Elvis Costello: "Non guardiamo al passato, il futuro è rock" - la Repubblica

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Elvis Costello: "Non guardiamo al passato, il futuro è... rock'n'roll!"

Elvis Costello: "Non guardiamo al passato, il futuro è... rock'n'roll!"

Nella sua lunga carriera ha fatto di tutto. Qui racconta il nuovo disco, gli amici, i nemici, le polemiche su uno dei suoi brani più famosi. E anticipa che sta lavorando (sì, di nuovo!) con Bacharach

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Quando era bambino, agli inizi degli anni ’60, il piccolo Declan Patrick MacManus andava spesso a vedere le prove del padre, che cantava nella Joe Loss Orchestra, una delle più famose d’Inghilterra. Nel 1977, a soli 23 anni, Elvis pubblicava già il suo primo disco My Aim Is True, l’inizio di una lunghissima serie, ben 34 album con l’ultimissimo, The Boy Named If, uscito pochi giorni fa e sorprendentemente arrivato al sesto posto in classifica in Inghilterra, il miglior risultato dal 1994 (con l’album Brutal Youth).

Elvis Costello
Elvis Costello 


Costello nella sua lunga carriera ha fatto di tutto: partito con l’onda punk/new wave a cui musicalmente non ha mai davvero appartenuto, è passato attraverso tutti i generi, dal rock, al pop, al country di Almost Blue e Secret, Profane & Sugarcane, dal jazz di My Flame Burns Blue e Piano Jazz alla musica classica del celebre The Juliet Letter con il Brodsky Quartet, dalle cover dei suoi artisti preferiti da Dylan a Screamin’ Jay Hawkins (Kojak Variety), fino alla collaborazione con Burt Bacharach per l’album Painted from Memory che nel 1988 si aggiudica un Grammy. Nel 2003 si è sposato con Diana Krall, raffinata musicista jazz canadese con cui nel 2006 ha avuto due gemelli, Dexter e Frank. Un sodalizio artistico davvero straordinario per un artista geniale, poliedrico e instancabile.

Dove si trova?

"A New York".

Credevo fosse in Canada: il lockdown però l’ha passato là?

"Sì, sono tornato in fretta mentre ero in tour perché non essendo cittadino canadese rischiavo di restare separato dalla famiglia. Allora i miei figli andavano a scuola là. Abbiamo un rifugio sull’Isola di Vancouver (un luogo bellissimo, famoso per le orche, i paesaggi mozzafiato, e il clima mite rispetto al resto del paese: non a caso vi si è rifugita lì una considerevole comunità artistica, ndr). Siamo rimasti insieme per alcuni mesi ed è stato bello, soprattutto sentendo quello che succedeva nelle grandi città ma poi abbiamo deciso di tornare a New York in agosto. Avremmo voluto farlo prima ma non volevamo che i ragazzi perdessero la scuola. Non è stato un periodo semplice tra gli allarmi per l’uragano e momenti di crisi per il virus ma, come tutti ci siamo arrangiati riuscendo anche a organizzare 22 date in ottobre che è stato probabilmente l’unico periodo in cui si è potuto andare in tour lo scorso anno. Siamo stati fortunati perché quelli che sono andati prima o dopo hanno dovuto cancellare o postporre le date".

Come è stato tornare in tour?

"Era davvero eccitante suonare le canzoni di Hey Clockface che era uscito alla fine del 2020 e anche sei o sette pezzi nuovi che si trovano in questo album, The Boy Named If, davanti a un pubblico. Farle con la band, gli Imposters, ha permesso di cambiarle in meglio prima della registrazione definitiva".

Molti erano così depressi durante il lockdown che passavano il tempo guardando il soffitto. Lei invece ha fatto un’incredibile quantità di cose…

"Anch’io le prime due settimane me ne stavo lì fermo a guardare il mare, credo sia stato lo shock. È successo tutto così velocemente: pochi giorni prima ero sul palco dell’Hammersmith Apollo dove ho fatto un bellissimo concerto durante un tour pieno di gioia ma a poco a poco si cominciava ad avvertire l’incertezza della gente, il sospetto che la situazione fosse seria. Lo capivi anche dal fatto che, per esempio, alcuni amici che eri abituato a vedere, stramente non venivano ai concerti.  Inoltre, in Inghilterra, le decisioni su cosa fare al riguardo non sono state prese molto rapidamente. A un certo punto ho capito che la mia responsabilità  era portare tutti a casa sani e salvi, la band, la troupe e soprattutto il pubblico, che era quello che rischiava di più. Sì, è stato un po' uno shock e una grande delusione. Dovevamo andare in studio a Londra e iniziare a registrare alcune cose. Non so se quelle canzoni sarebbero state parte di Hey Clockface o l'inizio di questo album. Non lo sapremo mai. Ho dovuto accettarlo e, non appena sono tornato in Canada, dopo l’iniziale sconforto ho trascorso la maggior parte delle mie giornate in questo modo con la chitarra, in mano e così abbiamo completato non l'album Hey Clockface ma anche Spanish Models, una versione in lingua spagnola con vari artisti del mio album del 1978, This Year's Model. E poi persino una strana versione francese di Hey Clockface con Iggy Pop, Isabelle Adjani e altri…

