Il quarto uomo [De vierde man, 1983] è forse il film che, più d’ogni altro, avvicina la sensibilità europea di Paul Verhoeven a gusti specificatamente americani  ancor più del precedente Soldato d’Orange [Soldaat van Oranje, 1977], kolossal storico che, pure, gli valse l’invito di Steven Spielberg a Hollywood. Il sesto lungometraggio del futuro regista di RoboCop [id., 1987], infatti, non solo ha il merito di ricucire il rapporto tra Verhoeven e l’opinione pubblica olandese ancora turbata dallo sconvolgente Spetters – Spruzzi [Spetters, 1980]: con Il quarto uomo, il regista ha l’occasione per confrontarsi, in maniera assolutamente personale, con l’universo morboso e disturbante del thriller erotico, ovvero quel genere che, proprio negli Stati Uniti, con Basic Instinct [id., 1992], gli avrebbe conferito notorietà internazionale. «The Fourth Man is a prequel, you would say, to Basic Instinct» ha dichiarato d’altronde lo stesso Verhoeven1, non nascondendo le strette correlazioni esistenti tra il film del 1983 e quello del ’92. Un legame stratificato, contrassegnato innanzitutto dalla presenza, in entrambi i film, della figura archetipica della femme fatale (l’androgina Christine interpretata da Renée Soutendijk, e la sensualissima Catherine di Sharon Stone). È proprio all’interno del “genere” che Verhoeven riesce a mettere a fuoco alcuni elementi centrali della propria idea di cinema. E soprattutto, è nell’elusività del senso, tipica del thriller di derivazione hitchcockiana, che il regista di Elle [id., 2016] può sviscerare al meglio una personale «poetica dell’ambiguità». Ambiguità che, come vedremo nel corso di questo scritto, ne Il quarto uomo trova una profonda corrispondenza coi temi della femminilità, filtrati attraverso un gusto pittorico che sfocia, spesso e volentieri, nel simbolico e nel grottesco.

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il quarto uomo - 5Le ambigue figure femminili del cinema di Paul Verhoeven: dall’alto, Kitty Tippel… quelle notti passate sulla strada [Keetje Tipper, 1975]; Il quarto uomo; Basic Instinct; Showgirls [id., 1995]; Elle.

«Il film è sovraccarico […] di simboli. E ovviamente è stato il [mio] primo film ad avere splendide recensioni in Olanda, soprattutto dopo il colpo ricevuto con Spetters, che è di due anni precedente […]. Abbiamo finto di essere molto profondi, ma ovviamente è tutto parecchio giocoso e non del tutto vero, ma i critici hanno pensato che fosse un film molto profondo. Ho sempre pensato che fosse più che altro uno scherzo.»2
Parlando de Il quarto uomo, Paul Verhoeven non nasconde lo spirito ironico – poco compreso dalla critica del tempo – che pervade la pellicola. Equivoci di questo tipo, in fondo, andranno a scandire la sua carriera: basti, su tutti, il caso emblematico di Starship Troopers – Fanteria dello spazio [Starship Troopers, 1997], satira antimilitarista scambiata per film filofascista3. Non bisogna altresì dimenticare che il film è tratto dal romanzo omonimo di Gerard Reve, scrittore olandese omosessuale che in De vierde man mette in scena la propria vita (il protagonista è, per l’appunto, lo scrittore Reve), attraverso una narrazione surreale e grottesca sempre sopra le righe. Come nota perfettamente Peter Verstraten4, l’operazione che svolge Verhoeven nei confronti del testo di partenza è quello di rafforzare l’intento ironico del romanzo attraverso specifici espedienti cinematografici come la profondità di campo e l’uso iperrealistico del colore.

il quarto uomo - 6Gerard Reve, il protagonista del film.

Ne Il quarto uomo, Gerard Reve (Jeroen Krabbé) è uno scrittore alcolizzato che vive una relazione contrastata con il proprio compagno – nella prima sequenza, l’uomo sogna di strangolarlo con un reggiseno. Invitato per una conferenza fuori città, conosce la misteriosa Christine Halslag, dalla quale viene sedotto e invitato nella sua casa sul mare. Qui scoprirà che la donna è stata sposata con tre diversi mariti, tutti deceduti per morte violenta, e si convincerà sempre più di essere lui “il quarto uomo”.

