Il cambiamento climatico sta spingendo il pianeta verso un punto di non ritorno | National Geographic

Il cambiamento climatico sta spingendo il pianeta verso un punto di non ritorno

Secondo gli scienziati, non ci rendiamo conto del poco tempo a nostra disposizione per fermare i cambiamenti cui vanno incontro il clima e gli ecosistemi terrestri. Ma c’è ancora speranza!

da Stephen Leahy

pubblicato 09-12-2019

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Gli oceani e i coralli che li popolano affrontano le dure conseguenze dei cambiamenti climatici. E subiscono danni tali che potrebbero non riuscire più a riprendersi.
FOTOGRAFIA DI Alexis Rosenfeld, Getty Images

I sistemi climatici del pianeta stanno andando incontro a cambiamenti irreversibili, avvertono i climatologi: siamo in una condizione di emergenza planetaria. Superare una serie di punti di non ritorno potrebbe portare a un punto critico su scala globale, dove diversi sistemi terrestri raggiungeranno livelli di criticità ormai irreversibile.

Questa possibilità è una “minaccia esistenziale per la civiltà”, scrivono Tim Lenton e i colleghi su Nature. Un collasso di questo genere per i sistemi terrestri potrebbe trasformare il pianeta in una sorta di serra, con un aumento di 5°C nelle temperature, di 6-9 metri del livello del mare, la perdita delle barriere coralline e della foresta amazzonica. Grandi porzioni della Terra sarebbero del tutto inabitabili. 

Per limitare il riscaldamento a 1,5°C è necessaria una risposta d’emergenza su scala globale, avvertono gli scienziati. “La stabilità e la resilienza del nostro pianeta sono in pericolo. È un grave shock scoprire che punti di non ritorno che pensavamo di superare in un lontano futuro siano molto vicini”, ha spiegato Lenton, climatologo della University of Exeter, nell’Inghilterra Sud-occidentale, in un’intervista. Il lento collasso della banchisa nell’Antartico occidentale, ad esempio, è già in corso, e gli ultimi dati mostrano che potrebbe essere lo stesso per alcune zone in quello orientale. Se si sciogliessero entrambe, il livello del mare potrebbe aumentare di 7 metri nel corso di pochi secoli.

“Exeter, dove mi trovo, è stata fondata dai Romani 1.900 anni fa. Tra 1.500 probabilmente sarà sott’acqua. Non dovremmo dare per scontata l’eredità che lasceremo alle future generazioni, non importa quanto lontane.”

La situazione delle banchise dell’Antartico occidentale e orientale rappresenta due dei nove punti di non ritorno - giganti del sistema climatico – che ci mostrano chiaramente di essere vicini al momento critico.

Un tempo teoria, ora realtà

L’idea dei punti di non ritorno è stata introdotta 20 anni fa dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC). La perdita della banchisa nell’Antartico occidentale e della foresta amazzonica, o il disgelo estensivo del permafrost - come altre componenti chiave del sistema climatico - sono considerati tali perché possono arrivare a dei limiti estremi e poi cambiare, in modo irreversibile e improvviso. Esattamente come un albero di 200 anni che resiste a 20 colpi d’ascia: il 21esimo potrebbe essere quello che lo abbatte. 

In passato si pensava che questi punti critici sarebbero stati scatenati solo una volta che l’aumento della temperatura fosse arrivato ai +5°C. Ma secondo gli ultimi rapporti IPCC potrebbero iniziare tra i +1° e i +2°C. Ogni piccolo aumento nella temperatura aumenta il rischio si verifichi uno dei 30 punti di non ritorno. Con il +1°C del riscaldamento attuale, si pensa che 9 dei 30 siano già in corso. E proprio come per quel metaforico albero di 200 anni, nessuno sa se sarà il prossimo colpo d’ascia a fare la differenza.

Anche se i vari paesi si impegneranno a rispettare gli accordi presi a Parigi per ridurre le emissioni, l’aumento potrebbe superare i 3°C. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato il 26 novembre le emissioni globali, in continuo aumento, dovrebbero diminuire del 7,6% ogni anno da ora al 2030 per tenere il riscaldamento intorno a 1,5°C. 

