Le origini delle proteste contro la violenza razziale | National Geographic

Le origini delle proteste contro la violenza razziale

Le proteste del 2020 sono un nuovo sviluppo nella lotta per l’uguaglianza razziale.

da Thomas J. Sugrue

pubblicato 22-06-2020

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4 giugno 2020: riuniti per manifestare contro la brutalità della polizia e la morte di George Floyd, i dimostranti affollano le strade di New York.

FOTOGRAFIA DI Amir Hamja

L’attivista di Black Power degli anni ’60, noto anche come H. Rap Brown una volta disse che “La violenza è parte della cultura americana, è americana tanto quanto la torta di ciliegie”.

Nell'ultimo mese oltre un migliaio di proteste — la maggior parte delle quali pacifiche, sebbene alcune siano sfociate in atti violenti — hanno travolto l’America, a seguito dell’indignazione causata dalla morte di George Floyd, registrata in un video mentre l’uomo, ammanettato, giaceva faccia a terra e un agente di polizia di Minneapolis gli premeva un ginocchio sul collo per quasi nove minuti. Floyd è stato uno dei circa 1.000 americani uccisi ogni anno dalla polizia, la stragrande maggioranza dei quali afroamericani.

Guardando al passato, gli osservatori cercano termini di confronto delle attuali insurrezioni nel caos del 1968. Ma le radici degli eventi del 2020 affondano in profondità nell’ultimo centinaio di anni di storia americana, segnato da rivolte razziali, massacri e scontri tra la polizia e gli afroamericani. A partire dal 1919, nel XX secolo tre grandi ondate di ribellioni a livello nazionale hanno fatto luce su come sia cresciuta la lotta per l’uguaglianza razziale, quanto sia cambiato e cosa sia rimasto immutato.

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Nel luglio del 1967, il pestaggio di un tassista nero per mano di poliziotti bianchi innescò una rivolta durata sei giorni a Newark, nel New Jersey, che portò al dispiegamento della Guardia Nazionale.

FOTOGRAFIA DI Mel Finkelstein

Oltre 50 anni dopo, i manifestanti hanno riempito le strade di New York con il pugno alzato, cartelli e cellulari per dimostrare contro la morte di George Floyd, causata da un agente di polizia.

FOTOGRAFIA DI Kick James

L’“Estate rossa”

La prima ondata arrivò all’inizio del XX secolo, la cosiddetta “Estate rossa” del 1919, mentre il Paese si stava riprendendo dalla prima guerra mondiale ed era profondamente diviso da tensioni razziali e di genere, dal fervore anti-immigrazione e dalla mortale epidemia di influenza spagnola. Quell’anno si verificarono decine di violenti scontri a sfondo razziale in almeno 25 località, comprese città più piccole come Elaine, in Arkansas e Bisbee, in Arizona e città più grandi, come Omaha, in Nebraska, Chicago, in Illinois e Washington D.C.. Durante la prima ondata, centinaia di migliaia di afroamericani si stavano spostando verso nord – in quella che divenne poi nota come la Grande migrazione – in cerca di opportunità di lavoro derivanti dal periodo bellico e in fuga dalla violenza e dall’oppressione dell’ex-Confederazione.


Nel 1921, bande di bianchi, con la complicità della polizia locale, incendiarono Tulsa, il quartiere commerciale nero in Oklahoma, conosciuto come “Black Wall Street”, uccidendo circa 300 persone e lasciando quasi tutta la popolazione nera della città senza casa. Nella maggior parte di questi massacri e rivolte, la polizia chiuse un occhio sulla violenza esercitata dai bianchi arrestando invece gli afroamericani che si difendevano.

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Le tensioni tra i bianchi e i veterani afroamericani della prima guerra mondiale furono una delle cause alla base dell’Estate rossa del 1919; a Chicago fu fatta intervenire la milizia di stato per sedare le rivolte.

