La recensione del film Il gusto delle cose al cinema

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Lunedì, 27 Maggio 2024
Opinioni

Com’è Il gusto delle cose, il nuovo film con una storia d’amore tra cuochi (e la consulenza di Pierre Gagnaire)

Al cinema è arrivato un film ambientato in Francia che utilizza la cucina come una metafora di una storia d’amore. Anzi molto di più. Ecco la nostra recensione

Una storia d’amore e padelle, ma anche un esercizio di tecnica registica e due grandi attori in scena. Il Gusto delle cose è arrivato nelle sale italiane giovedì 9 maggio distribuito da Lucky Red, dopo aver vinto il Premio per la Miglior Regia ed esser stato scelto come candidato della Francia agli ultimi Premi Oscar. Il film, diretto daTrần Anh Hùng, cineasta di origine vietnamita diventato noto negli anni’ 90 per Il Profumo della Papaya Verde e Cyclo (Leone d’Oro a Venezia ‘95), vede protagonisti la sempre luminosa Juliette Binoche nei panni della talentuosa cuoca Eugenie, e Benoit Magimel in quelli del suo capo e amante, il raffinato e famosissimo gastronomo Dodin Bouffant. Il film si è avvalso della consulenza dello chef francese Pierre Gagnaire.

Il gusto delle cose, la trama del film al cinema

Siamo nel 1885 e in un antico castello immerso nella rigogliosa campagna della Loira la cucina è in fermento fin dal primo mattino. In questo ambiente luminoso, ampio e zeppo di ogni strumento allora immaginabile, utile per mettere a punto i più deliziosi tra i piatti, si muove, leggiadra ma decisa, la cuoca Eugenie, una vera regina del gusto, le cui intuizioni, creatività e sapienza, fanno la gioia del padrone del castello, il buongustaio Dodin Bouffant. Il loro sodalizio dura da molti anni, e dal gusto e l’olfatto ha pian piano coinvolto altri sensi e ha reso Dodin ed Eugenie, colleghi, complici e amanti.

Una scena dal film Il gusto delle cose

Un amore singolare come i due innamorati ricchi di talento culinario: raffinato e sempre in cerca di un nuovo sapore da scoprire Dodin e saggia, libera e sicura di sé Eugenie, che questa libertà la protegge con le unghie e con i denti non cedendo alle reiterate proposte di matrimonio dell’amante. Dodin non si dà per vinto e si impegna (ovviamente tra i fornelli) a stupire quella che considera comunque già sua moglie. Una complicità che viene scossa da qualcosa di inaspettato che succede a Eugenie e che, come un fulmine a ciel sereno, stravolge la vita dei due.

Il gusto delle cose, la piccola felicità perfetta di Eugenie e Dodin

Padelle che sfrigolano, sughi che bollono, fondi che si restringono, aromi che si diffondono, braci che crepitano e in mezzo a tutta questa odorosa sinfonia, la danza di Eugenie che passa dal forno al tagliere, dai fuochi alla dispensa, dall’orto alla tavola. La scena è riempita totalmente, ma anche equamente divisa, tra il cibo e la protagonista che lo ama, lo trasforma, lo esalta. Passa almeno un quarto d’ora prima che questa sontuosa scena si concluda, e insieme a Eugenie ci presenta anche l’altro protagonista, Dodin, e l’aiuto di cucina, Violette.

La storia di un amore che non esiste senza cucina

È la premessa perfetta per un film che ribalta in un certo senso i ruoli che ci si aspetterebbe di trovare rappresentati. Più che la storia d’amore di una donna e un uomo, in questo film c’è la storia della loro passione per la cucina. Il racconto del singolare e maturo (non solo anagraficamente ma anche psicologicamente) rapporto tra Eugenie e Dodin non è nulla senza l’ossessione per il cibo. Non sarebbe nemmeno mai nato, i due non si sarebbero mai incontrati, o se si fossero incontrati, non si sarebbero mai capiti fino in fondo come invece hanno avuto la fortuna di fare proprio grazie alla comune ossessione.

I due attempati amanti che ancora non si stancano di rincorrersi, Dodin nella parte del cacciatore ed Eugenie nella parte della fiera che difende la sua libertà e vuole amare solo a modo suo, diventa quasi secondaria in un film che è soprattutto un grande omaggio all’arte culinaria, ai piaceri della tavola, ai sapori ultraricchi e ovviamente ai vini corposi e robusti che li accompagnano e li esaltano.

La cucina come una sorta di epopea: la mano del regista Trần Anh Hùng

Trần Anh Hùng riprende le ispirate e maestose operazioni della cucina del castello di Dodin come un altro riprenderebbe la scena di una battaglia epocale che ha cambiato la storia: con precisione, ossessione per i dettagli, vividezza, realtà, immersione totale in tutti i numerosissimi passaggi di lavorazioni lunghe, complesse e curate con tutto l’amore che richiedono. Lo fa nel chiuso della cucina, la fucina delle invenzioni che ambiscono a stravolgere i palati dei fortunati che le assaggiano, ma lo fa anche fuori, nella natura, dove il cibo vede la sua prima luce, nel lussureggiante orto curato da Eugenie e Dodin. E in tutto questo dare fondo a una passione comune ci rendiamo conto che rimangono imbrigliati i due colleghi e amanti, legati da un filo rosso che parte dalla cucina, passa per la tavola e arriva fino al letto.

Juliette Binoche e Benoit Magimel sono perfetti per raccontare questo mondo, fatto della condivisione dello speciale talento di riconoscere e vivere i piaceri che rendono la vita degna di essere vissuta e permettono di sperimentare una forma di felicità, come quella di Eugenie e Dodin, limitata ma perfetta. E con un sapore che, anche una volta finita, non si può più dimenticare.

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