Quindi in realtà questa chitarra che teneva in mano l’ha usata, e molto.

"Quando la chitarra è nelle mie mani, le parole vengono fuori più rapidamente. Il suo ritmo tende a far prendere ritmo a tutto il resto. Questo non vuol dire che quando ti siedi al pianoforte, a volte non ti trovi a scoprire invece musica più insolita. Alcune delle melodie di cui sono più orgoglioso sono state scritte al piano, comprese le canzoni di Hey Clockface, The Whirlwind e I do. Sono due delle mie ballate preferite degli ultimi anni. Ma c'è stato qualcosa di diverso, di immediatamente eccitante nelle canzoni di The Boy Named If. Sono entrato in una conversazione nel tempo nello spazio con Pete Thomas (il batterista, ndr). Lui era nel suo seminterrato. Io sulla veranda o a volte in giardino, cercando di non disturbare troppo gli altri: sono piuttosto rumoroso quando canto. E poi abbiamo inviato quello che stavamo facendo a Davey (basso) e alla fine a Steve (piano e tastiere), e ho pensato, "Beh, questo funziona". Le canzoni sono come una serie di momenti, ok? ERa come dirsi: "È un po' strano, siamo lontani, ma siamo tutti felici dove siamo. Sappiamo che stiamo facendo quello che dovremmo fare, ovvero stare con le nostre famiglie finché non potremo vedere la via del ritorno sul palco". E le canzoni forse sono venute fuori così legate tra loro perché sono state scritte vicine tra loro. Collegate in una attitudine musicale simile e sicuramente con un tema comune".

Qual è questo filo che le tiene insieme?

"Lo sguardo a come si esce dall'infanzia e si lascia dietro di sé una certa meraviglia per altri tipi di magia ed emozioni, ma anche un po' di vertigini, turbamenti e sofferenze".

Forse è stato il fatto di aver avuto il tempo di stare un po’ con i suoi figli quello che l’ha portata a fare un disco sul processo di crescita?

"Penso di essere sempre stato vicino ai miei figli, tutti. Ho anche un figlio maggiore dal primo matrimonio che ha cinquant'anni. Sì, penso di essere sempre con loro, con la mia famiglia, ovunque io sia. Gli ultimi dieci anni hanno segnato un bel passaggio per me, come per molte persone della mia età (Costello ha 67 anni, ndr). È il momento delle perdite, sai: ho perso mio padre dieci anni fa a novembre e mia madre circa un anno fa. Quindi questo ti fa considerare molte cose della tua vita, delle cose che ricordi. Ma non voglio tornare indietro. Io davvero, sinceramente non sono nostalgico. Rispetto molto il passato e sono grato per le cose che ho imparato nel corso del tempo. Ma devo anche pensare a come mi sentivo e alle cose che erano importanti per me in quei giorni. Ancora una volta, non perché voglio tornare indietro, ma perché sono probabilmente qualcosa che ha a che fare con chi sono ora. Perché la scusa che hai inventato per il tuo cattivo comportamento a sette anni, ovvero il mio amico immaginario, era piuttosto affascinante e accattivante allora. Ma se hai 27 anni o 37 anni o anche di più e dici: “È stato il mio io immaginario che ti ha spezzato il cuore”, non è proprio la stessa cosa, no? Quindi, in poche parole, questo album riguarda il modo in cui cambiamo e ci assumiamo le nostre responsabilità, oppure no. Ma non è un disco che ti rimprovera. È divertente, a volte. Però parte di quell'umorismo è piuttosto oscuro. E il fatto che la musica sia energica e diretta, penso ti faccia arrivare molto rapidamente quella sensazione".

 

La parola “If” nel titolo dell’album indica la possibilità, il fatto che da bambino in teoria tutto è possibile?

