MANKIEWICZ, Joseph L. in "Enciclopedia del Cinema" - Treccani - Treccani

MANKIEWICZ, Joseph L.

Enciclopedia del Cinema (2003)

Mankiewicz, Joseph L. (propr. Joseph Leo)

Simone Emiliani

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense, nato a Wilkes-Barre (Pennsylvania) l'11 febbraio 1909 e morto a Bedford (New York) il 5 febbraio 1993. Considerato una tra le personalità più importanti del periodo d'oro di Hollywood, attraversò il cinema statunitense dalla fine degli anni Venti all'inizio degli anni Settanta in veste di sceneggiatore, produttore e regista. Nel cimentarsi in tutti i generi classici (dall'horror gotico al fantastico, dal peplum al musical, dal noir alla commedia, dallo spionaggio al western), non tentò mai di superarne i limiti, ma se ne servì, secondo F. La Polla, "per esemplare il suo mondo, la sua etica" (1987, p. 22). Personaggio difficile, fu spesso in contrasto con produttori (Louis B. Mayer, Darryl F. Zanuck), registi (Fritz Lang, Eric von Stroheim), attori (Montgomery Clift, Katharine Hepburn), scrittori (F.S. Fitzgerald, G. Greene). Nei suoi film il teatro risulta punto di riferimento costante, in quanto viene attribuita maggiore importanza alla parola rispetto all'immagine, all'introspezione psicologica dei personaggi più che all'azione; nelle opere da lui dirette ricorrono infatti la volontaria esasperazione degli elementi melodrammatici, l'utilizzo della voce fuori campo dei personaggi (come moltiplicazione dei punti di vista) e la presenza del flashback. La sua 'classicità' fu contrapposta dalla critica dell'epoca al 'barocchismo' di Orson Welles. Eppure, anche nel suo cinema, lo spazio scenografico, quasi un infinito palcoscenico, riveste enorme importanza: scale e specchi hanno infatti nei suoi film la stessa primaria funzione che hanno in quelli di Max Ophuls, come le porte in quelli di Ernst Lubitsch. Vinse l'Oscar per la regia e la sceneggiatura sia nel 1949 con A letter to three wives (1948; Lettera a tre mogli) sia nel 1951 con All about Eve (1950; Eva contro Eva): per quest'ultimo film si aggiudicò anche il Premio speciale della giuria al Festival di Cannes. Nel 1987 gli venne consegnato alla Mostra internazionale del cinema di Venezia il Leone d'Oro alla carriera.

