Nella lettura della storia umana, i personaggi che hanno lasciato un segno, un’impronta indelebile, rappresentano testimonianze preziose che, intrecciandosi, permettono una ricostruzione della storia e della cultura locale. Ogni nazione, ogni comunità ha i suoi pensatori, uomini di cultura e di scienza, di arte e di fede che delineano la fisionomia dell’identità di un luogo in modo unico e significativo. L’esplorazione storico letteraria del legame tra i personaggi di un tempo e la cultura locale non solo arricchisce la nostra comprensione del passato, ma ci connette anche in modo profondo alla nostra eredità culturale che diventa linfa per il presente, patrimonio inestimabile per il futuro.
Giuseppe Candido, vescovo e scienziato, ma anche artista e uomo di Chiesa, rappresenta una figura di spicco nell’ambiente culturale e scientifico salentino, in particolare nella città di Lecce dove introdusse tecnologie molto avanzate per quei tempi. Fu, tra l’altro, uno studioso appassionato della misura del tempo e inventore della prima rete di orologi pubblici elettrici in Italia.
Giuseppe Candido nasce a Lecce il 28 ottobre 1837, da Ferdinando e Stella De Pascalis, secondo di otto figli. La famiglia Candido, originaria di Cava dei Tirreni si trasferì, inizialmente, per motivi di commercio a Mesagne per poi stabilirsi a Lecce, acquistando il feudo Ceriescio.
Il piccolo Giuseppe, all’età di 10 anni viene iscritto al Reale Collegio dei Gesuiti, istituzione di alto livello per l’eccellenza del corpo docente. Si distingue subito per il suo talento in matematica e in fisica, tanto da essere insignito nel 1855, all’età di 18 anni, del Giglio d’Oro con nastro rosso, una decorazione che riconosce l’eccezionale rendimento degli allievi più meritevoli del Collegio.
Aiuta padre Nicola Miozzi, fisico eminente, che gli trasmette la passione per gli studi sull’elettricità e proprio con padre Miozzi Candido partecipò, dal 14 al 27 gennaio 1859, alla realizzazione di uno dei primi esperimenti di illuminazione pubblica, alla presenza del Re Ferdinando II, in visita a Lecce. Conseguita la laurea in Matematica e Fisica presso l’Università di Napoli, già ordinato sacerdote, Giuseppe Candido nel 1861 ritorna a Lecce, dove apre una propria scuola privata di Fisica sperimentale in via Regina Isabella. Si dedica al problema della generazione dell’elettricità, brevettando la pila a diaframma regolatore, ottenendo una menzione speciale all’Esposizione Universale di Parigi del 1867. Fino al 1869 insegna in diverse scuole leccesi, tra le quali il Liceo-Ginnasio “Palmieri” e il Seminario diocesano.
Tra il 1868 ed il 1874 progetta e mette in funzione la rete degli orologi pubblici elettrici di Lecce. Come riportato nel saggio “Giuseppe Candido, Vescovo e Scienziato” Edizione Grifo, il 1° febbraio 1868 Candido scrive al Consiglio Municipale di Lecce: «Signori nella nostra Lecce si sente, ogni giorno dippiù, la mancanza di buoni Orologi Pubblici (…). Noi possiamo dire con verità che la nostra Lecce non à orologi pubblici e che dalla massa del popolo non si sa che ora sia». Propone quindi la realizzazione, prima del genere in Italia e una delle prime in Europa, di quattro orologi pubblici e due detti regolatori oppure orologi di riferimento, di cui uno di riserva. Lo stanziamento, firmato dal sindaco Michele Lupinacci, era di 1500 lire, una somma veramente elevata per quel tempo. I quadranti erano collocati: sul Sedile, un edificio del XVI secolo già municipio della città salentina; sulla Prefettura; sul Liceo ”Palmieri” e sull’Ospedale dello Spirito Santo. Questa rete di orologi elettrici rimase in funzione sino al 1937.
Giuseppe Candido è ricordato soprattutto per i suoi studi scientifici. Di fatto, oltre la pila e gli orologi, tra le sue realizzazioni vanno citate anche il pendolo sessagesimale elettromagnetico, la sveglia-accenditoio-spegnitoio elettrico, il metodo eliografico per il tracciamento della linea meridiana e il gassogeno ad acetilene a prova di scoppio. Sovente si tratta di Candido scienziato quindi, ma non va dimenticata la sua passione e predisposizione anche per l’arte. Ha dipinto infatti anche numerosi quadri dei quali pochi sono stati ritrovati presso i suoi parenti, tra i quali Le nozze di Cana, Cristo e l’Adultera, Cristo e la Maddalena; di altri dipinti si ha memoria in lettere, ma non traccia. Un quadro rappresentante La Maddalena della Purità è conservato nella cappella dell’Episcopio a Ischia. A lui si deve anche un altorilievo in marmo La lotta per la sopravvivenza. La scarsa documentazione delle sue produzioni artistiche si chiude con un Presepe, di cui è autore dei personaggi in cartapesta della Madonna e S. Giuseppe e un disegno con uno Studio di paesaggio.
Nel 1881, a sua insaputa, Papa Leone XIII lo nominò Vescovo di Lampsaco e coadiutore del Vescovo di Nicastro, in Calabria. E così Giuseppe Candido, nonostante avesse cercato invano, di sottrarsi all’incarico, iniziò una nuova vita molto impegnativa: “Candido era prima di tutto sacerdote e obbedì perché dell’obbedienza ne aveva fatto, e ne fece sempre, una ragione di vita”. Nel 1888 venne nominato Vescovo di Ischia e in occasione del suo insediamento ricevette onori e riconoscimenti anche da molti dei più famosi scienziati. Contribuì attivamente a far risorgere l’isola dalle rovine del terremoto del 1883 recuperando o ricostruendo, anche con risorse personali, le chiese e il Seminario, in cui, per la prima volta, vennero chiamati ad insegnare professori laici. Il 18 febbraio 1900 la Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei lo nominò Socio corrispondente, in riconoscimento della sua attività di scienziato.
Guidò, con uno stile pastorale aperto e inclusivo, la piccola diocesi per 14 anni, dal 1888 al 1902 quando, per una grave malattia, fu costretto a rinunziare alla carica di Vescovo. Morì il 4 luglio 1906 a Ischia, dove è sepolto.
Giuseppe Candido, con la sua straordinaria poliedricità, incarna un esempio unico di come la passione e la dedizione possano trasformare la vita di una persona e plasmare il destino di una comunità. Attraverso le sue imprese scientifiche, artistiche e pastorali, Candido ha lasciato un segno indelebile non solo nella storia di Lecce. La sua vicenda ci ricorda, infatti, che le grandi menti e le anime generose possono superare ogni ostacolo e lasciare un’impronta duratura nel mondo. Che la sua eredità fatta di innovazione scientifica, sensibilità artistica e fervente devozione, possa continuare ad ispirare e ad illuminare il cammino di coloro che si dedicano al servizio della conoscenza, della bellezza e della fede!