FOTOGRAFIA DI Chicago Tribune, Getty Images
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La rivolta razziale (Race Riot) di Chicago del 1919 è stata tra le più devastanti dell’Estate rossa; durò 13 giorni, causando 38 morti e 537 feriti. In questa immagine, un gruppo di bianchi armati insegue un uomo afroamericano.

FOTOGRAFIA DI Jun Fujita

Durante la rivolta, i bianchi appiccarono il fuoco a tantissime case di afroamericani, lasciando oltre un migliaio di persone senza casa.

FOTOGRAFIA DI BETTMANN ARCHIVE, GETTY IMAGES

In risposta a queste tattiche brutali, negli anni ‘20 e ‘30 gli afroamericani investirono le energie nell’istituzione di organizzazioni per i diritti civili. L’Associazione nazionale per il progresso delle persone di colore (National Association for the Advancement of Colored People, NAACP), fondata nel 1909, ampliò la propria campagna nazionale per la giustizia razziale, creando una delle più grandi organizzazioni di massa nel Paese, che nel 1945 contava 500.000 membri.

Milioni di afroamericani — sia nel Nord urbano che nel Sud rurale — si avvicinarono alle organizzazioni che promuovevano l’orgoglio razziale e l’auto-determinazione, in particolare l’Associazione per il miglioramento dei neri (United Negro Improvement Association, UNIA), guidata da Marcus Garvey. Legittimati dal diritto di voto (un diritto negato ai neri mediante soppressione dei votanti in gran parte del sud), gli afroamericani nelle città del Nord iniziarono a esercitare la loro influenza elettorale.

Lotta del fascismo all’estero e del razzismo a casa

La seconda ondata di proteste di massa e di violenza razziale arrivò durante gli anni turbolenti della Depressione e della seconda guerra mondiale. Nel 1941 quando il leader dei movimenti per i diritti civili e il lavoro A. Philip Randolph minacciò una marcia su Washington per chiedere al governo federale di creare posti di lavoro per gli afroamericani, il presidente Franklin Roosevelt cedette alle pressioni e firmò un’ordinanza per la creazione del Comitato per le pratiche di lavoro equo (Committee on Fair Employment Practices). L’ipocrisia di razzismo in un Paese che stava combattendo una guerra mondiale per la democrazia alimentò la rabbia tra gli afroamericani, scatenando uno dei più intensi periodi di organizzazione politica dei neri e di opposizione bianca nella storia.

In una seconda ondata della Grande migrazione, centinaia di migliaia di lavoratori neri si spostarono a nord e a ovest durante la guerra, trovando occupazione nelle fabbriche di aeroplani e nei cantieri navali. I giornali rivolti alle comunità afroamericane, guidati dal Pittsburgh Courier che pubblicizzavano la discriminazione e la violenza razziale, lanciarono la campagna della “doppia V”, per la vittoria contro il fascismo all’estero e contro la supremazia bianca all’interno della nazione.

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Nell’agosto 1944 i contestatori marciarono per esprimere supporto alla decisione della Philadelphia Transit Company di consentire ai neri di guidare i tram a seguito di uno sciopero dei lavoratori bianchi. Molti sostenitori citavano le esperienze degli afroamericani nella seconda guerra mondiale: "Guidiamo i carri armati, perché non possiamo guidare i tram?".

FOTOGRAFIA DI Courtesy the John W. Mosley Photograph Collection, Temple University Libraries

Durante le rivolte razziali di Detroit, un membro della folla bianca circostante attacca un uomo nero sotto la custodia della polizia.

FOTOGRAFIA DI AP

Il 21 giugno un gruppo di bianchi danneggia e capovolge un’auto. Per circa 24 ore, nel giugno 1943, Detroit, nel Michigan, vide una delle peggiori rivolte razziali della seconda ondata che terminò con la morte di 25 neri (17 dei quali furono uccisi dalla polizia) e 9 bianchi.

