Anthony Elliott: "Siamo tutti impreparati all'intelligenza artificiale. Sta cambiando la nostra vita affettiva, amorosa ed erotica" - HuffPost Italia

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Anthony Elliott: "Siamo tutti impreparati all'intelligenza artificiale. Sta cambiando la nostra vita affettiva, amorosa ed erotica"

“A tutti noi piacerebbe avere un’intelligenza artificiale etica. Ma l’etica non è una semplice questione di regolamentazione e conformità. Forse non dovremmo domandarci che cosa sta succedendo all’intelligenza artificiale. Ma che cosa sta succedendo all’etica, alla moralità, alla cultura, come conseguenza dell’intelligenza artificiale”.

Anthony Elliott è un sociologo australiano di fama internazionale, Bradley Distinguished Professor di Sociologia e Direttore esecutivo del Centro di eccellenza “Hawke Eu Jean Monnet” (centro che studia l’impatto globale dell’intelligenza artificiale) dell’Università dell’Australia del Sud. Esperto di identità, società, globalizzazione e rivoluzione digitale, studia da sempre l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’uomo. Nel 2019 è stato chiamato dal National Science and Technology Council di Canberra a scrivere un rapporto sullo sviluppo efficace ed etico dell’intelligenza artificiale. Ha fatto anche parte di un team di esperti nominati dal governo australiano. Il suo ultimo libro, non ancora pubblicato in Italia, si intitola “Algorithmic Intimacy: The Digital Revolution in Personal Relationships” (John Wiley and Sans Ltd, 2022). Tra gli altri suoi libri ricordiamo “La cultura dell’intelligenza artificiale”, pubblicato in Italia per Codice Edizioni. Huffpost lo ha intervistato in occasione della presentazione, che avverrà venerdì, all’Università di Torino, di “MagIA”, magazine online interamente dedicato all’intelligenza artificiale, per cui Elliott ha scritto un contributo. Tra i temi affrontati nell’ampia intervista ci sono l’impatto che l’intelligenza artificiale sta avendo sulla nostra identità e sulle nostre relazioni personali, i rischi che ci sono dietro la corsa dei grandi colossi tecnologici e dei governi a sviluppare nuovi modelli di intelligenza artificiale generativa, e che riemergono dopo il lancio, da parte di Google, dell’intelligenza artificiale nel suo motore di ricerca, sfidando apertamente OpenAI e Apple. Infine una profonda analisi sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, che secondo il professore "non è sufficiente per rendere l’intelligenza artificiale etica".

Professor Elliott, perché ha scelto di scrivere un libro su come gli algoritmi influiscono sulla nostra intimità?

La maggior parte della letteratura recente sull’intelligenza artificiale si concentra sull’impatto che l’intelligenza artificiale sta avendo sulle organizzazioni, le istituzioni, le infrastrutture. Mi è venuto invece in mente - ed è un’idea di qualche anno fa, quando ho iniziato a scrivere il libro - che l’intelligenza artificiale impatta sicuramente su istituzioni e infrastrutture, ma è molto, molto di più rispetto a questo. In realtà l’intelligenza artificiale scende fino al cuore della persona, impatta sull’identità, l'amicizia, la compagnia, le relazioni, la vita familiare e la sessualità del corpo. La mia tesi principale è che l’intelligenza artificiale influenza la sfera dell’intimità. E, nello specifico, le relazioni personali. Ecco perché il libro ha come sottotitolo “La rivoluzione digitale nelle relazioni personali”. L'intelligenza artificiale automatizzata ora funziona dentro di noi, è nel tessuto stesso della nostra vita emotiva. È una specie di tecnologia che fornisce consigli. L’intelligenza artificiale non ci dice solo che cosa mangiare, quali film vedere, quali libri leggere. Arriva a dirci con chi dobbiamo essere amici. Sta ridefinendo i contorni stessi del significato delle relazioni, dell’amore, dell’erotismo nella società contemporanea di oggi, nel 2024.

Viviamo in un mondo in cui l’intelligenza artificiale è onnipresente…

È molto interessante questo concetto di onnipresenza. Sappiamo tutti che gli algoritmi sono onnipresenti. È un po’ come la presenza di Dio, che c’è, ma è invisibile. Noi ci accorgiamo degli effetti che ha su di noi l’intelligenza artificiale, ma solo retroattivamente.

Ecco, però l’onnipresenza dell’intelligenza artificiale è compatibile con l’intimità?