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il quarto uomo - 8Gerard ha spesso allucinazioni che alludono ai tre mariti morti che lo hanno preceduto nell’amore con Christine: quarti di bue appesi; urne cinerarie…

Nel film, elementi reali e fantastici convivono fra loro, destabilizzando in tal modo il potere dello sguardo dello spettatore (e di Reve) sul mondo circostante, sempre incerto sull’effettiva veridicità dei fatti. Se, come spiega il romanziere ad un convegno letterario, l’atto dello scrittore è quello di ri-creare la realtà (“Io mento la verità; e nel momento in cui non so più se una cosa è accaduta o meno, è allora che diviene eccitante”), questo stesso potere può ritorcersi sul suo fautore. Verità e menzogna sono d’altronde due dei temi portanti del film, legati indissolubilmente alla fede cattolica di Reve (“essere cattolico significa avere grande capacità di immaginazione”). Si tratta di un’interpretazione che lo stesso Verhoeven potrebbe condividere: «[The Fourth Man] hade more to do with my vision of religion. In my opinion, Christiany is nothing more than one of many interpretations of reality, neither more or less.»5 Non a caso, nel film abbondano riferimenti alla religione: dalla figura della Vergine Maria, più volte incontrata da Gerard durante il suo viaggio, fino alla profana rivisitazione della crocifissione, in una delle sequenze più celebri del film. Qui, Reve immagina di vedere sulla croce, al posto di Gesù Cristo, Herman, il giovane amante di Christine che vorrebbe “farsi a tutti i costi”.

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il quarto uomo - 10La Vergine Maria che appare sovente a Gerard.

il quarto uomo - 11 il quarto uomo - 12 il quarto uomo - 13Gerard vede Herman in croce. La sequenza, seppur onirica, è contraddistinta da una forte carnalità.

D’altro canto, proprio un’immagine sacra aveva caratterizzato i macabri titoli di testa del film, ideati dallo stesso Verhoeven. Il quarto uomo inizia e finisce, infatti, con l’immagine di un ragno che, nel tessere la propria ragnatela su di un crocifisso, avvolge le sue prede – tre mosche –nella tela.

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Come è stato notato6, il riferimento principale della scena è il dio-ragno evocato nel finale di Come in uno specchio [Såsom i en spegel, 1961]. Eppure, l’austerità formale e il naturalismo che caratterizzano il cinema di Ingmar Bergman, pur così apprezzato da Verhoeven7, poco hanno a che fare con i grotteschi barocchismi che andranno a distinguere Il quarto uomo. Basti osservare l’arredamento della camera di Reve, talmente sovraccarica di décors al punto da renderla un luogo grottesco e irreale; e come, parallelamente, la fotografia patinata e flou di Jan de Bont renda tale esperienza visiva assolutamente allucinatoria.

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Ed è proprio questo uno dei punti centrali del film: Verhoeven insiste su simboli e simbologie a tal punto da farli implodere su se stessi, facendoci così dubitare della loro effettiva pregnanza. Ciò produce sul film un effetto di straniamento: Il quarto uomo sarà, sì, un incubo contraddistinto dall’ansia dell’uomo nei confronti della donna – questione che affronteremo tra poco, nel capitolo successivo – ma senza mai prendersi troppo sul serio.
«It’s a joke»: Verhoeven non ci aveva forse avvertito?

il quarto uomo - 20 il quarto uomo - 21In sogno, Gerard vede un occhio fuoriuscire da una porta. Un altro occhio – di Herman – verrà trafitto da un palo, in un grottesco incidente d’auto.

il quarto uomo - 22La grossa chiave che appare in sogno a Gerard ricorda gli “ingombranti” oggetti surrealisti che Salvador Dalì realizzò per Io ti salverò [Spellbound, 1945] di Alfred Hitchcock.