FOTOGRAFIA DI AP

Nel 1943 a Mobile, in Alabama, e a Detroit, i bianchi preoccupati della crescente aggressività dei neri e della competizione per lavoro e alloggio imperversarono nei quartieri dei neri attaccando i lavoratori neri, in una sorta di ripresa degli accadimenti dell’Estate rossa del 1919. Quell’anno scoppiarono oltre 240 rivolte razziali in tutti gli Stati Uniti. Gli afroamericani non erano i soli bersagli: lo stesso anno, a Los Angeles, gruppi di bianchi rabbiosi per la nuova minaccia razziale attaccarono giovani uomini messicani-americani. In tutte queste città la polizia intervenne, prendendo le parti dei bianchi rivoltosi.

Durante e dopo la seconda guerra mondiale, gli afroamericani protestarono attivamente — sia in modo pacifico che violento — contro il razzismo e la brutalità della polizia. Il quartiere di Harlem di New York era un focolaio di attivismo per i diritti civili. Nell’agosto 1943, dopo l’uccisione per mano della polizia di Robert Bandy, un soldato afroamericano in licenza, folle infuriate di neri indignati per la brutalità della polizia ruppero vetrine e si scontrarono con gli agenti delle forze dell’ordine.

A Birmingham, in Alabama, durante il periodo bellico, gli afroamericani si opposero al trattamento di seconda classe sugli autobus cittadini, scontrandosi con i conducenti e i passeggeri bianchi e con la polizia. Nel 1943 e nel 1944, gli attivisti per i diritti civili a Chicago organizzarono sit-in nei ristoranti che si rifiutavano di servire i neri. Tali proteste si ampliarono, diventando un movimento di dimensioni nazionali, tra gli anni della guerra e la metà degli anni ’60.

I turbolenti anni ‘60

Alimentata dalla crescita del movimento per i diritti civili, una terza enorme ondata di sommosse urbane attraversò il Paese tra il 1963 e il 1968. Le proteste nascevano da decenni di organizzazione sotterranea contro la segregazione e la discriminazione razziale negli ambiti di lavoro, alloggi, trasporti e commercio, sia nel Nord che nel Sud.

Nel 1963, Martin Luther King, Jr. e la Conferenza dei leader cristiani degli Stati del Sud (Southern Christian Leadership Conference) sfilarono in corteo a Birmingham, in Alabama, chiedendo la desegregazione di grandi negozi, ristoranti, bagni pubblici e fontanelle. In una violenta dimostrazione di forza, il Commissario di Pubblica Sicurezza di Birmingham, Eugene “Bull” Connor, impartì agli agenti di polizia e ai vigili del fuoco l’ordine infame di usare i cani da guardia e le manichette antincendio sui manifestanti non violenti, molti dei quali erano scolari.

Come rappresaglia per tale brutalità, gli abitanti neri per difendersi imperversarono nel quartiere commerciale della città. Quando le dimostrazioni pacifiche non ottenevano i risultati desiderati e i funzionari delle forze dell’ordine usavano la forza per sopprimere il dissenso, i manifestanti spesso ricorrevano ad azioni più dirompenti.

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Le baionette puntate e i carri armati incombenti minacciano i contestatori nello sciopero degli operatori sanitari del 28 marzo 1968. Il Rev. Martin Luther King, Jr. si sarebbe recato nel Tennessee per supportare lo sciopero il 3 aprile. Fu assassinato il giorno seguente.

FOTOGRAFIA DI Bettmann Archives, Getty Images
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Durante le rivolte razziali di Newark nel luglio 1967, i commercianti afroamericani, come questo titolare di attività, si appellavano alla solidarietà razziale per tutelare i propri esercizi dai saccheggi.
 

FOTOGRAFIA DI Harry Benson

Le proteste pacifiche, come queste a Birmingham, Alabama, incontrarono risposte violente da parte della polizia. Nel 1963 durante una protesta contro la segregazione, organizzata dal Reverendo Dr. Martin Luther King Jr. e il Reverendo Fred Shuttlesworth, sui giovani manifestanti afroamericani furono usati gli idranti.

