The Father - Nulla è come sembra: recensione del film
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    The Father – Nulla è come sembra: recensione del film

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    A otto anni di distanza dall’esordio a teatro di Le Père, lo scrittore e regista francese Florian Zeller debutta al cinema con The Father – Nulla è come sembra, adattando la sua stessa pièce in uno dei più sontuosi lavori di quest’annata cinematografica, giustamente premiato con gli Oscar per la migliore sceneggiatura non originale (scritta da Zeller con Christopher Hampton) e per il migliore attore protagonista Anthony Hopkins. Un’opera amara e struggente, in cui la forma diventa contenuto, mettendo lo spettatore nella stessa prospettiva dell’anziano protagonista, che a causa della sua demenza senile assiste impotente al progressivo e inesorabile declino della sua memoria. Grazie a BiM Distribuzione, The Father – Nulla è come sembra arriva nelle sale italiane il 20 maggio in versione originale con sottotitoli italiani e doppiato in italiano a partire dal 27 dello stesso mese.

    The Father – Nulla è come sembra: un labirinto di ricordi, sogni e suggestioni

    The Father - Nulla è come sembra

    A causa della sua irreversibile malattia neurologica, l’ultra ottantenne Anthony (non a caso stesso nome e stessa data di nascita del suo interprete Anthony Hopkins) ha la necessità di essere costantemente accudito nel suo appartamento londinese. Nonostante ciò, l’anziano uomo non si rassegna all’ineluttabile, e continua ad allontanare con scuse futili tutte le badanti trovate per lui dalla figlia Anne (Olivia Colman). Questo fragile equilibrio è però destinato a mutare, a causa della decisione di Anne di trasferirsi a Parigi con il suo nuovo compagno. La debole mente di Anthony si perde così definitivamente in un labirinto di ricordi, sogni e suggestioni, nel quale è difficile intravedere come stanno realmente le cose.

    The Father – Nulla è come sembra non è certamente il primo film a trattare la demenza (fra i più recenti, ricordiamo Still Alice, Ella & John – The Leisure Seeker, Amour e Nebraska), ma l’opera di Zeller si differenzia da tutte le altre per la scelta vincente del punto di vista da cui raccontare una delle malattie più avvilenti, che in molti purtroppo conoscono direttamente o indirettamente. Proprio come Anthony, fin da primi minuti ci ritroviamo a cercare il bandolo della matassa della vita del protagonista, persi fra binari morti e avvenimenti discordanti. In questo senso, Zeller opera in maniera non difforme da Christopher Nolan nel suo Memento, facendo del montaggio di Giōrgos Lamprinos un mezzo espressivo con il quale comunicare il senso di spaesamento che prova chi si trova a perdere una delle caratteristiche che ci definisce come esseri umani, cioè la memoria.

    The Father – Nulla è come sembra: un sontuoso Anthony Hopkins

    The Father - Nulla è come sembra

    Il regista lavora sui volti degli interpreti, trasmettendo attraverso i loro sguardi il disagio di chi si trova privo di qualsiasi punto di riferimento e l’imbarazzo di chi, dall’altra parte, è costretto a fare buon viso a cattivo gioco, spiegando pazientemente ad Anthony ciò che dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti e sopportando le sue reazioni rabbiose. Ed è proprio su queste sfumature sentimentali, così intime e vere, che si concentra il regista, rendendo ambiguo anche il volto più familiare al protagonista e flirtando addirittura con il thriller psicologico, compiendo un ragionamento sulla soggettività dell’immagine affine a quello del sottovalutato La donna alla finestra, approdato proprio in queste settimane nel catalogo Netflix.

    Non meno importante è la scelta che Zeller opera sugli spazi, costringendo per buona parte del racconto il protagonista, e di riflesso la sua storia, all’interno delle quattro mura di un appartamento. Non è difficile comprendere l’ostinazione con la quale il regista si è impuntato su Hopkins come protagonista dell’adattamento della sua opera teatrale, non prendendo in considerazione nessun’altra alternativa e costruendo la sceneggiatura sull’attore britannico, ora due volte premio Oscar. Hopkins riesce infatti a raccontare con un’espressione, un impercettibile gesto e un movimento apparentemente banale un intero universo che si trova dentro alla mente di Anthony.