"Questa è un’osservazione interessante. Non avevo pensato esattamente questo quando ho fatto il titolo: 'If' sta per 'imaginary friend' il 'bambino immaginario' di cui parlo ma in effetti il disco ha a che fare con quell’idea, è un’ottima interpretazione. Adoro quando chi ascolta aggiunge la sua immaginazione alla mia e questo è il motivo per cui le  canzoni che scrivodi solito non intendono fare nessuna morale e i finali sono sempre ambigui. Non perché non saprei come farle finire ma perché voglio che ogni ascoltatore possa scegliere la scena finale. Nel cinema per esempio a volte fanno dei test e di solito il pubblico vuole un finale diverso se il cattivo non viene punito. Beh, io non sono questo tipo di persona che vuole compiacere a tutti i costi il suo pubblico. Per esempio in My Most Beautiful Mistake c’è una storia d’amore tra uno sceneggiatore e una cameriera e io lascio decidere all’ascoltatore cosa succederà alla fine".

In un altro brano, The Death of Magic Thinking, si parla del momento in cui ti rendi conto che non puoi realizzare tutti tuoi desideri. Le è capitato di vivere un momento simile?

"La canzone è lunga tre strofe, e ciascuna descrive un momento di grande possibilità, un momento di riconoscimento del fatto che quel cambiamento inevitabilmente avviene e non è sempre buono. La prima strofa parla di un ragazzo nella sua camera da letto che, ascoltando gli aerei che atterrano, immagina che forse un giorno sarà in grado di comprare un biglietto per andare ovunque: è un grande sogno perché la sua idea è che il mondo intero sia là fuori per lui. La seconda strofa parla di un ragazzo che viene portato a scuola. Suo padre piange perché sa di averlo tradito perché lo riempiranno di molte idee di cui non ha bisogno. E tante delle cose magiche dentro di lui a quel punto verranno escluse, le perderà e potrebbe non riuscire a ritrovarle mai più. Il verso finale è ancora dal punto di vista del padre: un ragazzo più grande sta tornando nella sua stanza, chiude la porta e va da qualche parte in cui il genitore non può più andare. Ormai è andato via, in un mondo tutto suo. Intanto il ritornello descrive un momento dell'infanzia in cui una ragazza leggermente più grande prende un po’ in giro un ragazzo. Perché lei sa alcune cose del sesso che lui non sa. Così lo coinvolge in un gioco che lo spaventa (“prende la mia mano in un esperimento/ la mette dove non dovrebbe stare/ sotto il suo vestito/ e sta a guardare/ io non sapevo cosa fare/ non sapevo cosa dire/ immagino fosse un gioco/ un gioco a cui non sapevo giocare”, ndr) perché sa che c'è qualcosa di sbagliato in quello che lei gli sta dicendo, ma non sa che che cosa sia. E probabilmente anche lei in realtà non sa bene cosa sia quel gioco. A 14, 13 anni è così. Gli artisti a volte riescono a mantenere la connessione con quel mondo magico ma anche questo non è del tutto positivo perché può renderti egoista".

 

Le capita qualche volta di vedersi riflesso nei suoi figli? In qualcosa che fanno…
"Certo. Ad esempio capisco che a volte la scuola può indurre una certa frustrazione, a quell'età non riesci a vedere il senso ultimo del progetto. Criticare non è del tutto un male, fa parte dell’imparare a esprimerti. Se uno dei miei figli prende un brutto voto gli chiedo se ha studiato. A volte la risposta è: “Sì, ho studiato ma la domanda era stupida”. Io cerco di spiegargli: 'Non credo che ‘stupido’ sia la parola giusta ma ricordati che anche l’insegnante è un essere umano e può anche essere che la sua domanda non avesse senso per te. Quello che devi fare  in questo caso è andare a chiedergli di spiegarti meglio'. In questo disco comunque, c’è anche un ricordo romantico di un'insegnante che ho avuto in una canzone che si intitola Penelope Halfpenny. La lezione che abbiamo imparato da lei non era legata a un libro o altro ma ci ha fatto scoprire che c'era un mondo là fuori che forse un giorno avremmo visitato. Lo faceva parlandoci della sua vita e non era una brutta lezione. Non era certo un’insegnante stimolante dal punto di vista accademico ma è stata fonte di ispirazione in altri modi".

A proposito di processo educativo: al contrario, ci sono cose che magari capita a lei di imparare dai suoi figli?