Questa è la domanda che mi pongo nel libro. È il mio trampolino di lancio. C’è un’enorme quantità di letteratura che sostiene che l’intelligenza artificiale costituisca la fine non solo del mondo del lavoro, ma della cultura, dell’economia, del giornalismo, del mondo accademico, dell’umanità per come la conosciamo, a causa dell'impatto di sistemi di armi letali automatizzati. Nel libro io ricerco una posizione più moderata, equilibrata. Dobbiamo arrivare a metterci in testa, per prima cosa, che l’intelligenza artificiale contiene opportunità e rischi. E comprende rischi perché possono esserci miliardi di studiosi dell’intelligenza artificiale, dagli ingegneri, agli informatici, ai fisici, ai filosofi, ma nessuno, a mio parere, è davvero esperto di intelligenza artificiale. Perché nessuno sa dove l’intelligenza andrà a parare. Nessuno conosce i suoi obiettivi. Stiamo vivendo un esperimento in tempo reale. Nella storia dell’umanità non è mai stato vissuto quello che stiamo vivendo noi ora. Per tale ragione non c’è una risposta corretta alla sua domanda. Nel libro inserisco storie che dimostrano che l’intelligenza artificiale è compatibile con il fiorire dell’intimità, ma altre che dimostrano che invece non è compatibile.

Ma se l’intelligenza artificiale impatta su diversi campi della società, perché è così grave che impatti anche sulla nostra intimità?

Secondo me c’è un passaggio chiave. Le opere teatrali, la poesia, i libri, la cultura in generale, nella storia, ci hanno fornito definizioni di amore e di altre relazioni personali sempre diverse, a seconda dei periodi storici. Noi sappiamo che società diverse e periodi storici diversi hanno modi diversi di intendere e organizzare le relazioni intime. Ora invece stiamo entrando, sempre più, in un mondo in cui l'amore, l'erotismo e le connessioni intime con gli altri si stanno ridefinendo come un’ingegneria delle relazioni, una progettualità delle relazioni. I rapporti sono sempre più progettati, non semplicemente spontanei…

Dunque, riprendendo il titolo del suo libro, “l’intimità algoritmica” rivoluziona le relazioni intime convenzionali…

Sì, esatto. Nella concezione convenzionale di relazione i rapporti devono essere lavorati, richiedono tempo, impegno, cura, costanza, tenerezza, negoziazione. L’intimità algoritmica è invece molto più caratterizzata da un focus sull’istintività, sui consigli, sulla disponibilità e altre caratteristiche simili. Oggi si parla più di connessione che di compagnia, più di plasticità che di permanenza, più di consiglio che di relazione. È quanto di più lontano dalla relazione.

La macchina sarà mai in grado di percepire ed entrare in empatia con i sentimenti umani?

Sicuramente ci stiamo avvicinando rapidamente verso il mondo che è raccontato nel film “Her”. Il New York Times ha scritto un articolo in questi giorni in cui sostiene che sia arrivata l’era di “Her”. Nel film un uomo solitario dal cuore spezzato si innamora di un sistema informatico di nuova generazione progettato per soddisfare tutte le esigenze dell’utente, che si chiama Samantha. La macchina è sensibile, profonda e divertente. I due finiscono per sviluppare una relazione romantica molto intensa. Hanno un rapporto erotico profondo. Era il 2013 e parlare di queste tematiche era assolutamente fantasioso. Invece guardi dove siamo ora. Per rispondere alle sua domanda, credo che ci siano stati grandi sviluppi e ci saranno enormi sviluppi in quello che viene tecnicamente definito “calcolo affettivo”. Si guardi all’intelligenza artificiale generativa. Questi sistemi stanno diventando sempre più bravi a riprodurre un'interazione umana.

Mi viene in mente il nuovo modello Chat GPT-4o, presentato in questi giorni da OpenAI…

Esatto, GPT-4o potrà parlare con gli utenti in un modo molto più realistico, rilevando le emozioni nelle loro voci, analizzando le loro espressioni facciali e cambiando il proprio tono e la cadenza a seconda di ciò che vuole un utente. Ma la realtà è che non si tratta di un’interazione umana. Si tratta di un livello cognitivo in cui si è in grado di rispondere alle domande poste dall’umano e di fornire le informazioni che l’umano desidera, quando le desidera. Gli esperti definiscono “singolarità tecnologica” il punto in cui l'intelligenza non biologica eguaglierà e supererà l'intelligenza biologica. Ma io non credo che ciò possa avvenire. 

In un altro libro che ha scritto, “La cultura dell'intelligenza artificiale”, investiga l'intelligenza artificiale come fenomeno culturale e sociale a tutti gli effetti. Quali sono le potenzialità e i rischi di questa connessione tra sistemi digitali e società?