    Il suo accanimento sulla presunta scomparsa del suo orologio (anche in questo caso simbolica: la percezione dello scorrere del tempo è un’altra caratteristica del genere umano che viene meno con la demenza), lo sguardo spiazzato e allo stesso tempo appassionato con cui parla dell’altra figlia Lucy e la fatica che percepiamo nel suo lento incedere da una stanza all’altra tratteggiano meglio di qualsiasi manuale di medicina cosa significhi vivere in questa condizione, sentendosi sfuggire lentamente la vita dalle proprie mani.

    Il crepuscolo dell’esistenza, fra solitudine e fantasmi del passato

    The Father - Nulla è come sembra

    Anche se The Father – Nulla è come sembra rifugge dal patetismo e dalla pornografia del dolore, è inevitabile che con il suo progredire la storia diventi sempre più amara e che il tunnel in cui è imprigionato Anthony si stringa sempre di più intorno al protagonista. In questo racconto di sovrapposizioni di volti e di ricordi, di fantasmi del passato, di presenti alternativi, di futuri mai scritti e di solitudine mentale, prima ancora che fisica ed emotiva, stupisce ancora una volta la delicatezza con cui Zeller mette in scena il crepuscolo dell’esistenza, trasformando anche una fredda stanza di ospedale in un luogo di riflessione sulla memoria e sul cammino che ognuno di noi intraprende mentre si avvicina alla fine: quello verso casa e verso gli affetti più profondi, anche se lontani nel tempo e nel ricordo.

    Smarrito negli anfratti più reconditi della sua mente, sospeso fra tante diverse proiezioni della realtà e incapace di assegnare alle facce che gli stanno intorno la giusta collocazione temporale e affettiva, Anthony non può più contare su nessuna Rosabella, né su qualche scritta che lo aiuti a raccapezzarsi. Non resta così che aggrapparsi ai sentimenti più universali e inscalfibili, come l’amore materno, e a una natura silenziosa ma accogliente, a cui affidarsi senza remore per sentire ancora il vento sulla pelle. Insieme alla memoria, scompaiono così anche i traumi e i dolori, le delusioni e le menomazioni. Resta solo un flebile anelito di vita, perso nel tempo e nello spazio, da assaporare e custodire, come questo splendido lavoro di Zeller.

    Overall
    8.5/10

    Verdetto

    Un sontuoso Anthony Hopkins è il protagonista di un racconto doloroso e struggente, che accompagna lo spettatore in un viaggio fra i più reconditi anfratti della mente umana.

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    Godzilla Minus One: recensione del film di Takashi Yamazaki

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    Godzilla Minus One

    Giunto al 70esimo anno di età e al 37esimo lungometraggio, l’imponente kaijū del cinema giapponese Godzilla si rigenera grazie a Takashi Yamazaki e al suo Godzilla Minus One, che lo scorso marzo è diventato il primo film non in lingua inglese a conquistare l’Oscar per i migliori effetti speciali. Un riconoscimento prestigioso che arriva in un momento particolarmente florido per il franchise, grazie al MonsterVerse statunitense che unisce Godzilla e King Kong, al nipponico Shin Godzilla e ai film animati distribuiti su Netflix.

    Godzilla Minus One riparte dalle origini, nello specifico dalla fine della seconda guerra mondiale, doppiamente devastante per il Giappone per via della resa incondizionata sul campo di battaglia e delle due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. In questo contesto facciamo la conoscenza del pilota kamikaze Kōichi Shikishima (Ryūnosuke Kamiki), che sul finire del conflitto fugge da una missione e atterra sull’isola di Odo, dove vede Godzilla impiegare tutta la sua forza distruttrice. Con il passare del tempo, l’uomo deve confrontarsi con l’onta della diserzione e col disturbo da stress post-traumatico, mentre Godzilla, potenziato dai test nucleari statunitensi sull’atollo di Bikini, diventa sempre più forte e pericoloso. Questo spinge le autorità a ideare un piano per distruggerlo, in cui proprio Shikishima occupa un ruolo di primo piano.

