Home Dramma Niente da perdere: trailer e clip in italiano del film con Virginie Efira (Al cinema dal 16 maggio)

Niente da perdere: trailer e clip in italiano del film con Virginie Efira (Al cinema dal 16 maggio)

Nelle sale italiane con Wanted Cinema il toccante dramma sociale con protagonista Virginie Efira diretta dalla regista esordiente Delphine Deloget.

15 Maggio 2024 16:49

Wanted Cinema ha reso disponibile le prime clip italiane di Niente da perdere, un toccante dramma sociale con una magistrale interpretazione di Virginie Efira nei panni di una madre-coraggio orgogliosa e indomabile.

Niente da perdere – Trama e cast

Nei cinema italiani con Wanted Cinema il toccante dramma sociale Niente da perdere con protagonista Virginie Efira diretta dalla regista esordiente Delphine Deloget.
©David Koska

In Niente da perdere un piccolo incidente domestico scatena conseguenze imprevedibili e si trasforma in un dilemma morale in cui la burocrazia e la macchina amministrativa e giudiziaria si scontrano con l’amore e il sacrificio autentico di una madre single. La vicenda, molto realistica e quotidiana, segue le enormi difficoltà di Sylvie – donna emancipata e madre appassionata (Virginie Efira) – nel crescere da sola due figli, Sofiane e Jean-Jacques, tanto amati quanto problematici. Essere genitore è un mestiere complesso e Sylvie deve fare i conti con la dura realtà quando una notte, mentre lei non c’è e i figli sono a casa da soli, il piccolo Sofiane si ferisce gravemente. In seguito a una denuncia, Sofiane viene mandato in un istituto. Per Sylvie è l’inizio di un incubo, che farà vacillare il suo equilibrio mentale ma che dovrà affrontare con tutta l’energia di cui è capace una donna ferita nel proprio orgoglio materno. Inizia infatti per lei una lunga e dura battaglia amministrativa e legale per riportare a casa suo figlio e dimostrare la sua capacità genitoriale difronte allo stato e al mondo intero.

Niente da perdere – Le nuove clip in italiano

“Niente da perdere” affronta temi delicati e attuali come la protezione dei bambini e la lotta contro le avversità di fronte a un sistema a volte disumanizzante. Oltre alla magnetica Virginie Efira, nel film troviamo Arieh Worthalter (Il Caso Goldman), Félix Lefebvre (Mon Crime – La colpevole sono io) e India Hair (Jeanne Du Barry – La Favorita del Re) e l’esordiente Alexis Tonetti.

La grande attrice francese si è lasciata dirigere da una giovane regista, Delphine Deloget, che dopo una solida carriera televisiva esordisce nel lungometraggio cinematografico con un film di grande impatto emotivo.

Applaudito al Festival di Cannes 2023 nella sezione un Certain Regard e presentato in anteprima nazionale a Roma durante la XIV edizione di Italia RENDEZ-VOUS alla presenza della regista Delphine Deloget e della protagonista Virginie Efira,

Niente da perdere – Il trailer ufficiale italiano

Interviste a cast e regista

Nei cinema italiani con Wanted Cinema il toccante dramma sociale Niente da perdere con protagonista Virginie Efira diretta dalla regista esordiente Delphine Deloget.
La regista Delphine Deloget.

“Niente da perdere” è il tuo primo lungometraggio, puoi raccontarci un po’ del tuo background?

DELPHINE DELOGET: Avevo già diretto due cortometraggi di finzione (Le Père Noël et le Cowboy, nel 2012, e Tigre, nel 2019). Ma ho iniziato nel documentario. Infatti, ho diretto tanti documentari investigativi oltre a documentari cosiddetti “artistici”, che a volte sono modellati sulla finzione (un esempio è Under the Skin, che ha vinto il Premio Albert Londres). Considero questo lungometraggio come un’evoluzione logica della mia carriera.

Da dove hai tratto l’idea per la storia di “Niente da perdere”?

D.D.: È iniziato con il desiderio di filmare ciò che resta di una famiglia dopo che è stata divisa e mostrare come i membri della famiglia imparano a vivere separati, con tutto il dolore che ciò comporta. L’idea di far mettere il bambino in affido è venuta più tardi, durante la fase di scrittura. È stata concepita per mostrare la difficoltà e il dolore, ma anche la necessità, di allontanarsi dalle persone care.

Nel suo film, i servizi sociali sembrano sordi alle richieste di Sylvie. Questo comportamento è esagerato o realistico?

D.D.: Ho incontrato decine di famiglie che hanno figli in affidamento e ho ascoltato molte conversazioni registrate tra i genitori e i dipendenti dei servizi per l’infanzia. Ho anche parlato a lungo con avvocati che si occupano di questo tipo di casi e ho trascorso diversi giorni nell’ufficio di un giudice per bambini, dove ho scoperto la complessità dell’interazione umana, ciò mi ha permesso di superare alcune idee preconcette. Quando sentiamo parlare di collocamenti in affidamento, immaginiamo il peggio: incesto, abusi, torture, ecc. Eppure, il 70-80% di tali collocamenti avviene dopo l’occorrenza di quello che i servizi sociali chiamano “difficoltà”, un termine generico che si riferisce a genitori disorientati, bambini difficili, svantaggi educativi, alloggi inadeguati, famiglie con pesanti debiti, ecc. Tali situazioni sono tutt’altro che eccezionali, eppure a volte possono essere la causa di una spirale fuori controllo che trasforma questi difetti familiari in ferite aperte. Ogni scena nel film che coinvolge istituzioni sociali è stata ispirata da resoconti reali ottenuti direttamente da genitori o assistenti sociali. Sapevo di dover iniettare una certa quantità di verità in queste scene che coinvolgono i servizi sociali per farle funzionare.