Il clima terrestre e i sistemi ecologici sono profondamente correlati. Alimentati dal calore solare l’atmosfera, gli oceani, i ghiacci, il suolo e organismi viventi come le foreste influiscono tutti - alcuni più, altri meno - sul movimento di quel calore intorno alla superficie del pianeta. L’interazione tra gli elementi del nostro sistema climatico globale comporterà un cambiamento importante nel modo in cui questi si influenzano reciprocamente. Quando quell’albero secolare cadrà, al 21esimo colpo d’ascia, potrebbe cadere su altri alberi e provocare un effetto domino.

Il riscaldamento nell’Artico ci riguarda tutti

Gli scienziati avvertono che diversi punti critici iniziano, lentamente, a scontrarsi. La perdita di banchisa artica durante le estati degli ultimi 40 anni, ad esempio, ha portato a una maggior quantità di acque che assorbono calore e a una diminuzione del 40% del ghiaccio in grado di rifletterlo. Questo amplifica il riscaldamento a livello regionale nell’Artico e porta a un’ulteriore perdita di permafrost, con conseguente rilascio di anidride carbonica e metano in atmosfera, contribuendo al riscaldamento globale. 

Un Artico più caldo ha già avuto conseguenze sulla presenza di insetti su larga scala e sull’aumento degli incendi nelle foreste boreali del Nord America. Ora, è possibile che quelle foreste stiano rilasciando più carbonio di quanto ne assorbono. 

Sistemi profondamente interconnessi possono avere impatti su scala globale. Il riscaldamento dell’Artico che, insieme allo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia, sta portando acqua dolce nell’Atlantico del Nord potrebbe aver contribuito al recente rallentamento (circa il 15%) del capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (AMOC). Queste correnti spostano il calore dai tropici e giocano un ruolo importante nelle temperature dell’emisfero settentrionale.

Molti dei punti di non ritorno climatici non si verificheranno rapidamente; il collasso della banchisa antartica proseguirà per centinaia o forse migliaia di anni, dice Glen Peters, direttore della ricerca al Center for International Climate in Norvegia, non coinvolto nella pubblicazione di Nature. Ma “non è chiaro quando arriveremo ad averne diversi in corso nello stesso momento.

È il momento di dichiarare l’emergenza climatica planetaria

È importante ricordare che le temperature globali non sono influenzate solo dalle nostre emissioni di carbonio, sottolinea in un’intervista Katherine Richardson, co-autrice del rapporto e professoressa di oceanografia biologica alla University of Copenhagen. Anche i sistemi naturali della Terra come foreste, regioni polari e oceani giocano un ruolo cruciale. “Dobbiamo prestarvi attenzione”.

È già troppo tardi per scongiurare il verificarsi di alcuni di questi punti di non ritorno; le evidenze mostrano che almeno nove sono stati superati, dice Richardson. Il rischio che si riversino in un punto di non ritorno globale, con impatti tremendi per la civilizzazione umana, rende cruciale una dichiarazione di emergenza climatica planetaria.

Minimizzare il rischio significa mantenere il riscaldamento il più vicino possibile a 1,5°C, riducendo a zero le emissioni. Serviranno almeno 30 anni per raggiungere la neutralità, dice Richardson. “Ed è la stima più ottimistica.”

“Non credo che le persone si rendano conto di quanto poco tempo ci resti”, aggiunge in un’intervista Owen Gaffney, analista che si occupa di sostenibilità globale allo Stockholm Resilience Center della Stockholm University, co-autore della pubblicazione. “Raggiungeremo l’aumento di 1,5°C in 10 o 20 anni e, con 30 anni a disposizione per la decarbonizzazione, è chiaramente una situazione di emergenza. Se non agiamo trattandola come tale, è probabile che i nostri figli erediteranno un pianeta pericolosamente instabile”.

In questi giorni si sta tenendo a Madrid la Conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dalle Nazioni Unite. Tra le tanti figure autorevoli che hanno chiesto un’azione immediata, c’è anche la giovane attivista svedese Greta Thunberg che ha lanciato un messaggio chiaro:  "Stiamo scioperando da un anno ma non è successo ancora nulla. Si sta ignorando la crisi climatica e finora non c'è una soluzione sostenibile. Non possiamo continuare così, vogliamo azione e subito perché la gente sta soffrendo e morendo per questa emergenza climatica, non possiamo aspettare ancora”. 