    Godzilla Minus One: alle origini del mostro

    Godzilla Minus One

    La storia di Godzilla è indissolubilmente legata a quella del Giappone, e Godzilla Minus One non fa eccezione. Sui temi ricorrenti del franchise, come il terrore per l’atomica (di cui il kaijū è chiara metafora) e il monito dell’ambiente nei confronti del cinismo umano, Takashi Yamazaki innesta una toccante e profonda riflessione sul senso di colpa e sul trauma, rappresentato proprio da Shikishima, nella doppia veste di reduce di guerra e di colpevole di diserzione, anche se per puro istinto di sopravvivenza nei confronti di uno stato che ordina a un cittadino di sacrificarsi per lui. Un risvolto sorprendente e per certi versi spiazzante, dal momento che questa scelta riduce sensibilmente la presenza in scena di Godzilla.

    Dopo il trionfale ingresso in scena nell’incipit, condito da una strizzata d’occhio a Lo squalo, il kaijū lascia infatti ampio spazio ai personaggi umani (decisamente più convincenti e stratificati di quelli messi in scena nel già citato MonsterVerse), rievocando al tempo stesso il trauma di un’intera nazione devastata dalla seconda guerra mondiale. Una scelta potenzialmente respingente, che viene però compensata dallo spettacolare ritorno in scena di Godzilla in un segmento da antologia, nel corso del quale viene praticamente raso al suolo un quartiere di Tokyo, Ginza. Un ottimo antipasto per l’inevitabile scontro finale, nel classico meccanismo di progressivo aumento della posta in gioco che contraddistingue il franchise.

    Una nuova partenza

    Godzilla Minus One guarda anche agli Stati Uniti, sia dal punto di vista delle ispirazioni (ci sono reminiscenze de Il cavaliere oscuro – Il ritorno e Dunkirk), sia per quanto riguarda la dimensione politica e propagandistica. Come il cinema americano, incline a celebrare l’eroismo bellico fino a sfociare nel revisionismo, anche il lavoro di Takashi Yamazaki filtra il passato con gli occhi del presente, donando umanità e dignità a personaggi spesso cancellati dalle pagine della storia e proponendo inoltre un modello di battaglia civile, molto più efficace di quella istituzionale. Elementi che contribuiscono alla resa di un capitolo di Godzilla atipico, ma proprio per questo in linea con la rinnovata sensibilità contemporanea. Una nuova partenza per un franchise che non smette mai di rinnovarsi e appassionare gli spettatori di tutto il mondo.

    Dove vedere Godzilla Minus One in streaming

    Al momento non disponibile su nessuna piattaforma.
    Overall
    6.5/10

    Valutazione

    Takashi Yamazaki firma un atipico capitolo del franchise, in cui l’ottima azione è centellinata in nome di una toccante riflessione sul senso di colpa e sul trauma.

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    Freelance: recensione del film con John Cena e Alison Brie

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    Freelance

    La commedia action vive un momento decisamente altalenante. Da una parte abbiamo Argylle – La super spia, andato incontro a un fiasco al botteghino pochi mesi fa, e The Fall Guy, dal tiepido riscontro commerciale; dall’altra abbiamo i successi conclamati dell’ibrido di generi Everything Everywhere All at Once (addirittura vincitore di 7 Oscar) e di Bullet Train e The Lost City. Ed è proprio a quest’ultimo film, con Sandra Bullock e Channing Tatum formidabili protagonisti, che sembra guardare Freelance, ultima fatica di Pierre Morel distribuita in Italia direttamente su Prime Video.

    Come in The Lost City, abbiamo infatti una location esotica al servizio di una stramba coppia formata da un uomo tanto imponente fisicamente quanto fragile psicologicamente (in questo caso John Cena) e da una donna ben più risolta ma alle prese con una crisi improvvisa, interpretata da un’attrice avvenente e dalle notevoli abilità comiche (Alison Brie, memorabile protagonista di Community e GLOW). Entrambe le opere cercano inoltre di sovvertire le più logore convenzioni di questo filone, invertendo i rapporti di forza fra l’uomo e la donna a cui il cinema action machista ci ha abituato. Un canovaccio dalle buone potenzialità, che Freelance spreca però malamente, principalmente a causa della sbiadita sceneggiatura di Jacob Lentz, che non riesce mai a trovare la giusta commistione fra azione, commedia e sentimentalismo.