Figlio di un emigrato tedesco, professore universitario al New York City College, e fratello dello sceneggiatore Herman, si orientò verso gli studi umanistici, conseguendo nel 1928 il Bachelor of Arts. Lasciò poi gli Stati Uniti per trasferirsi a Berlino come corrispondente per il "Chicago tribune" e lavorò per la casa di produzione tedesca UFA come traduttore delle didascalie per i film destinati al mercato statunitense. Grazie al fratello Herman, nel frattempo diventato sceneggiatore alla Paramount Famous Lasky Corporation, tornò in patria nel 1929 e riuscì a farsi assumere dalla casa di produzione come redattore delle didascalie per le versioni mute di film 'parlati', destinate alle sale non ancora provviste delle attrezzature per il sonoro. Sempre alla Paramount intraprese anche l'attività di sceneggiatore: in quel periodo scrisse, tra gli altri, Skippy (1931) diretto da Norman Taurog (per il quale ottenne la sua prima nomination all'Oscar per la migliore sceneggiatura), Our daily bread (1934; Nostro pane quotidiano) di King Vidor e collaborò alla sceneggiatura del film collettivo If I had a million (1932; Se avessi un milione). Nel 1934 passò alla Metro Goldwyn Mayer per la quale sceneggiò Manhattan melodrama (1934; Le due strade), e Forsaking all others (1934; La donna è mobile) di W.S. Van Dyke. Alla richiesta di M. di poter dirigere le opere che scriveva, Mayer rispose negativamente, destinandolo invece alla produzione. Dal 1936 al 1943 produsse, infatti, per la MGM circa 19 film, tra cui Fury (1936; Furia) di Fritz Lang, Mannequin (1937; La donna che voglio) di Frank Borzage, The Philadelphia story (1940; Scandalo a Filadelfia) di George Cukor, Woman of the year (1942; La donna del giorno) di George Stevens. Divergenze insanabili con Mayer lo spinsero a interrompere il rapporto di lavoro con la MGM. Passato alla 20th Century-Fox ottenne un contratto come sceneggiatore e produttore e la promessa di poter esordire dietro la macchina da presa. Fu prima produttore e co-sceneggiatore di The keys of the kingdom (1944; Le chiavi del Paradiso) di John M. Stahl, ed ebbe infine l'occasione di esordire nella regia (dopo la rinuncia di Lubitsch) con Dragonwyck (1946; Il castello di Dragonwyck), un horror dalle atmosfere gotiche (le ombre sul viso di Vincent Price, le voci che provengono dal passato), ambientato nel Connecticut del 1844. Dovette però sopportare le ingerenze del produttore Zanuck, che gli impose un finale diverso del film. Diresse poi il noir Somewhere in the night (1946; Il bandito senza nome) e The late George Apley (1947; Schiavo del passato), commedia scritta da Philip Dunne che fu anche lo sceneggiatore dei suoi due successivi film, The ghost and Mrs. Muir (1947; Il fantasma e la signora Muir) ed Escape (1948; Il fuggitivo). The ghost and Mrs. Muir è una delle sue opere più significative: sospesa tra le atmosfere del fantastico e del gotico, risulta caratterizzata da un'accentuata attenzione per gli elementi del décor (la casa, i quadri) e dalla particolare illuminazione dovuta alla fotografia di Charles Lang calibrata in modo da accentuare gli effetti di apparizione e sparizione del fantasma e presentare le ombre quasi in chiave espressionista. Escape, tratto dal romanzo omonimo di J. Galsworthy, fu invece un film su commissione, il primo dopo la guerra girato da un americano in Inghilterra. Nel successivo A letter to three wives, con il quale M. tornò a occuparsi della sceneggiatura (in questo caso basata sul racconto One of our hearts di J. Klempner), la voce fuori campo di una narratrice, mai visibile per tutta la durata del film, costituisce il motore della vicenda, e con il procedere del racconto consente l'apertura di flashback sulla vita privata delle protagoniste. Con una lettera a tre sue amiche la donna che narra annuncia che, prima della fine della giornata, fuggirà con uno dei loro mariti. Il film ottenne un enorme successo: acido ritratto della borghesia della provincia statunitense, ricco anche di tocchi da commedia sofisticata degni di Lubitsch, lascia spazio ai personaggi tipici del cinema di M., impegnati nella ricerca di un'identità che sembrano avere perduto. Dopo House of strangers (1949; Amaro destino), saga familiare raccontata quasi per intero in flashback in cui M. riprese la struttura del King Lear di W. Shakespeare, e No way out (1950; Uomo bianco tu vivrai), robusto e verboso film di denuncia su tematiche razziali, il regista realizzò All about Eve, tratto dal racconto The wisdom of Eve di M. Orr. In quest'opera vi è il cuore del cinema di Mankiewicz. La storia, raccontata quasi per intero al passato, ha inizio nella Dining Hall della Sarah Siddon Society dove Eve Harrington (Anne Baxter) viene premiata come miglior attrice teatrale dell'anno; tre voci narranti (un celebre critico, la