In una società come quella contemporanea in cui risulterebbe sconveniente parlare del concetto di classe sociale, il film svedese “Julie” proposto da Netflix dal 25 marzo sembra riprendere appieno la tematica. Il film di Helena Bergström è in realtà uscito nel 2013 non riscontrando però il favore delle critiche che, considerando l’opinione generale, ha totalizzato un punteggio di circa 3.5 punti su 10. In effetti una prima criticità risiede nel fatto che la visione non sia facilmente approcciabile poiché la stessa è possibile solo in lingua svedese ma, come sempre, Netflix garantisce la possibilità di usufruire dei sottotitoli nella lingua preferita. La scelta cromatica proposta, inoltre, risulta molto particolare in quanto richiama “l’effetto seppia” anche in presenza di quei pochi colori di cui si caratterizzano i fotogrammi; questo fattore è probabilmente legato all’ambientazione predominante della casa, un ambiente chiuso temporizzato all’interno di un contesto storico passato, in cui vigevano ancora le divisioni sociali tra conti, contesse e servitori.

Tra le mura della casa, o meglio di una parte del castello riservata ai servitori, si apre quella che sembra essere una relazione pericolosa tra Julie, figlia del conte, e il fidanzato della cuoca Kristin, Jean. Se in principio Julie viene descritta come una donna fortemente austera, folle e stravagante, indisponente e provocatoria, Jean appare invece come un buon servitore, conscio della sua posizione sociale e per nulla incline ai capricci della contessa. La narrazione ruota intorno ai due personaggi in continui campo e controcampo che balzano tra i volti e gli sguardi dei due che, pian piano, incappano in un gioco di seduzione proibito in primis per la differenza di ceto, in secundis per l’onore violato della fanciulla. La narrazione si esprime in pieno canone “post moderno” con una discontinuità narrativa che, solo in fortuiti casi, risulta contestualizzabile nell’arco di una sola giornata, quella della vigilia del Solstizio.

La presentazione stessa dei personaggi è un percorso in divenire, si alternano flashback, bugie e intrighi che spaesano lo spettatore: colui che sembrava essere il buono, in realtà è il personaggio cattivo. Julie è una donna fortemente disturbata dal passato, dalla sua condizione di figlia non voluta e poi sinonimo di una mancata emancipazione materna, una donna che non riconosce sé stessa nella sua personalità ma in quella degli altri. Jean dal canto suo non è oro che luccica, piuttosto in lui alberga la frustrazione e la volontà di rivalsa su una classe sociale a cui non può aspirare.  La corda di violino che sospende l’incredulità dello spettatore, proiettandolo verso l’aspettativa di una storia passionale e romantica in stile Romeo e Giulietta, si spezza bruscamente traducendo gli iniziali sogni di ascesa e crollo, rispettivamente indicati da Jean e Julie, in infiniti monologhi introspettivi ed estroversivi che permeano totalmente i 90’ del film.

Cristina Quattrociocchi