    Freelance: John Cena non riesce a salvare un’incolore commedia action

    Freelance

    Al centro della vicenda c’è Mason Pettits (John Cena), studente di legge che in cerca di emozioni e avventure si arruola nell’esercito. Durante una missione volta ad assassinare il dittatore del fittizio stato sudamericano della Paldonia Juan Venegas (Juan Pablo Raba), l’uomo si procura però un grave infortunio, che lo costringe al ritiro e a una per lui insoddisfacente vita ordinaria. L’esistenza di Mason viene però nuovamente sconvolta quando il suo vecchio amico Sebastian Earle (Christian Slater) lo ingaggia per proteggere la giornalista Claire Wellington (Alison Brie), intenzionata a risollevare la sua carriera con un’intervista a Juan Venegas in Paldonia. I tre sono quindi costretti a convivere e a confrontarsi, fra tensioni, imprevisti e colpi di scena.

    Già con Peppermint – L’angelo della vendetta, Pierre Morel aveva mostrato difficoltà a seguire l’evoluzione dell’action contemporaneo, ormai ben lontano dai suoi primi contributi al genere, ovvero Banlieue 13, Io vi troverò e From Paris with Love. Come avvenuto per il film con protagonista Jennifer Garner, anche in Freelance si ha la sensazione di essere di fronte a un racconto fuori tempo massimo, che cerca maldestramente di adeguarsi alle tendenze moderne pur con uno spirito che rimanda alle escursioni comiche di Arnold Schwarzenegger a cavallo fra anni ’80 e ’90. Il tutto accompagnato da un villain bidimensionale e macchiettistico e dalla scarsa alchimia fra i due protagonisti, capace di affossare anche l’ottima vis comica recentemente da John Cena.

    Anche se il regista compie l’azzeccata scelta di evitare le più scontate declinazioni sentimentali, Freelance non riesce mai a trovare una propria dimensione, fallendo sia nell’approfondimento delle fragilità dei personaggi, sia quando punta sulla commedia, al punto che l’unica battuta degna di nota è una prevedibilissima allusione sessuale scaturita dal cognome del protagonista.

    Un pasticcio insapore

    La componente prettamente action non migliora di certo le cose: la messa in scena è caotica e raffazzonata, gli scontri fisici e a fuoco si accontentano del minimo sindacale, le location colombiane non sono per niente valorizzate. I miseri 10 milioni di dollari incassati in sala, a fronte di un budget di 40 milioni, sono la naturale conseguenza di un pasticcio insapore e anche un po’ ingenuo, che si trascina per poco meno di 2 ore senza una valida idea di cinema e privo di una storia da raccontare.

    Freelance è disponibile nel catalogo di Prime Video.

    Dove vedere Freelance in streaming

    Al momento non disponibile su nessuna piattaforma.
    Overall
    4/10

    Valutazione

    Pierre Morel firma una action comedy insapore e ingenua, che non trova mai la propria dimensione.

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    The Well: recensione del film horror di Federico Zampaglione

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    The Well

    Il cinema di Federico Zampaglione è sempre una questione d’amore. Lo è fin dai tempi di Nero bifamiliare, sua grottesca commedia di esordio in cui brilla la sua compagna di allora Claudia Gerini, e ha continuato a esserlo con gli omaggi al glorioso cinema di genere nostrano Shadow e Tulpa – Perdizioni mortali. Dopo l’apparente divagazione di Morrison, il suo film in cui emerge maggiormente il primo amore per la musica, il leader dei Tiromancino e brillante regista torna all’horror con The Well, in uscita nelle sale italiane il 18 luglio. Accanto a lui ancora Claudia Gerini, non più sua compagna, e soprattutto la figlia Linda Zampaglione, già vista recentemente in Time Is Up ed Elf Me.