moglie del commediografo e Margo Channing, l'altra famosa attrice interpretata da Bette Davis) ripercorrono la vicenda attraverso sette flashback. Il tema dell'inganno, la presenza di personaggi manipolatori, l'insistenza sugli oggetti (in particolare gli specchi), l'ambientazione prevalente in interni claustrofobici, l'appropriazione progressiva dell'identità (Margo che sorprende Eve mentre prova un suo vestito) sono gli elementi portanti di questo cinico ritratto dell'universo teatrale dietro al quale si nasconde un feroce e altrettanto cinico attacco al mondo del cinema. Firmò poi People will talk (1951; La gente mormora), dalla commedia Dr. Praetorious di C. Goetz, incentrato sulla vicenda di un dottore eccentrico (Cary Grant) che sposa una ragazza madre provocando scandalo nella comunità, in cui affiorano espliciti rimandi alla 'caccia alle streghe' del periodo maccartista, che coinvolse numerosi esponenti del cinema statunitense; Five fingers (1952; Operazione Cicero), tratto da Operation Cicero di L.C. Moyzisch, un film di spionaggio ambientato ad Ankara nel 1944 nel quale un maggiordomo dell'ambasciatore inglese approfitta della propria posizione per vendere documenti segreti ai tedeschi; Julius Caesar (1953; Giulio Cesare), opera dopo la quale il regista lasciò la 20th Century-Fox. Apparentemente il film è un peplum tratto dalla tragedia di Shakespeare, ma in realtà si rivela un fiammeggiante melodramma. Successivamente fondò una propria casa di produzione, la Figaro Incorporated Productions e, grazie anche all'intervento della United Artists, realizzò The barefoot contessa (1954; La contessa scalza), strutturato mediante otto flashback narrati da quattro personaggi diversi, che offre un ritratto ancora più diretto e amaro del mondo del cinema. In occasione del funerale della protagonista, Maria Vargas (Ava Gardner), una splendida zingara diventata poi attrice di successo a Hollywood, vengono ripercorsi i momenti più significativi della sua esistenza soprattutto grazie al ricordo di Harry Dawes (Humphrey Bogart), il regista che l'aveva lanciata. Ambientato in più luoghi (Madrid, Hollywood, Rapallo), ricco di scene cariche di pathos (il processo) e di momenti di potente seduzione (il ballo della 'contessa scalza'), è probabilmente l'opera in cui M. tentò di distaccarsi da ogni forma di realismo per orientarsi verso una fiaba dal respiro malinconico e struggente. Diresse poi il musical Guys and dolls (1955; Bulli e pupe) per il quale si avvalse delle coreografie di Michael Kidd, e The quiet American (1958; Un americano tranquillo) dal romanzo di G. Greene, per portare infine sullo schermo il dramma omonimo di T. Williams in Suddenly, last summer (1959; Improvvisamente l'estate scorsa). Nel film, incentrato sull'ossessione di una ricca vedova scossa per la morte del figlio e disposta a far lobotomizzare la nipote pur di impedirle di ricordare le circostanze della morte del giovane, M. si servì ancora del flashback per recuperare la verità sull'accaduto e le implicazioni profonde nascoste nella vicenda. Al tempo stesso scelse di accentuare il rilievo dato a determinati elementi scenografici quali il giardino della vedova o l'ascensore interno all'abitazione. La lavorazione venne condizionata dai problemi sorti sul set con Montgomery Clift e Katharine Hepburn mentre M. era ancora scosso dal suicidio della sua seconda moglie, l'attrice Rose Stradner, avvenuto qualche mese prima delle riprese. Chiamato a Cinecittà, sostituì Rouben Mamoulian sul set di Cleopatra (1963), opera dalla gestazione tormentata che causò la rovina della 20th Century-Fox. Fu poi autore di The honey pot (1967; Masquerade), dalla commedia Mr. Fox of Venice (a sua volta ispirato al Volpone di B. Johnson), film sulla potenza dell'illusionismo scenico in cui appare definitivamente frantumata la differenza tra palcoscenico teatrale e set cinematografico; del western There was a crooked man… (1970; Uomini e cobra) e di Sleuth (1972; Gli insospettabili), dalla commedia omonima di A. Shaffer, ancora sul teatro, sul mascheramento dell'identità, sull'inganno, che vede perlopiù protagonisti due soli personaggi, uno scrittore di successo e un parrucchiere amante della moglie dell'altro. Tra i suoi progetti mai realizzati, un'altra opera di Shakespeare, Coriolano.

Bibliografia

J.R. Taylor, Joseph L. Mankiewicz: an index to his work, [London] 1960.

B.F. Dick, Joseph L. Mankiewicz, Boston 1983.

N.T. Binh, Mankiewicz, Paris 1986.

L'insospettabile Joseph L. Mankiewicz, a cura di F. La Polla, Venezia 1987.

A. Morsiani, Joseph L. Mankiewicz, Firenze 1991.

P. Mérigena, Mankiewicz, Paris 1993.

Ch.B. Lower, R.B. Palmer, Joseph L. Mankiewicz. Critical essays with an annotated bibliography and a filmography, London 2001.

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