"Mio figlio maggiore è ormai grande, ha un'enorme conoscenza della musica, dei film e della storia e possiamo parlare di qualsiasi cosa. Avere un figlio con cui posso discutere allo stesso livello con cui lo faccio con un amico è una cosa meravigliosa. I miei figli più piccoli invece hanno esattamente l'età in cui conoscono cose sorprendenti che non sono nella mia esperienza. Usano i computer con molta più facilità. Io ho lavorato come operatore di computer quando ho lasciato la scuola, ma è un po' come dire che mettevo i ferri ai cavalli o qualcosa del genere. Oggi è così diverso! Dal 1971 ai giorni nostri nel mondo cibernetico è come se parlassi di storia medievale. Le cose che facevano allora i computer giganti oggi potrebbero essere fatte dal tuo telefono e nel frattempo potresti comunque svolgere altre cinque attività, il tutto mentre intanto ovviamente si scambiano messaggi continuamente. Non tutto questo è un valore, ma devo accettare che quello dei computer è un mondo con cui devono per forza avere a che fare. Il livello di intelligenza che stanno mostrando nei suoi confronti è molto emozionante da guardare. L'apprendimento viene quasi tutto dall'osservazione in questa fase".

Lei è molto amico di Elton John, tanto che è stato lui a fare il discorso di presentazione per la sua ammissione alla Rock’n’roll Hall of Fame nel 2003: come l’ha conosciuto?

"È una strana storia perché nel 1978 a lui era stato conferito un premio da una radio londinese e nel discorso di accettazione disse che quel premio non doveva andare a lui, ma a me. Il che era assurdo perché io avevo appena iniziato e la distanza tra noi era siderale. Era un periodo di rifiuto del passato per noi band più giovani e non avremmo mai ammesso di ascoltare un disco che fosse uscito più tardi di una settimana, tutto doveva essere nuovo. Così non ho incontrato Elton fino al 1999 ma questa cosa mi è rimasta in mente. Elton però era già amico di Diana che poi sarebbe diventata mia moglie. Quando anch'io l'ho conosciuto siamo diventato subito amici e quello che posso dire di lui è che è una persona incredibilmente generosa! Al punto che ha a che fare anche con questo disco perché mi ha fatto conoscere alcune persone della Universal che a loro volta mi hanno introdotto alla Emi, il che ha fatto in modo che un mio disco venga pubblicato per la prima volta da 30 anni a questa parte di nuovo a Londra! Praticamente da quando avevo la mia etichetta Demon negli anni 80 dopodiché ho inciso per Warner Brothers, Columbia, Island, Verve, Blue Note. Ho fatto ben quattro dischi con l’etichetta Deutsche Grammophone, di cui sono fiero ovviamente mentre il primo, My Aim Is True era per un’etichetta indipendente, la Stiff. Insomma, chiedendo a Elton di fare l’introduzione per me alla Hall of Fame ho cercato di essere degno di quello che disse quando ero un giovane esordiente".

Uno dei primi dischi che ho comprato è stato il suo "Armed Forces" nel gennaio del 1979 perché veniva in qualche modo collegato al punk. Musicalmente in realtà non lo era però lo spirito era quello. Una cosa che mi sono sempre chiesto è: che cosa significava la scritta “Emotional Fascism” dentro la busta che conteneva il vinile? Era una provocazione?

"Emotional Fascism era il titolo originale di Armed Forces perché nella mia testa di 23-24enne il concetto dell'album stava nel trovare quello che io consideravo il corridoio che passava tra la stanza della guerra e la camera da letto, perché qualche volta sono la stessa cosa (ride) e ci sono davvero persone che gestiscono come dittatori le loro relazioni amorose. Questo dunque era per me il “fascismo emozionale”. La casa discografica mi convinse che nessuna radio avrebbe mandato in onda un disco intitolato così e alla fine optai per Armed Forces. Le canzoni hanno testi allarmanti che oggi non riscriverei allo stesso modo ma quando hai 24 anni sei molto sopra alle righe. Racconterei gli stessi sentimenti con parole diverse ma non ne sono imbarazzato. Penso che le persone debbano ascoltare le parole per quello che volevano significare senza tirarne fuori una parola, ignorando il contesto e dicendo: “Questo è oltraggioso!”".

Ho sentito della polemica sul testo di Oliver’s Army, un brano di quel disco in cui lei dice: “There was a Checkpoint Charlie/ He didn't crack a smile/ But it's no laughing party/ When you've been on the murder mile/ Only takes one itchy trigger/ One more widow, one less white nigger”. È chiaro che quando parla di “white nigger” lei associa due condizioni equiparandole: quella degli irlandesi come suo nonno, che venivano chiamati in quel modo dai soldati inglesi e i neri perseguitati per il colore della pelle. Esattamente il contrario del razzismo di cui il brano viene accusato. Mi sembra folle.