Christine: ovvero, Dalila castratrice

In Basic Instinct, la ricca Catherine Tramell amava collezionare relazioni sessuali d’ogni sorta: omosessuali, eterosessuali, dai caratteri sadomasochistici, feticisti, ecc. Per questo, la donna rappresentava idealmente un «pericolo» per l’integrità del maschio americano, raffigurato nel film dal detective Curran (Michael Douglas); una femme fatale, mutuata dalla grande tradizione noir, in grado di manipolare gli uomini a suo piacimento. Come non ricordare, d’altronde, la celebre sequenza dell’interrogatorio: vero e proprio “scontro di genere” tutto giocato su di un serrato campo/controcampo. La Christine de Il quarto uomo sembra in qualche modo prefigurare Catherine: bionda, ammaliante, manipolatrice – nonché, forse, anche assassina.

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Si tratta dunque di una presenza minacciosa per l’uomo, capace di riscrivere radicalmente ruoli e rapporti di genere. Nel film, ciò si traduce in precise scelte di messa in scena, che illustreremo ora brevemente.
Spesso e volentieri, Christine domina figurativamente Gerard da una posizione di superiorità, mentre l’uomo viene segregato in profondità di campo. Non solo. Quasi sempre è lui a guardarla dal basso verso l’alto, mentre la donna lo sovrasta letteralmente. Se in Basic Instinct questa condizione di sudditanza era tradotta da precise scelte di montaggio (e di sguardo8, come nella succitata sequenza dell’interrogatorio), nel Quarto uomo ciò è ottenuto grazie alla composizione del quadro.

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Tale ribaltamento di ruoli si inscrive, in primis, sul piano sessuale. Gerard riesce ad arrivare all’orgasmo solo immaginandola come un “bel ragazzo”, prima coprendole i seni, e poi osservando la sua schiena, nuda, riflessa nello specchio. Nella scena della prima notte di sesso, la donna assume una posizione di dominio sull’uomo, confinato nella parte inferiore dell’inquadratura.

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Tale scambio di ruoli troverà conferma nelle sequenze successive. Gerard passa le proprie giornate in casa, mentre la donna si reca al lavoro (gestisce un centro di bellezza); è lei che lo porta in giro in macchina, gli prepara la colazione, ecc. Lo scrittore, solo, in questa grande casa, è come una delle mosche impigliate nella ragnatela che abbiamo visto durante i titoli di testa – l’insegna al neon che accoglie l’uomo fuori dalla casa, SPIN (“ragno”), lascia d’altronde ben pochi dubbi a riguardo.

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il quarto uomo - 33 pre2Gerard in “trappola” nella casa di Christine.

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Per sancire una volta per tutto questa definitiva privazione di mascolinità, Verhoeven si affida alla simbologia, rifacendosi all’episodio biblico di Dalida e Sansone.
Durante un viaggio in treno, Gerard vede la suddetta scena biblica rappresentata sulla parete della propria carrozza. Dalila taglia i capelli a Sansone, e attraverso questo gesto lo priva della sua forza, consegnandolo così ai Filistei. Afferma Verhoeven: «The ritual of doing his hair is of course the castration symbol that the story of Samson and Delilah is about9 Tagliare i capelli equivale dunque, simbolicamente, a praticare la castrazione. Due volte nel corso del film Christine prenderà in mano un paio di forbici: sia per tagliare i capelli di Gerard, sia, in sogno, per evirarlo.

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Verhoeven fa un uso è a dir poco spregiudicato di tali simbologie, rifacendosi non solo ad archetipi del noir e del thriller americani, ma anche ad una tradizione pittorica prettamente europea – il regista, vale la pena ricordarlo, è stato anche pittore.
In un affascinante libro dal titolo La testa senza il corpo, la studiosa Julia Kristeva prende in considerazione, tra le altre cose, la raffigurazione della decapitazione nel corso della storia dell’arte. Da studiosa di Freud, Kristeva individua nell’atto violento di tagliare la testa, ed in particolar modo quello perpetrato da una donna nei confronti di un uomo (Salomé, Giuditta, e in fondo anche Dalila), un surrogato simbolico della recisione dell’organo genitale maschile. La castrazione, dal punto di vista femminile, si configura come risposta a una violazione («la decapitazione, sostituto simbolico della castrazione, appare [come] una vendetta contro la deflorazione»); mentre, da quello maschile, come ansia della privazione del membro nell’atto sessuale («l’angoscia di perdere il proprio organo penetrando la vagina»10). Oltre all’inevitabile riferimento a Giuditta e Oloferne, il famoso dipinto che Artemisia Gentileschi dipinse dopo una violenza subìta, la Kristeva si sofferma sulla rappresentazione del mito di Sansone e Dalila: «Variante mitigata della decapitazione, l’atto umiliante [del taglio dei capelli, NdR] nasconde al pari di quest’ultima i tormenti e i piaceri della castrazione, anticipatrice della condanna a morte. Dalila ci appare come una versione secondaria e peggiorativa di Giuditta, che la precede e se ne trova corretta.»11

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il quarto uomo - 40 il quarto uomo - 41Nell’ordine: Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi, Il trionfo di Dalila di Rembrandt e Sansone e Dalila di Joan Tobias Sergel.

