Giuliette degli spiriti. Storie, aneddoti e curiosità dei primi 70 anni dell’Alfa che sedusse l’Italia - la Repubblica

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Giuliette degli spiriti. Storie, aneddoti e curiosità dei primi 70 anni dell’Alfa che sedusse l’Italia

Giuliette degli spiriti. Storie, aneddoti e curiosità dei primi 70 anni dell’Alfa che sedusse l’Italia
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ROMA – Il primo amore sarà stato, come per tutti, la mamma. Il primo fidanzamento ufficiale però avvenne quando avevo quattro anni, bambino precoce. La fidanzatina si chiamava Giulietta e non era una compagna dell’asilo o la cuginetta o la figlia di amici di famiglia conosciuta a una festicciola con le aranciate, le “cocacole” e i grissini col prosciutto in vetta. La mia Giulietta era un’automobile, un’Alfa Romeo, forse la più bella del mondo. Vederla e amarla per sempre fu tutt’uno.

Molti furono folgorati dallo stesso colpo di fulmine, tanto che la stampa prese a chiamarla la fidanzata d’Italia e dovetti combattere contro centinaia di migliaia di rivali per assicurarmi la reciprocità. Intanto toccava aspettare l’età della patente, poi trovarne una in buone condizioni, poi mantenerla con la paghetta squattrinata. In più mi tormentava il dubbio che da “grande” non le avrei più trovate in giro, inghiottite dalla pressa del demolitore. Infanzia dolorosissima. Per fortuna non fu così.

La Giulietta ha compiuto in questi giorni settanta anni. Li ha compiuti la sua versione Sprint, presentata a Torino all’esterno del Salone dell’Auto il 19 marzo del 1954. Era la presentazione semi-ufficiale di due vetture di pre-serie, una azzurra e l’altra rossa. Le ho ancora davanti agli occhi malgrado non avessi che tre anni e mezzo. Mio padre voleva comprarne una e mi aveva portato con sé, anche se poté solo ordinarla e aspettare quasi un anno prima di ritirarla.

La Giulietta era una novità assoluto per la casa del Portello che fin dalle origini aveva costruito modelli lussuosi e auto da corsa, un vanto per l’industria italiana. Era l’auto delle grandi famiglie, degli attori, dei reali di mezzo mondo, come il principe giapponese Chichibu, fratello dell’Imperatore Hiroito, che utilizzava una RL del 1927, o Leopoldo e Astrid del Belgio, e perfino del Duce, cui una generosa sottoscrizione operaia di cui si vantava la spontaneità, aveva regalato una RLSS” 6 cilindri spider carrozzata Zagato. Senza dire dei trionfi sportivi di piloti come Nuvolari, Varzi, Campari, Brilli-Peri, Antonio Ascari, la baronessa Avanzo, Fagioli, Fangio, Farina e molti altri.

I bombardamenti della guerra avevano devastato l’Alfa e reso impossibile produrre auto, tanto che dovette ripiegare sulla fabbricazione di utensileria e cucine economiche prima di ricostruire le linee di montaggio. Una volta ripristinate, grazie agli aiuti del piano Marshall, fu deciso di orientarsi verso una clientela meno facoltosa, correndo il rischio di comprometterne il blasone sportivo. L’Alfa era proprietà dell’Iri sin dal 1933 e la sua accorta dirigenza non volle sfidare il dominio Fiat e, in misura minore, Lancia nel settore delle medie, dunque progettò un’auto di categoria leggermente superiore (1300 cc anziché 1100 e 1200 come le rivali) e dalla vocazione decisamente brillante, come nella sua tradizione.

Progettata da un team eccezionale (Orazio Satta Puliga, Giuseppe Busso, Giuseppe Scarnati, Rudolf Hruska e altri genii), la Giulietta avrebbe dovuto essere pronta nella primavera del 1954; così prometteva la sottoscrizione promossa per raccogliere ordini e capitale fresco, ma soprattutto per dimostrare agli alti gradi che esisteva una platea di compratori per la nuova nata.

Durante tutti i collaudi non si era tuttavia potuta eliminare una fastidiosa rombosità nell’abitacolo, inammissibile in una vettura “borghese”. Fu perciò deciso di presentare al suo posto la versione coupé, una elegante berlinetta disegnata da Scarnati, migliorata da Mario Felice Boano e successivamente affinata da Nuccio Bertone e dal suo estroso designer, Franco Scaglione.

L’idea era che la vocazione sportiva avrebbe reso tollerabile il rumore, e mai idea fu più giusta perché quel raglio metallico caratteristico del bialbero e della sua doppia catena di distribuzione fu da subito una caratteristica che identificava le Giuliette anche al buio.

Giulietta Masina e l'Alfa Giulietta

Giulietta Masina e l'Alfa Giulietta

 

Inutile dire che fu un successo clamoroso, nessun’altra concorrente vantava le sue prestazioni, l’accelerazione, la frenata, la tenuta di strada. Forse solo la Porsche 356 e qualche sportiva inglese come Triumph e MG (tutte però di cilindrata superiore) potevano tenerle testa sui rettilinei, ma non nel misto-veloce dove la Giulietta metteva tutte a tacere.

Risolti i problemi di rumorosità, anche le versioni berlina e la più potente Turismo Internazionale (TI), avrebbero catapultato l’Alfa fra i costruttori europei capaci di grandi numeri.

Era scritto che la madrina di queste brillanti vetture fosse Giulietta Masina, l’interprete di Luci del varietà, Le notti di Cabiria, La strada, Il bidone, Giulietta degli spiriti, Ginger e Fred del suo pirotecnico consorte Federico Fellini (oltre a molti altri capolavori del cinema italiano) e di cui Charlie Chaplin disse: «è l’attrice che ammiro maggiormente». Sarà lei infatti a tenere a battesimo la Giulietta n° 100.001, sorridente fra le maestranze dell’Alfa, stavolta sollevate dall’obbligo di regalarla a qualcuno.

Resta da dire che questa splendida settantenne nel corso del tempo ha acquisito un ascendente sempre maggiore. In tutte le sue declinazioni, dalla berlina alla TI del Centro Stile Alfa, dalla Sprint, Sprint Veloce e Sprint Speciale di Bertone, alla Spider di Pininfarina, alla Sprint Zagato disegnata appunto da Zagato, queste auto di cilindrata contenuta ma dalle prestazioni esuberanti sono state il desiderio di un’infinità di giovani e meno giovani non solo in Italia ma in tutto il resto del mondo.

L’incremento delle sue quotazioni nel mercato collezionistico è sempre in ascesa e non risente delle mode passeggere, che talvolta premiano e subito dopo affondano altre vetture prestigiose. L’angoscia che avevo da ragazzino di non trovarle più da grande è stata sventata e la prima cosa che ho fatto appena i primi lavoretti me l’hanno permesso è stata di comprarne una, usatissima. Non era in gran forma, ha avuto bisogno di molti amorosi interventi. Fortuna che gli amici del cuore li ho sempre avuti tra meccanici e carrozzieri.

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