    Al centro della vicenda c’è Lisa Gray (Lauren LaVera, già protagonista di Terrifier 2), restauratrice statunitense che negli anni ’90 si reca nel piccolo comune di Sambuci con il compito di riportare allo splendore perduto un dipinto medievale, gravemente danneggiato da un incendio. Dopo aver incontrato un trio di film-maker di cui perde le quasi subito le tracce, Lisa arriva grazie all’aiuto di Marcus (Jonathan Dylan King) nella sinistra villa dei Foschi Malvisi, dove viene accolta dalla padrona di casa Emma Malvisi (Claudia Gerini) e dalla figlia di quest’ultima, Giulia (Linda Zampaglione). Mentre Lisa inizia il suo lavoro di restauro, iniziano a verificarsi avvenimenti sinistri, che le precipitano in un agghiacciante viaggio fra le pieghe del tempo e fra indicibili orrori.

    The Well: il ritorno all’horror di Federico Zampaglione

    The Well

    The Well si muove in bilico fra la florida tradizione dell’horror gotico (evocato dalle suggestive atmosfere della villa dei Foschi Malvisi) e lo splatter più sadico, senza rinunciare ad appassionate e apprezzabili strizzate d’occhio ai capolavori di Dario Argento e Lucio Fulci. A tornare alla mente in questo senso è soprattutto Suspiria, grazie a Lauren LaVera (somigliante caratterialmente e fisicamente alla Jessica Harper della pietra miliare argentiana) e a un’ottima Claudia Gerini, in perfetto equilibrio fra ambiguo fascino e sfumature esoteriche. Un approccio che mette in mostra l’indubbio amore per il cinema di genere di Federico Zampaglione, già evidente nei suoi precedenti lavori, ma che alla lunga penalizza un racconto infarcito di troppi temi e attraversato da un eccesso di suggestioni.

    Come Parasite, The Well occupa gli spazi in verticale, spaziando fra le sommità del Castello Theodoli di Sambuci e le profondità del pozzo evocato dal titolo, cercando un difficile equilibrio fra le vicende di svariati personaggi, sparsi lungo diversi piani temporali. Lungo il percorso si fatica a tenere il tutto, e a farne le spese sono alcuni personaggi secondari e i momenti più estremi con protagonisti i film-maker. Ben più convincenti invece le interazioni fra Lauren LaVera, Claudia Gerini e Linda Zampaglione, in cui il regista lavora brillantemente sugli stilemi del gotico, dando vita ad atmosfere tese e tenebrose, nonostante le evidenti ristrettezze di budget.

    Lo stato dell’arte del cinema di genere italiano contemporaneo

    The Well diventa così più o meno volontariamente un trattato sullo stato dell’horror italiano contemporaneo, inevitabilmente rivolto al passato anche quando funziona, come in questo caso. Un lavoro che ha il merito di addentrarsi in territori ormai sconosciuti al nostro cinema di genere, senza mai rinunciare a una violenza esplicita e traendo il meglio dalla provincia cara a Pupi Avati e allo stesso Fulci, ma rende anche evidente l’esaurimento della spinta propulsiva e creativa del nostro Cinema Bis.

    Ci teniamo comunque stretti il notevole lavoro sul trucco e sugli effetti speciali artigianali, nonché un finale coraggioso ed emblematico, anche se leggermente affrettato. Resta però la sensazione di essere di fronte all’ennesimo buon prodotto isolato di un cinema di genere italiano che non riesce più a farsi sistema, condannato quindi a una continuo e malinconico prolungamento del passato, dunque perfettamente in linea con questo racconto in cui la vita eterna è allo stesso tempo un disperato sogno e una tragica ossessione.

    The Well arriverà nelle sale italiane il 18 lugli0, distribuito da Iperuranio Film in collaborazione con CG Entertainment.

    Dove vedere The Well in streaming

    Al momento non disponibile su nessuna piattaforma.
    Overall
    6.5/10

    Valutazione

    Federico Zampaglione firma un horror di buona fattura e dalle notevoli atmosfere, che soffre però di bulimia narrativa e di uno sguardo costantemente rivolto al passato.

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