Ciò che investigo in questo libro è l’intersezione tra due mondi. Un mondo fisico, nel quale ci troviamo, dove c’è il contatto tra esseri umani, circondato da comunità, e il mondo digitale. Questa intersezione non è chiaramente una cosa nuova. Il mondo digitale è entrato dentro di noi da molto, con l’avvento di internet. Ma con il passare del tempo si inserisce sempre di più dentro la società. E questo crea ovviamente un senso di panico. Perché siamo costretti a lottare nella nostra vita quotidiana, a sopravvivere, a stare al passo. “La cultura dell’intelligenza artificiale” osserva l'intero fenomeno, analizzando come le persone riescono a vivere l’intersezione tra i due mondi, come riescono a spostarsi tra i due ambienti. Gli esseri umani sono creativi, innovativi, fantasiosi. Nel mondo digitale si trovano invece a compiere sempre più attività con il pilota automatico. Questo porta immensi vantaggi, perché le società diventano più ricche e più complesse, ma contiene anche giganteschi rischi. Uno dei principali è perdere il significato di noi stessi, lo scopo della nostra vita. Perché accade che esternalizziamo il nostro processo decisionale e personale a macchine intelligenti. Il rischio, enorme, è di chiudersi fuori dalla nostra stessa vita.

Perché l’essere umano, che ha introiettato da tempo il mondo digitale, ha così paura dell’intelligenza artificiale?

La rivoluzione digitale è la forza trasformatrice più potente al mondo, nel nostro tempo. Tutti i governi stanno conducendo revisioni nazionali per le loro economie, al fine di gestire l'intelligenza artificiale. Io stesso sono stato nominato membro di un team per la revisione sull’intelligenza artificiale dal governo australiano. Quello che noto è che oltre il mondo accademico, le persone sono tremendamente preoccupate dall’intelligenza artificiale nella vita quotidiana. E sono due le ragioni principali. La prima è la più banale ed è la preoccupazione che i robot possano prendere il nostro lavoro. Voglio dire, è anche giusto che tutti siano preoccupati da questa prospettiva. La seconda ragione riguarda l’etica, e il tema di come governiamo e regoliamo l’intelligenza.

A proposito di questo. Due giorni fa Google ha lanciato l'Intelligenza Artificiale nel suo motore di ricerca, sfidando apertamente Open AI e Apple. Il gigante della tecnologia ha anche detto che utilizzerà sempre più l’intelligenza artificiale generativa. Cosa pensa di questa corsa, da parte dei giganti tecnologici, a sviluppare continuamente nuovi modelli di intelligenza artificiale generativa?

Penso che sia normale che ciò accada nel regno del privato. Voglio dire, ce lo aspettiamo. Ci sono grandi interessi di mezzo. Ma la corsa all’intelligenza artificiale avviene anche tra governi, ci sono Paesi che aspirano a diventare leader nell’intelligenza artificiale e questo è pericoloso. Quando ho lavorato alla revisione sull’intelligenza artificiale per il governo australiano non può immaginare quanta documentazione ho letto redatta da altri governi. Il Giappone è stato uno dei primi a scrivere un rapporto sull’intelligenza artificiale e sullo sviluppo di nuovi sistemi. Il rischio è che poi tutti questi sistemi sviluppati così rapidamente siano molto simili. Il rischio è quello di inseguire una moda, investire miliardi di dollari senza comprendere che l’intelligenza artificiale non riguarda solo la tecnologia, ma la cultura, la società. Noi quanto conosciamo di questi sistemi? Siamo impreparati, perché come ho detto prima è un mondo nuovo che nessun essere umano ha mai sperimentato in precedenza.

Non basta regolare questi sistemi per evitare i rischi?

L’Italia sta giocando un ruolo enormemente interessante nel dibattito pubblico sull’AI, perché il Papa parteciperà al G7 di luglio, nella sessione sull’intelligenza artificiale. Il problema che osservo è che il dibattito sull'etica dell'intelligenza artificiale è in gran parte un dibattito sulla conformità, sulla regolamentazione e sulla governance. Ma non basta spuntare le caselle. O meglio, possono farlo i burocrati, ma non può bastare per regolare macchine che prendono decisioni anche critiche per nostro conto. 

E che cosa serve?

Il punto è che stiamo tentando di capire con categorie vecchie un mondo che l’intelligenza artificiale sta trasformando. Sono categorie che non entrano in connessione con questo mondo. Prendiamo ad esempio l’AI Act europeo, che da poco ha ricevuto il primo via libera dall'Europarlamento. Sicuramente ha dei benefici. Per le aziende sicuramente, ma anche per i privati, perché fornisce delle direttive, uno schema entro cui muoversi. A tutti noi piacerebbe avere un’intelligenza artificiale etica. Ma forse non dovremmo domandarci che cosa sta succedendo all’intelligenza artificiale, ma che cosa sta accadendo all’etica, alla moralità, alla cultura, come conseguenza dell’intelligenza artificiale. L'etica non è una semplice questione di regolamentazione e conformità. Per questo è fondamentale la presenza del Papa al G7. Perché occorre riformare e rallentare.

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