Le economie hanno la meglio

Un recente rapporto delle Nazioni Unite mostra che Stati Uniti, Cina, Russia, Arabia Saudita, India, Canada, Australia e altri paesi pianificano di aumentare la produzione di combustibili fossili del 120% entro il 2030. Sono gli stessi governi che hanno acconsentito a mantenere il riscaldamento globale entro l’aumento di 1,5°C durante gli accordi di Parigi, ma sembrano più preoccupati della crescita economica. Eppure nessuna analisi economica costi-benefici ci aiuterà ora che ci troviamo di fronte a una minaccia per la civiltà, scrivono Gaffney e i co-autori. I governi si affidano all’opinione degli economisti, ma - con poche eccezioni - questa professione ha fatto all’umanità un grave disservizio ignorando i cambiamenti climatici nella ricerca e nell’accademia, dice Gaffney. Solo una piccola parte di articoli e paper nelle riviste di economia discute di cambiamenti climatici, aggiunge l’esperto. 

I rischi legati ai punti di non ritorno non sono inclusi in alcuna analisi economica per politiche climatiche, fa notare via mail Geoffrey Heal, economista della Columbia Business School di New York City. “Se fossero inclusi, farebbe una grossa differenza… suggerirebbero di rinforzare queste politiche in modo davvero impattante.”

“Superare i punti di non ritorno comporta un rischio enorme per le attività finanziarie, per la stabilità economica e per la vita come la conosciamo oggi”, dice Stephanie Pfeifer, CEO di Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), un gruppo di investimento che gestisce oltre 30 trilioni di dollari in attività finanziarie. È molto meno dispendioso prevenire un ulteriore riscaldamento rispetto all’affrontarne le conseguenze, dice Pfeifer via mail. “Servono azioni ben più concrete e urgenti per gestire i cambiamenti climatici.”

C'è ancora speranza

La decarbonizzazione globale, che è aumentata dal 2010, potrebbe essere sulla rotta del tenere il riscaldamento globale a 2°C, sostiene un rapporto pubblicato su Environmental Research Letters il 2 dicembre. Le emissioni sono aumentate ma la decarbonizzazione, che ha tenuto a bada questo aumento, è in procinto di riuscire a farlo diminuire. I maggiori passi in avanti derivano dall’efficienza energetica, dalle fonti di calore rinnovabili e dall’energia solare ed eolica. 

Questi elementi renderanno possibile il raggiungimento dell’obiettivo proposto a Parigi “se prendiamo iniziative estreme attraverso ogni settore economico”, precisa in un comunicato stampa Daniel Kammen, co-autore dello studio e professore di scienze energetiche alla University of California, Berkeley.

Esistono anche dei punti di non ritorno sociali, aggiunge Gaffney, incluso quello economico perché il costo delle energie rinnovabili sta scendendo al di sotto di quello dei combustibili fossili, mercato dopo mercato. “I prezzi per le energie rinnovabili continuano a diminuire mentre le performance migliorano. È una combinazione imbattibile.”

Sempre più paesi, come il Regno Unito, hanno raggiunto il punto critico dal punto di vista politico degli obiettivi di decarbonizzazione totale al 2050. “Ora è considerato un traguardo raggiungibile ed economicamente ragionevole”.

Negli Stati Uniti, i candidati per le elezioni presidenziali del 2020 stanno mettendo sul tavolo piani ambiziosi per la lotta ai cambiamenti climatici. Negli ultimi 12 mesi è stato raggiunto un altro punto critico di consapevolezza sociale - l’effetto Greta Thunberg - con milioni di giovani studenti in sciopero e tanti altri che richiedono azioni urgenti per contrastare i cambiamenti climatici, prosegue Gaffney. Al contempo sempre più società finanziarie, aziende e città si pongono obiettivi climatici ambiziosi. 

“La convergenza di questi punti di non ritorno potrebbe rendere il decennio del 2020 la transizione economica più veloce della storia”, conclude Gaffney.