PAPEN, Franz von in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

PAPEN, Franz von

Enciclopedia Italiana (1935)

PAPEN, Franz von

Carlo Antoni

Uomo politico tedesco, nato a Werl, il 29 ottobre 1879, da famiglia cattolica della Vestfalia. Ufficiale degli ulani e poi di Stato maggiore, era addetto militare a Washington nel 1915. Accusato di organizzare atti di sabotaggio contro il trasporto di materiali agli Alleati, fu richiamato su richiesta del governo americano ed ebbe confiscato il bagaglio, che conteneva atti compromettenti. Ne seguì un clamoroso incidente diplomatico. Tornato in patria fu, col grado di ten. colonnello, capo di Stato maggiore del gen. Liman von Sanders, comandante dell'armata turca operante in Palestina.

Congedatosi dall'esercito nel 1918, si diede alla politica entrando nel partito del Centro cattolico. Principale azionista e presidente del consiglio di amministrazione del giornale cattolico conservatore Germania, fu uno dei capi dell'ala destra del partito al Landtag prussiano, dove sedette dal 1921 al 1928.

Il 1° giugno 1932 il presidente Hindenburg lo mise a capo di un gabinetto di "concentrazione nazionale". Le riduzioni dei salarî, da lui autorizzate, gli procurarono l'avversione delle masse popolari; forte tuttavia dell'appoggio del presidente del Reich, depose il 20 luglio manu militari il gabinetto prussiano Braun-Severing e assunse le funzioni di commissario del Reich per la Prussia. Nel luglio liquidò a Losanna l'annosa questione delle riparazioni con un accordo che suscitò le proteste di Hugenberg e di Hitler. Prese posizione anche contro i nazionalsocialisti inasprendo le pene contro le violenze di parte. Quando il 12 settembre il Reichstag votò una mozione comunista di sfiducia, ottenne dal presidente il fulmineo scioglimento del Reichstag, che provocò un incidente tra lui e il presidente dell'assemblea Göring. Le elezioni del novembre 1932 ebbero il significato di ostilità contro il suo governo.

Stava progettando una riforma costituzionale, quando la minaccia di torbidi determinò Hindenburg a esigere che si accordasse con i partiti. Poiché questi si rifiutarono di trattare, presentò il 17 novembre 1932 le dimissioni, continuando tuttavia a svolgere dietro le quinte un'intensa attività minando il nuovo governo del gen. von Schleicher. Per opera sua si giunse alla ricostruzione del cosiddetto "Fronte di Harzburg", all'intesa cioè di tutte le destre, che preluse all'ascesa al potere di A. Hitler.

Nel gabinetto di Hitler il von P. assunse, come uomo di fiducia del presidente del Reich, la carica di vice-cancelliere e di commissario per la Prussia. La sua posizione fu scossa dal successo delle camicie brune nelle elezioni del 5 marzo. Nel luglio 1933 riuscì a concludere, giovandosi anche delle sue personali relazioni con la corte pontificia, un concordato tra il Reich e la S. Sede. Il 7 aprile la legge sui luogotenenti del Reich aveva offerto l'occasione a Hitler di togliergli il governo della Prussia. Guardato con diffidenza e non celata ostilità dai capi nazionalsocialisti, rimase al suo posto per esplicita volontà di Hindenburg. Nel giugno 1934 criticò aspramente le tendenze di sinistra del nazionalsocialismo e deplorò la campagna anticristiana, attirandosi gli attacchi dei suoi colleghi di gabinetto Goebbels e Göring. La sua posizione divenne insostenibile il 30 giugno 1934 durante la repressione dell'agitazione delle Sturmabteilungen. Da allora non partecipò alle riunioni del gabinetto, ma conservò la carica di vice-cancelliere. Dopo l'uccisione del cancelliere austriaco Dollfuss e il fallito putsch nazionalsocialista in Austria, fu inviato da A. Hitler a Vienna per ristabilire rapporti normali tra il Reich tedesco e l'Austria (agosto 1934)

Bibl.: W. Schotte, Das Kab. Papen-Schleicher-Gayl, Lipsia 1932.

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