Il Rosso e il Nero | Kairos
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

BOND LUNGHI

Non ancora, grazie

Il 17 agosto 2020 il Tesoro americano collocò in asta al prezzo di 99 circa un bond trentennale con una cedola fissa dell’1.375 per cento. Nei giorni seguenti il titolo superò di poco 100. Ai 26 miliardi iniziali dell’emissione se ne aggiunsero 23 con la riapertura d’asta un mese dopo e, di nuovo, altri 23, il 15 ottobre, questa volta al prezzo di 96.

Il 17 agosto 2020 il Tesoro americano collocò in asta al prezzo di 99 circa un bond trentennale con una cedola fissa dell’1.375 per cento. Nei giorni seguenti il titolo superò di poco 100. Ai 26 miliardi iniziali dell’emissione se ne aggiunsero 23 con la riapertura d’asta un mese dopo e, di nuovo, altri 23, il 15 ottobre, questa volta al prezzo di 96.

I compratori di quei 72 miliardi totali di quella emissione non erano matti. Infuriava la pandemia, i tassi ufficiali erano a zero e si pensava che sarebbero rimasti a zero ancora per molti anni. L’inflazione era dello 0.6 per cento e una cedola dell’1.375, a molti fondi pensione, non solo sembrava interessante, ma non aveva alternative nella parte più breve della curva.

Nel 2021, con il massiccio rilancio fiscale e monetario, la forte ripresa dell’economia e l’attesa dei vaccini, il bond scese in primavera fino a 78. Fin qui tutto si spiega.

Quello che comincia a essere difficile spiegare è che il bond risalì per tutto il resto dell’anno, fino a toccare 93 in dicembre, mentre l’inflazione continuava a salire mese dopo mese, concludendo il 2021 al 7 per cento. Certo, i tassi ufficiali continuavano a stare a zero, la Fed ripeteva che l’inflazione era transitoria e il mercato, incoraggiato dalla Fed, ipotizzava che sì, a un certo punto i tassi sarebbero stati ritoccati, ma non prima della fine del 2023 e solo di mezzo punto totale.

Oggi quel bond tratta a 51. Ha incassato in questi quattro anni 5 punti lordi di cedole, ma ne ha persi 48 rispetto al prezzo di emissione. A questi livelli non sono in pochi a pensare che sia un buon affare. Molti hanno cominciato a pensarlo già nell’ottobre del 2022. Il rialzo dei tassi, era allora il ragionamento, porterà a una recessione e a una rapida discesa dell’inflazione. Comprare un bond lungo sarà allora l’occasione della vita, perché la sua duration elevata permetterà di massimizzare il rimbalzo una volta che la Fed inizierà a normalizzare la politica monetaria e avvierà un lungo ciclo di tagli dei tassi.

Nell’ottobre del 2022, quando si facevano questi ragionamenti, il nostro bond stava a 51, esattamente come oggi. Ha reso nel frattempo meno dei titoli a tre mesi o a due anni ed è stato, come è naturale, molto più volatile, oscillando tra 45 e 60.

Storia interessante, si converrà, ma adesso che si fa? Non è forse da comprare una duration elevata quando le banche centrali stanno per iniziare per davvero a tagliare i tassi, a partire dalla Bce in giugno e dalla Fed, probabilmente, in luglio? Non è forse scesa l’inflazione? Non riprenderà forse a scendere, dopo il rimbalzo del primo trimestre? Non ha già ripreso a scendere con l’ultimo dato di aprile?

Può essere, ma ci sono modi meno rischiosi o più efficienti per trarre beneficio da una discesa dei tassi. Si possono per esempio comperare a leva bond a due anni. Oppure si può comprare azionario, anche perché i tagli dei tassi di giugno-luglio non avverranno in un contesto di recessione (come si credeva due anni fa) o di soft landing (come si pensava fino a poche settimane fa), ma in un quadro globale di crescita che coinvolge anche l’Europa.

E non è nemmeno ancora detto che ci saranno poi tutti, questi tagli dei tassi. Ce ne sarà uno, perché le banche centrali lo promettono da mesi ai governi, ai mercati e a se stesse. Ma al di là del primo taglio, è tutto da vedere. Non c’è nessuna certezza su come si comporterà l’inflazione (si vedano i verbali del Fomc pubblicati ieri sera). Quanto all’occupazione, additata da molti come l’epicentro dell’indebolimento dell’economia americana prossimo venturo, le previsioni dello staff della Fed sono per livelli di disoccupazione più bassi, non più alti, alla fine del 2024.

Il trentennale a 51 sarebbe da comprare se la Fed, nei prossimi mesi, dovesse davvero dare priorità al ritorno al 2 per cento di inflazione. È però chiaro che la priorità, tanto più in una fase preelettorale, è quella di sostenere la crescita. Questa è una Fed, ricordiamolo, che durante un primo trimestre di rimbalzo dell’inflazione ha più che dimezzato il Quantitative tightening e ha continuato a minimizzare l’importanza delle condizioni finanziarie espansive dicendo che il rialzo delle borse è dovuto solo a pochi titoli (vero, ma dal rialzo trae beneficio tutta la vasta platea di fondi più o meno indicizzati).

E in Europa? Anche qui occorre cautela. Abbiamo visto l’inflazione inglese più alta delle stime e l’inflazione salariale europea di due punti superiore a quella compatibile con un ritorno al 2 per cento. La strada, insomma, è ancora accidentata.

Per questo sui bond lunghi non c’è fretta di comprare se non una piccola quantità come assicurazione contro una recessione che per ora non è comunque alle viste.

Certo, le cose sono complicate. L’immigrazione gonfia i dati delle economie occidentali, ma i dati pro capite sono più bassi. Bloomberg ha pubblicato di recente un ottimo articolo in cui mostra come molti dati positivi dell’ultimo anno diventino in molti paesi negativi se calcolati pro capite (al contrario del Giappone, che ha da decenni un Pil stagnante ma una popolazione in calo, e quindi un Pil pro capite in crescita).

Poi c’è il modello con cui viene calcolata la variazione dell’occupazione in America. Il modello aggiunge ogni mese circa 100mila nuovi posti di lavoro sulla base di presunte aperture di nuove aziende. Questi 100mila posti, quando vengono pubblicate un anno dopo le revisioni, spariscono.

Fortunatamente, comprando meno case di quello che vorrebbero perché i prezzi e i tassi dei mutui sono troppo alti, le famiglie sono meno indebitate che in passato. Sono per questo meno a rischio di shock, ma restano comunque penalizzate dall’inflazione di questi anni.

Per queste ragioni, anche se l’inflazione dovesse davvero confermarsi in ripresa, le banche centrali non alzerebbero più i tassi.

In conclusione, per comprare un bond lungo occorre una buona visibilità sul futuro che adesso manca anche ai policy maker. Borsa e bond brevi offrono un rapporto tra rischi e opportunità migliore.

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