscienza. A queste scolaresche che visitano la missione insieme a noi, che disciplinate stazionano davanti all'elenco dei morti in battaglia, chi deve indicare, o aggiungere, i nomi degli schiavi al seguito degli eroi dell'Alamo? E chi ricorda gli indiani, ovvero i nativi, i primi a essere stati cacciati, a subire il fraintendimento tra la retorica dell'indipendenza e la realtà della conquista e del dominio a ogni costo? Questo in fondo è il punto della questione, che oggi immobilizza il restauro dell'Alamo: perché non dire - e dunque mostrare a tutti, turisti compresi - quella che è ormai un'evidenza storica, e cioè che una delle spinte per l'indipendenza del Texas dal Messico fu il desiderio tutto americano di avere mano libera sulla schiavitù, a fronte di una netta contrarietà del Messico? Liberarsi del Messico - cioè - per non liberare gli schiavi. Perché non dire che dal Nord furono felici di scendere e investire in queste terre a patto di avere manodopera for free, che quella della schiavitù è una storia americana e non texana?

Nel semibuio di questo posto, poi in realtà nostro figlio si addormenta, e un colpo di cannone sparato nel 1836 in un video lo sveglia ora, in un soprassalto di disperazione che ci costringe alla fuga. La River Walk, su cui ripariamo, è l'evidenza che il ritorno alla normalità coincide con questa forma di amnesia ostentata ai ristoranti. I più offrono cucina messicana - in una sorta di offerta culinaria pre-Alamo. Il "River" è un corso d'acqua di dimensione modeste, sufficiente a incanalare il passeggio nel consumo invece di disperderlo nella incontenibile vastità texana.

La fine della schiavitù

La via del ritorno verso Houston è una specie di ronzio del sonno di nostro figlio. È una delle ultime volte che useremo il seggiolino rivoltato all'indietro, l'innocenza sta per finire, tra poco comincerà a guardare dove guardiamo anche noi. Dallo specchietto retrovisore vedo mia moglie con gli occhi chiusi che ciondola la testa senza mai veramente perdere la compostezza. Sul sedile accanto a me la borsa dell'hotel con il viso di David Crockett da cui spunta un volantino di "Juneteenth", la festa del 19 giugno chiamata anche Emancipation Day, o Freedom Day. Nel giugno del 1865 i soldati dell'Unione arrivarono a Galveston, sul Golfo del Messico, ad annunciare che la guerra civile era finita e non c'era più schiavitù. Questo avveniva oltre due anni dopo che con il Proclama di emancipazione Abraham Lincoln aveva ufficialmente abolito la schiavitù. Che intanto proseguiva, per l'appunto, indisturbata. Da anni il Texas cerca di trasformarla in festa nazionale, e solo l'eco straziante dell'I can't breath di Floyd sembra vicina a farcela davvero quest'anno. Il 19 giugno è alle porte, il caldo tropicale già prepara la stagione degli uragani che verrà a vorticarci intorno in agosto. Cominciano già le prime piogge, come quella che scende ottusa sull'Interstate 10.

Torniamo a Houston per una visita pediatrica di controllo. Mi ha chiamato Kimberly per confermare l'appuntamento, ho risposto che forse faremo un po' di ritardo ma stiamo arrivando. Quando la incontrammo la prima volta ero felice che mio figlio avesse una pediatra afroamericana, e a giudicare dal modo in cui le sorrideva, lo era anche lui. Finché poi aveva aperto la porta la vera pediatra, bianca, occhi chiari, io che di colpo capivo la mia ingenuità, e Kimberly che tornava a essere l'infermiera, l'unica nera insieme alle donne alla cassa.

Così di questo 19 giugno, adesso mi colpiscono soprattutto i due lunghi anni di scarto tra il Proclama di emancipazione di Lincoln e l'annuncio tardivo di Galveston. E d'improvviso Juneteenth mi sembra soprattutto il giorno che ammonisce sul persistere delle discriminazioni, che continuano indisturbate a dispetto dei proclami. I due anni trascorsi sembrano non essere mai finiti, tra morti ammazzati e memoria stralciata, e persino col dolce sorriso di Kimberly che ora ci accoglie alla porta bagnati di pioggia e dice a nostro figlio "did you like the Alamo, sweetheart?"

Andrea Bajani, è uno scrittore, writer in residence alla Rice University di Houston. Il suo romanzo "Il libro delle case", edito da Feltrinelli, è tra i finalisti dello Strega

Sul Venerdì del 18 giugno 2021