Furiosa: A Mad Max Saga Recensione

Furiosa: A Mad Max Saga, la recensione del film di George Miller

16 maggio 2024
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Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2024, nelle sale dal 23 maggio, è meno radicale del Fury Road di cui è prequel, ma dispiega comunque sullo schermo tutta l'immaginazione e la visione cinematografica del suo autore. La recensione di Furiosa di Federico Gironi.

Furiosa: A Mad Max Saga, la recensione del film di George Miller

Leviamoci subito di torno la spiacevole questione dei paragoni: no, Furiosa non è radicale e avanguardistico come Fury Road. Quel film lì, dieci anni fa, ha segnato uno scarto evolutivo, un salto quantico nel cinema d’azione. Rappresenta una linea di confine tra ciò che è stato prima e quello che è venuto poi. Furiosa non ha questa qualità rivoluzionaria, ma non per questo va sottovalutato.
Perché si tratta di un grandissimo esempio di cinema d’azione, e ancora di più la conferma di quanto George Miller, oggi, sia uno degli ultimissimi eredi di una tradizione cinematografica fatta di epica, ambizione, grandiosità visiva, ma anche con la capacità - e qui sta la differenza con alcuni altri autori contemporanei - di dare spessore alla sua storia e ai suoi personaggi.

Otto mesi di lavorazione, due unità, un totale di 1300 persone nella troupe: Furiosa è un kolossal, un film pensato e realizzato con una potenza cinematografica e cinematica straordinaria. Una origin story, che per questo riesce a contribuire a associare all’azione e al movimento senza tregua una carica mitica e mitologica che contribuisce a incollare l’attenzione dello spettatore a quanto sta avvenendo sullo schermo. E anche a rendere utili, e non solo a riprendere fiato, alcune piccole paure nell’incessante e geometrica escalation della frenesia, degli inseguimenti, degli scontri, degli assalti.

Gli estremi della storia sono noti, anche perché anticipati, almeno a parole, in Fury Road: la piccola Furiosa, dieci anni, viene rapita e portata via dal Luogo Verde delle Molte Madri; la Furiosa cresciuta è diventata la ventiseienne che, nella Cittadella di Immortan Joe, cercherà di far fuggire dal quel luogo le cinque mogli di quel tiranno. Quel che non sapevamo è che a strapparla dalla sua infanzia, dalla sua innocenza, da sua madre, è stato un folle signore della guerra, Dementus. E che nel corso di quei quindici anni, fatti di sofferenza, ossessione, combattimenti e lotta per la sopravvivenza, sono l’odio e la sete di vendetta a permettere a quella ragazzina diventata giovane donna di sopportare l’insopportabile.

Miller spreme di tutto dentro al suo nuovo film: Omero e Shakespeare, umorismo demenziale e azione spettacolare, amore e odio, Ben Hur e Lawrence d’Arabia, una riflessione sulla storia violenta dell’umanità e sulla crisi attuale del pianeta, i Looney Toones e l’immaginario post-apocalittico che lui stesso ha contribuito a creare, e che si è evoluto autonomamente, la rivincita di un femminile contro un maschile che la vuole annientare e viene annientato. Spreme di tutto e di più - compresi i suoi attori, tutti bravi, ma la più brava e magnetica di tutti è la giovane Furiosa: Alyla Browne - e distilla e dosa quei succhi alla perfezione. Dimostrazione ne è il fatto che, in quel contesto, riesce a rendere credibile, e in alcuni fugaci momenti perfino romantica, una quasi storia d’amore, ovviamente impossibile, tra Furiosa e una figura che le sarà mentore prima, amico e sostegno poi.

Al di fuori di quel brandello di sentimento, e del ricordo di Furiosa per la madre, nel film di Miller c’è spazio solo per il cieco accanirsi dell’uomo contro l’uomo, per l’escalation della violenza senza senso né ragione, per l’ambizione di conquista del nulla, o di quel poco che resta. Una realtà post-apocalittica, quella dentro il film, che non appare troppo diversa da quella pre-apocalittica che ci circonda tutti i giorni, in tutti i luoghi del mondo.
Come la sua omonima protagonista, Furiosa per dispiegare la sua storia, i suoi sentimenti, i suoi ragionamenti, non ha bisogno di parole, bastano i gesti, i fatti. Il movimento che diventa sinfonia visuale. Come in Fury Road, certo. Ma qui, ancor di più che in Fury Road, quando è il momento della parola, questa conta, incide. Esempio massimo ne è il confronto finale tra Furiosa e un Dementus oramai alla sua mercé.

Settantanove anni di età, quarantacinque di carriera, George Miller ha un coraggio, una visionarietà e una capacità che appaiono uniche nel panorama contemporaneo. Una fiducia nel potere del cinema, dell’immagine in movimento, della sua capacità di generare epica e mito, che è quasi commovente nelle forme estreme, e rischiosissime, con le quali viene espressa.
Fuori e dentro dallo schermo, il mondo va in rovina. Miller si aggrappa al cinema, costruisce la sua arca spettacolare, invita tutti noi a salire a bordo. Magari non ci salverà dalla catastrofe, ma almeno ci regalerà sollievo per due ore e mezza che sembrano durare pochi battiti di ciglia.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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