Ha convinto Virginie Efira, l’attrice più ambita del cinema francese.

D.D.: Le ho offerto il ruolo circa quattro anni fa, è stata molto paziente. Avrebbe potuto arrendersi perché i finanziamenti erano lenti, invece no, mostrava sempre un impegno costante. Sono rimasta molto toccata dalla fiducia che ha avuto e mantenuto in tutti questi anni. Iniziare un primo film significa anche avventurarsi in un progetto meno finanziato e più caotico. Lei è rimasta lì. Virginie è una persona che riflette con i suoi dubbi prima di ogni scena, per poi recitare con una sicurezza sorprendente. Vista la precisione della sua performance, come regista puoi davvero divertirti a spingere il limite durante le riprese di alcune scene, permettendoti di cercare umorismo o farsa. Ha sicuramente una qualità simile a quella di Gena Rowlands. Ma mentre la stavo dirigendo, persino Jack Nicholson era al centro dei miei pensieri.

In che genere collocheresti il tuo film?

D.D.: Per me è una sorta di western sociale e familiare, con regolamenti di conti, tradimenti e personaggi in stato di emergenza, gioiosi anche se soli al mondo nella loro lotta. Questa è forse una ricorrenza nel mio lavoro, questa necessità di ricercare l’istinto di sopravvivenza nelle persone che filmo. E questa vita che resiste, che persiste malgrado tutto, alla fine genera tanto dramma quanto momenti di commedia. Volevo personaggi totalmente in contatto con la vita, nella loro spensieratezza ma anche nei loro fallimenti, nel loro cercare di trovare un equilibrio tra brutalità della realtà e romanticismo.

Quando ha deciso di fare questo film? Dopo aver letto la sceneggiatura o dopo aver incontrato Delphine Deloget?

VIRGINIE EFIRA: Ho letto la sceneggiatura per la prima volta molto tempo fa, circa quattro anni fa. Ho amato i dialoghi, il modo in cui si esprimevano i personaggi. Mi è piaciuto anche il punto di vista preciso e obliquo di Delphine sulla vita. Non era esplicitamente una commedia o un dramma: la sceneggiatura era più un invito nella mente della persona che l’aveva scritta. Molte sceneggiature presentano le cose in bianco e nero, ma questa era più incerta, più ambigua. Non è sembrato essere un tipico film sociale – era più complesso di così, riflettendo la vita reale: Conosciamo tutti persone che a volte finiscono intrappolate in una spirale che va oltre loro e dove non c’è più vita, né individualità.

L’incontro con Delphine l’ha poi convinta definitivamente?

V.E.: Assolutamente sì! Lei mi ha parlato della sua esperienza e del suo lavoro nel documentario, e del fatto che questo fosse il suo primo progetto cinematografico. Ero affascinata dal suo background: aveva viaggiato in tutto il mondo, comprese alcune zone molto difficili, zone di guerra, ecc. Il suo percorso di carriera era atipico: diverso da quello di chiunque altro con cui avessi lavorato. All’epoca, cercavo di essere “affascinata” da un regista; Delphine aveva qualcosa di speciale, qualcosa di molto puro. Portare avanti questo film è stato un lungo percorso, con cambi di produttore e sceneggiatura lungo il cammino, ma siamo rimasti forti.

Al di là del suo ruolo, sa di essere stata decisiva per l’esistenza di questo film?

V.E.: No, sarebbe un’esagerazione! Olivier è quello che ha corso i rischi. Tutti i film che produce sono molto diversi l’uno dall’altro; crede veramente nel cinema e in tutti i progetti che sostiene. Io sono stata semplicemente un tramite: questo film esiste grazie alla tenacia di Delphine e alle capacità di Olivier come produttore. Delphine non era abituata alle difficoltà che comporta la produzione di un lungometraggio: il campo del documentario è più flessibile, le contingenze meno rigide, c’è meno denaro in gioco. Finanziare un lungometraggio di finzione comporta molti ostacoli, alcuni dei quali possono essere difficili da comprendere.

Essere madre nella vita reale ti aiuta a interpretare un ruolo come questo, o non necessariamente?

V.E.: Se non fossi stata madre, forse mi sarei detta “mio Dio, non abbiamo bisogno per forza di vivere una situazione per poterla mettere in atto”. Essere madre ha indubbiamente reso qualcosa più facile. All’inizio mi sono detta che forse avrei dovuto interpretare Sylvie con una maternità carente, come una madre che non sa toccare bene i suoi figli… E poi con i miei limiti di attrice, qualcosa di me ritornava e ho abbandonato quindi quella prima idea, interpretando Sylvie in modo più istintivo. Ho preso la decisione giusta? Non lo so. Quello che è certo è che in un dato momento mettiamo in gioco elementi della nostra stessa intimità. In certi gesti di Sylvie con il figlio più piccolo ci sono cose che ho preso da me stessa e dal rapporto con mia figlia. Ho interpretato Sylvie in un rapporto molto tattile, protettivo e tenero con i bambini. Nella mia testa, a volte pensavo che Sylvie avrebbe dovuto essere più dura, ma non è quello che è successo. È un po’ stupido pensare di poter interpretare un ruolo in base alla tua esperienza personale, ma prendere la tua esperienza come punto di partenza può essere interessante. Interpretare un ruolo è in definitiva un processo molto complesso e misterioso.

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