FOTOGRAFIA DI Frank Rockstroh

È uno schema che si sarebbe ripetuto centinaia di volte per molti anni dopo, traendo energia dal crescente movimento Black Power, che promuoveva l’orgoglio dei neri, la legittima difesa contro gli attacchi razzisti e l’autodeterminazione. Philadelphia, Harlem e Rochester bruciarono nel 1964, Los Angeles nel 1965 e Chicago e altre città nel 1966, fino alla “Lunga estate calda” del luglio 1967, quando in 163 città scoppiarono episodi di violenza collettiva contro la brutalità della polizia e l’indifferenza alla sofferenza dei neri.

Gli afroamericani bruciarono e saccheggiarono i negozi e subirono violente ripercussioni da parte delle forze di polizia delle grandi città, quasi interamente composte da bianchi. A Newark, nel New Jersey, 34 persone morirono, 23 delle quali per mano della polizia. A Detroit i morti furono 43, la maggior parte dei quali uccisi dai circa 17.000 agenti della polizia, Guardia Nazionale, e truppe militari inviati a soffocare la ribellione. Nell’aprile 1968, il dolore e la rabbia per l’assassinio di Martin Luther King, Jr. provocarono sommosse nelle quali oltre 100 città furono date alle fiamme.

Le insurrezioni degli anni ’60 differirono da quelle precedenti, del 1919 e del 1943. Le successive dimostrazioni — sia pacifiche, sia più dirompenti — furono condotte dagli afroamericani, diversamente dalle rivolte razziali di Chicago, Tulsa, Detroit e Los Angeles, che erano state istigate da bande di bianchi. Negli anni ‘60, quasi tutti gli episodi di saccheggio e incendio avvennero nei quartieri degli afroamericani, e presero di mira principalmente negozi locali di proprietà di bianchi, accusati di far pagare ai clienti neri prezzi maggiori per merci più scadenti. Alcuni bianchi si unirono agli atti di vandalismo ai danni dei negozi, ma le folle e i distretti commerciali interessati erano principalmente neri.

Gli unici bianchi che popolavano le strade in numero rappresentativo erano gli agenti delle forze dell’ordine, che alimentavano le fiamme dello scontento picchiando e sparando sui manifestanti. Molti americani bianchi, — inclusi i candidati alla presidenza Richard M. Nixon e George Wallace — acclamarono la polizia. Tra coloro che simpatizzavano con i contestatori neri c’erano membri di spicco della pregiata commissione bipartisan Kerner, stabilita dal Presidente Lyndon B. Johnson per investigare le cause delle sommosse degli anni ‘60.

I suoi 11 membri, incluso l’unico senatore nero della nazione, Edward Brooke (R-Mass) e il direttore esecutivo di NAACP Roy Wilkins, pubblicarono un report che rimarrà famoso che concludeva che per molti neri “la polizia era venuta per rappresentare il potere dei bianchi, il razzismo dei bianchi e la repressione dei bianchi”.

La faccia della protesta cambia

Nei decenni che seguirono il 1968, i focolai di proteste e conflitti furono geograficamente più isolati, ma le loro cause e la rabbia che li alimentava preannunciavano gli eventi del 2020. Nel 1992, a Los Angeles scoppiarono proteste e rivolte di massa dopo l’assoluzione degli agenti di polizia che furono ripresi in un video mentre picchiavano brutalmente il tassista nero Rodney King. Vent’anni dopo, le morti di altri afroamericani ad opera della polizia hanno innescato indignazione pubblica, proteste di massa e a volte attacchi ad attività di proprietà di bianchi.

Gli attivisti sparsi in tutto il Paese si riunirono nel movimento Black Lives Matter (Le vite dei neri contano, NdT), fondato nel 2013 da Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi in risposta al proscioglimento di un uomo della Florida che colpì a morte con colpo d’arma da fuoco uno studente nero di 17 anni, disarmato, Trayvon Martin, in visita dai parenti in un quartiere residenziale. Questa coalizione usa proteste, social media e pubblicità per fare luce sulla violenza della polizia contro gli afroamericani.