"Non è folle: io capisco che la presenza della parola con la “n” può offendere mortalmente se una persona sente la canzone in fretta, senza prestare attenzione al reale significato. La parte folle però è quando qualcuno si mette ad attirare l'attenzione su un termine che era in una frase di due parole, “white nigger”, che ha un significato completamente diverso da quello della parola da sola. Canto questa canzone da 45 anni e adesso ho deciso di smettere di farlo. Ho detto che avrei preferito che le stazioni radio non la trasmettessero affatto e scegliessero una delle altre 600 canzoni che ho scritto piuttosto che riprodurne una che apre la porta a insulti che non erano mai stati pensati. Le persone che affermano che sono un ipocrita e dicono che questa è una reazione alla cultura “woke”, qualunque cazzo di cosa sia, possono andare a farsi fottere. Non vivono nella mia vita. Non sono nella mia testa. Grazie a Dio, queste sono le mie canzoni. Le canto e le canterò quando c***o voglio. Non puoi pagarmi abbastanza per fare qualcos'altro. Non cerco di compiacere nessuno e voglio essere chiaro: questa è la mia storia. Dirò sempre quello che voglio, come voglio. E adesso entriamo nel futuro e vediamo se c'è qualcosa di nuovo che valga la pena di fare. Smettiamo di vivere nel passato. Ah, e aspetta, c***o: io sono sempre completamente sveglio! Grazie mille, non ho bisogno di svegliarmi (il riferimento è sempre all’ideologia “woke” che fa riferimente all’idea di “stare svegli” di fronte alle ingiustizie razziali, ndr)".

Patti Smith ha un pezzo bellissimo intitolato Rock’n’roll Nigger e nessuno ha mai detto niente a riguardo…

"Beh, basta ascoltare che so… i Last Poets (un gruppo di poeti e musicisti militanti per i diritti degli afroamericani degli anni ’60 di cui faceva parte anche Gil Scott-Heron, considerati precursori dell’hip hop, ndr). Utilizzavano la parola con la “n” continuamente. Penso che debbano essere trasmessi in radio 24 ore al giorno? Probabilmente no, perché la maggior parte della gente non sa da dove vengono, non sa che cosa rappresentano. Questo non toglie che si tratti di musicisti e poeti straordinari che usavano quel termine in maniera chiaramente provocatoria. Sabato scorso dal negozio Defend Vinyl di Liverpool ho fatto una puntata del Pirate Radio Show, uno spettacolo di tre ore e mezza che faccio dai negozi di dischi indipendenti suonando quello che mi pare da Iggy Pop che canta in francese No Flag a Black Thought (rapper dei The Roots, gruppo con cui Costello ha fatto un disco nel 2013) con cui facciamo il brano Cinco Minutos con Vos e molti altri da tutte le latitudini, e questo è il modo in cui attraverso la musica si può dimostrare che non dobbiamo essere divisi. Non è una delle solite idea facili di unità, tutta teorie, belle parole e basta. È una dimostrazione attiva di creatività insieme. Così se qualcuno vuole mettermi un’etichetta per cose di 90 o 45 anni fa, sta parlando con la persona sbagliata. Perché io sto già vivendo nel futuro (ride)".

A proposito di futuro: è vero che sta lavorando di nuovo con Burt Bacharach?

"Stiamo lavorando a una monumentale versione di Painted from Memory (l’album realizzato insieme nel ’98, ndr) alla fine del 2022 o l’anno dopo e volevo avere qualcosa di veramente bello da metterci dentro. Abbiamo ancora molte grandi canzoni che non sono state registrate. Così sono andato in studio la scorsa estate con un'orchestra di 30 elementi diretta da Vince Mendoza, e Burt era lì, assolutamente vivace e partecipativo. È stata una delle cose più elettrizzanti che mi siano mai capitate. Mi trovavo nei Capitol Studios di Hollywood, dove ovviamente mia moglie ha inciso molti più dischi di me, e in cui ho assistito a situazioni straordinarie quando ha prodotto Barbra Streisand, nell’album Love Is the Answer o quando ha fatto gli arrangiamenti di Kisses on the Bottom di Paul McCartney. In questa occasione ho solo cantato e ci sono ancora un po' di cose che dobbiamo mixare, ma sono stato così felice di aver avuto modo di lavorare di nuovo insieme! Occhio a quando uscirà perché credo che sarà qualcosa che vale la pena ascoltare!".

Il nuovo album: "The Boy Named If"
Uscito il 14 gennaio 2022 The Boy Named If ha raggiunto il sesto posto della classifica inglese, la posizione più alta di un album di Costello in studio da 28 anni a questa parte. Un risultato che è una conferma ulteriore delle qualità di un artista raffinato e poliedrico che non ha perso l'ispirazione nel corso degli anni, continuando a pubblicare dischi molto diversi l'uno dall'altro