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Cent’anni di Rocky Marciano, mito imbattibile della boxe italo-americana

Esattamente un secolo fa nasceva a Brockton nel Massachusetts, Francesco Rocco Marchegiano, da tutti conosciuto come Rocky Marciano, la più grande leggenda della boxe, non avendo mai perso un incontro in tutta la sua carriera. Un libro di Dario Ricci ne ricostruisce la biografia e l’incredibile carriera

di Dario Ceccarelli

(Getty Images)

4' di lettura

Tutto inutile: non andava mai giù. Potevano colpirlo duramente. O cercare di tenerlo lontano. Approfittare delle sue braccia corte. Ridicolmente corte. Più corte di qualsiasi peso massimo mai sceso sul ring. Ma lui, sempre più minacciosamente, accorciava la distanza braccando il suo avversario che cominciava ad aver rispetto di quel tenace mastino che gli faceva male. Molto male. Perché anche se le braccia erano corte i suoi pugni - soprattutto il destro - erano duri come pietre. Magli pesantissimi che toglievano il fiato e velavano gli occhi. E poi, quando scagliava il colpo decisivo, il pubblico lo avvertiva un attimo prima. Stavano tutti in attesa in una specie di religiosa sospensione. Come nella pausa tra il lampo e il tuono. E quel tuono, forte come una scossa di terremoto, non lasciava scampo.

Un secolo fa, il primo settembre 1923, nasceva a Brockton nel Massachusetts, Francesco Rocco Marchegiano, da tutti conosciuto come Rocky Marciano, la più grande leggenda della boxe, non avendo mai perso un incontro in tutta la sua carriera. Ne vinse 49 su 49. Si ritirò imbattuto a 31 anni nel 1956. Non era bello, non era elegante, non era particolarmente dotato fisicamente (178 cm, 85 kg) per un peso massimo, ma aveva una forza interiore che lo rendeva invincibile.

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“Se sei piccolo, fatti ancora più piccolo” amava dire Marciano per descrivere il suo modo di combattere. Più lo picchiavi e più lui si faceva sotto. Non mollava mai perché non voleva tornare alla antica miseria dei suoi avi, dei suoi genitori che in nave erano arrivati in America in cerca di una fortuna che trovò solo il figlio, ben deciso a sfuggire, a suon di pugni, dalle catene di una vita senza speranze. Il padre di origine abruzzese, di Ripa Teatina, si chiamava Pierino e si sfinì in una fabbrica di scarpe. La madre, Pasqualina, invece era campana, di San Bartolomeo in Galdo, provincia di Benevento.

La boxe fa scrivere dei bei libri. Come ben racconta il collega Dario Ricci (Rocky Marciano sulle tracce del mito, editore Dfg Lab), il nostro era povero e figlio di immigrati. Senza un particolare titolo di studio. Era andato e tornato dalla guerra con un solo obiettivo: trovare la strada per uscire dalla trappola della povertà. Una strada che gli permettesse di camminare a testa alta in una America, quella del dopoguerra, dove solo chi era tenace riusciva ad andare avanti. Costi quel che costi.
Con il baseball gli era andata male. Non faceva per lui. Invece la boxe gli piaceva. Perché rispecchiava il suo carattere. Nel ring non ci sono vincoli, gerarchie, titoli di studio, ricchezza o povertà. Va avanti solo chi ha la testa dura e i pugni come clave.

Marciano comincia a 25 anni, quasi vecchio per la boxe. Eppure ce la fa grazie a una passione e una forza di volontà fuori dal comune. Si allenava in modo ossessivo, facendo diventare qualità i suoi difetti. Poi era umile, incredibilmente umile, cosa che lo faceva amare da tutti. La sua vera arma, un'arma letale, era il destro che lui affettuosamente chiamava “Suzie Q” in omaggio a un passo di un vecchio ballo degli anni Trenta. Anche i suoi montanti al corpo erano devastanti. Era un demolitore seriale di pesi massimi, quasi tutti più alti o pesanti di lui.

Nel suo primo incontro, quello dell'esordio nel maggio 1947, il suo avversario, Lee Epperson, lo prende sottogamba. Un errore fatale. Alla terza ripresa Marciano fa scattare il suo destro. Un destro esplosivo che colpisce Epperson al plesso mandandolo al tappeto. Da questo incontro Rocky guadagnerà solo 35 dollari, ma sarà l'abbrivio di una carriera straordinaria che lo porterà ad essere campione del mondo dei massimi dal 1952 al 1956, difendendo con successo il titolo sei volte. Fu un precursore anche negli allenamenti e nell'alimentazione. Non beveva il vino, evitava il caffè, mangiava molta frutta e verdura, cosa rarissima nell'America di quel tempo. Tra i tanti combattimenti, due quelli più memorabili. Quello del 26 ottobre 1951 con il suo idolo, Joe Luis, altra leggenda della boxe del dopoguerra. Marciano vince alla ottava ripresa per ko tecnico. Ma i due rimasero molto amici anche quando Luis, caduto in povertà, verrà aiutato da Rocky. Un altro combattimento indimenticabile nel 1952 quando l'italo-americano conquistò il titolo di campione del mondo strappandolo a Jersey Walcott, battuto per ko alla 13esima ripresa. In precedenza Marciano era finito al tappeto, ma poi si riprese atterrando il campione con un fortissimo diretto seguito da un gancio al volto.

Non erano tempi “puliti”per la boxe, quelli del dopoguerra in America. Storie di malavita. Spesso per giochi di scommesse interveniva la mafia. Ma non con Marciano, idolo anche dei padrini che andavano matti per quel martello che veniva dall'Abruzzo. Rocky sapeva, ma abbozzava. A lui interessava la boxe, guadagnare bene, non avere grane. Era un ex povero che non andava troppo per il sottile. Amico di tutti e amico di nessuno. Citato in film e canzoni (splendida “Boxe” di Ivano Fossati), Marciano è davvero un mito. Anche la sua morte, avvenuta il 31 agosto del 1969, sembra uscita dalle pagine di un romanzo. Era il giorno del suo compleanno. Ma prima di andare a casa per festeggiarlo con la moglie Barbara e i figli, si schiantò con un piccolo aereo colpito da un temporale. Aveva 46 anni. Era ancora giovane. Ma il suo mondo, con lui, stava scomparendo. Erano tempi nuovi. Tra i pesi massimi svettava Cassius Clay, poi Mohamed Alì, diventato campione del mondo nel 1964 battendo a sorpresa il temuto Sonny Liston.

Mohamed Ali era alto, bello, veloce e con braccia lunghissime. “Mi avrebbe fatto piacere incontrarlo”, disse Marciano in una intervista del 1966. “Adesso è il più bravo, ma non so quanto valga veramente perché non è mai stato colpito al mento da un buon pugno… È molto bravo a schivare i colpi e penso che questa sia la sua migliore qualità. Deve dare ancora il meglio di sé. Avrebbe bisogno di un buon avversario, uno che picchia come me…” Da un mito all'altro.

Dario Ricci
Rocky Marciano, sulle tracce di un mito,
Editore Dfg Lab, euro 17

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