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Dalla morte di George Floyd, il 25 maggio 2020, le proteste si sono estese da Minneapolis, luogo della morte di Floyd, a tutti i 50 stati americani e in tutto il mondo. Kingmil Miceus è tra coloro che manifestano a Nyack, New York.

FOTOGRAFIA DI Al J Thompson

Le insurrezioni del 2020 assomigliano a quelle del 1919, 1943 e 1968 per certi aspetti: nascono da ostilità latenti alimentate dalla lunga storia di atti di violenza dei bianchi e di brutalità della polizia contro gli afroamericani che ha mietuto centinaia di vite ogni anno, incluse quelle di Floyd, Breonna Taylor e Ahmaud Arbery, tre delle più recenti vittime. La maggior parte delle proteste del 2020 sono state pacifiche, come hanno rilevato i primi rapporti, e solo una piccola parte è sfociata in azioni violente.

Ma, rispetto al passato, le dimostrazioni dei nostri giorni sono marcatamente interrazziali: afroamericani, americani asiatici, latino-americani e bianchi, tutti provvisti di mascherina per evitare la diffusione del virus che causa la COVID-19, si radunano insieme nei centri cittadini, bloccano ponti e autostrade e manifestano davanti alla Casa Bianca. Questo indica una nuova fase dell’opposizione, che unisce gruppi che finora non hanno avuto molto in comune, nell’arco della storia americana. Nei casi in cui si sono verificati conflitti, le vittime degli assalti, dei gas lacrimogeni e dei proiettili di gomma sono di tutte le razze.

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A Minneapolis poco dopo la morte di Floyd, la polizia lancia lacrimogeni sui manifestanti fuori dal 3° distretto di polizia. Come avvenne nelle sommosse del passato, anche alcune manifestazioni del 2020 sono sfociate in atti di violenza e saccheggio.

FOTOGRAFIA DI Stephen Maturen
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A New York, la rabbia è stata sfogata sulle catene di negozi e sui quartieri più benestanti della città, un notevole cambiamento rispetto alle rivolte dei passati decenni.

FOTOGRAFIA DI Amir Hamja

Anche la geografia degli atti di violenza e saccheggi appare differente, nel 2020. Gli scontri prima avvenivano principalmente nei quartieri neri; oggi, spesso nascono e si diffondono nei centri benestanti e nei centri commerciali suburbani. I saccheggiatori prendono di mira negozi locali e catene globali nei quartieri signorili come Rodeo Drive a Beverly Hills, Soho a New York e Buckhead ad Atlanta.

Non possiamo ancora comprendere a pieno il significato delle scritte dei manifestanti, che dicono sia “Black Lives Matter” (Le vite dei neri contano, NdT) sia “Eat the Rich” (Mangia i ricchi, NdT) ma tra la crescente disoccupazione e le continue ingiustizie sociali, potremmo trovarci di fronte a qualcosa che è vecchio e nuovo allo stesso tempo.

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Le proteste negli scorsi decenni spesso vedevano persone di razze diverse in fazioni contrapposte. Nel 2020, manifestanti di diverse razze, che indossano mascherine come protezione e tutela dal virus della COVID-19, sfilano fianco a fianco a New York, il 1 giugno 2020. 

FOTOGRAFIA DI Amir Hamja

La solidarietà dei manifestanti di oggi trascende le sanguinose divisioni razziali del passato e potrebbe essere un trampolino di lancio per riforme più radicali. La morte di George Floyd ha innescato un movimento globale, che vede la rimozione delle statue degli schiavisti da Bristol, in Inghilterra a Richmond, in Virginia, contestatori anti-polizia in ginocchio da Seattle a Rio de Janeiro e a Roma e funzionari pubblici americani che discutono se tagliare i fondi alla polizia oppure ricostruire il sistema delle forze dell’ordine dalle fondamenta.

Se le sommosse del 2020 risolveranno le annose questioni di ingiustizia razziale che continuano a consumarsi sulle strade dell’America rimane tutto da vedere, ma se più razze manifestano insieme piuttosto che una contro l’altra, è possibile che l’arco della storia sia giunto a un punto di svolta in direzione della giustizia.