A dominare, in queste rappresentazioni, sono i colori vividi, sanguigni, che conferiscono un’estrema violenza simbolica alla scena. Un gusto pittorico che prefigura, in fondo, quello dei simbolisti del XIX secolo, in particolar modo Gustave Moreau e Franz con Stuck, ovvero quegli artisti che Duncan e Keesey, nel loro studio sul cinema di Verhoeven, individuano come i due principali riferimenti pittorici del Quarto uomo – senza dimenticare, ovviamente, l’iperrealismo americano12.

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il quarto uomo - 45L’uso dei colori in maniera simbolica, ne Il quarto uomo, si rifà dichiaratamente ai simbolisti del XIX secolo. Qui, due dipinti di Franz von Stuck, Il bacio della sfinge e Il peccato; sotto, due scene del film.

il quarto uomo - 46il quarto uomo - 47 il quarto uomo - 48Non solo Europa. Verhoeven guarda anche alla pittura americana, in particolare a Edward Hopper e, come nel caso sopra esposto, al celebre Christina’s World di Andrew Wyeth.

Il quarto uomo è dunque un film che riesce a tener insieme elementi eterogenei: il macabro con il parodico; il realistico con il simbolico; l’Europa con gli Stati Uniti. Un film in cui gli interessi di Verhoeven si spostano da un realismo esasperato (Spetters) ad uno caratterizzato da frequenti incursioni nell’onirico.
Il film, a detta dello stesso regista, fu più che altro un divertissement. A nostro avviso, però, Il quarto uomo è soprattutto un’importante occasione, per Verhoeven, di sperimentare nuove modalità di messa in scena: un vero banco di prova per i lavori che realizzerà successivamente in quel sistema così rigido eppure così permeabile di Hollywood.

NOTE

1. La dichiarazione è proveniente dal commento audio del DVD americano di Basic Instinct.

2. http://www.ghosts.org/verhoeven/fourthman.html

3. A tale riguardo, consigliamo caldamente la lettura del mirabile saggio, dedicato al film, scritto da Franco La Polla e contenuto in Stili americani (Bononia University Press, Bologna, 2003).

4. P. Verstraten, The Irony of Irony: On Paul Verhoeven’s Adaptation of Gerard Reve’s De vierde man [The Fourth Man], University of Leiden.

5. M. Barton-Fumo, Paul Verhoeven: Interviews, University Press of Missisipi, 2016.

6. D. Keesey, P. Duncan, Paul Verhoeven, Tachen, Köln (Edizione Italiana, Modena), 2005.

7. Spesso Verhoeven ha indicato Bergman come uno dei suoi ispiratori, soprattutto per Il settimo sigillo [Det sjunde inseglet, 1957], film in cui la rappresentazione del medioevo non è affatto edulcorata quanto piuttosto realistica.

8. Ciò non toglie che anche Il quarto uomo metta in pratica un interessante lavoro sullo sguardo, di derivazione hitchcockiana. Pensiamo, ad esempio, come il primo atto della donna nei confronti di Reve sia quello di filmarlo durante il convegno, facendolo così diventare – metaforicamente – oggetto del suo sguardo.

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9. http://www.ghosts.org/verhoeven/fourthman.htm Con quell’ironia che contraddistingue il film, il regista dissemina riferimenti espliciti a questo mito, ad esempio chiamando un prodotto per i capelli, per l’appunto, “DELILAH”.

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10. J. Kristeva, La testa senza il corpo, Donzelli Editore, Roma, 2009, p. 102.

11. Ivi., pp. 108-109.

12. D. Keesey, P. Duncan, Op. cit., p. 82.