Tutto quello che c'è da sapere sugli schieramenti presenti a Idlib - InsideOver

Tutto quello che c’è da sapere sugli schieramenti presenti a Idlib

Idlib è il capoluogo di una provincia che confina con quelle di Aleppo, Latakia, Hama ma soprattutto con la Turchia. Il suo territorio è incastonato tra la costa, la metropoli più importante della Siria e la frontiera turca. Un territorio strategico, quindi, dove, non a caso, ha attecchito nel 2012 la guerriglia dei ribelli siriani, poi trasformatasi in una guerra vera e propria. Le prime rivolte interne alla Siria si hanno nel profondo sud della provincia di Daraa, ma i primi episodi di aggressione alle istituzioni dello Stato siriano si hanno proprio nella provincia di Idlib. E prendere questa provincia ha significato, per le sigle anti Assad, assicurarsi il passaggio di uomini, armi e munizioni dalla Turchia. Adesso sembra arrivata la definitiva resa dei conti.

È il 4 giugno 2011 quando a Jisr ash-Shugur, importante cittadina della provincia di Idlib non lontana dal confine con la provincia di Latakia, un gruppo di manifestanti fa incursione in alcune caserme e Damasco è costretta ad inviare l’esercito per riportare l’ordine. Secondo diversi analisti, questo episodio è il primo vero atto di guerra in Siria ed avrebbe anche comportato la nascita dell’Esercito siriano libero. Dunque nella provincia di Idlib gruppi armati e milizie anti Assad hanno da subito trovato le proprie roccaforti. L’autostrada della jihad con la quale Erdogan ha fatto pervenire, a partire dall’estate del 2012, diversi islamisti e terroristi verso Idlib ha peggiorato poi la situazione. Da qui è partito l’assalto ad Aleppo e da qui i terroristi hanno iniziato ad organizzarsi per provare a togliere sempre più terreno all’esercito siriano.

Una svolta importante si ha nel gennaio 2015: le sigle islamiste premono sul capoluogo Idlib, dove le forze rimaste fedeli al presidente Assad si trovano sotto assedio da parecchi mesi e provano a resistere. Ma ben presto l’esercito è costretto alla ritirata, da allora anche la città di Idlib è sotto occupazione delle sigle definite ribelli. Poco dopo su Al Jazeera il leader del Fronte Al Nusra, Abu Muhammad al Jawlani, appare in tv (inquadrato solo di spalle) per spiegare la propria convinzione di come, entro pochi mesi, l’intera Siria sarà retta da un governo di marca islamista.

La guerra in Siria, dall’intervento russo in poi, prende un’altra piega. Assad torna a riconquistare terreno, l’esercito inizia a riprendere possesso di strategiche località e al nord Idlib rimane unica roccaforte jihadista. Mano a mano che le aree del territorio siriano vengono liberate dai gruppi terroristici, i combattenti che non cedono le armi vengono indirizzati ad Idlib. Le trattative, svolte spesso con la mediazione di Russia e Turchia, portano proprio a questo risultato: quando le battaglie vedono gli islamisti spiazzati, allora si convincono i vari gruppi a trasferirsi presso la provincia di Idlib.

Nasce di fatto un piccolo emirato tra Aleppo e la Turchia. Al suo interno, non sono mancati in questi anni scontri tra le varie milizie. A darsi spesso battaglia sono i gruppi un tempo coalizzati sotto la bandiera dell’Esercito siriano libero. Da un lato vi è il sopracitato Fronte Al Nusra, filiale di Al Qaeda in Siria ed oggi nominato Tahrir Al Sham, dall’altro le sigle considerate sotto stretta dipendenza della Turchia. Le battaglie tra queste forze hanno lasciato negli anni centinaia di morti sul campo. Nell’estate del 2017, poche settimane dopo il vertice di Astana che ha designato Idlib come zone di de esclation sotto la supervisione di Russia e Turchia, la battaglia si è trasformata in vera e propria guerra.

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A uscire vittoriosi sono stati i miliziani dell’ex fronte Al Nusra, i quali da allora in poi controllano quasi tutti i varchi di confine con la Turchia, gran parte del capoluogo Idlib e le città più importanti della provincia. L’unico importante centro dove Tahrir Al Sham è stata sconfitta è quello di Saraqib, a metà strada tra Aleppo ed Idlib.

A premere per la riconquista è ovviamente l’esercito siriano, che vuole ritornare a controllare la provincia dopo quasi cinque anni di assenza. Le forze di Assad vengono da una serie di successi militari e politici che hanno determinato la possibilità di poter disporre, attorno la provincia di Idlib, molti uomini e mezzi. Tra febbraio e luglio del 2018 il governo di Damasco ha recuperato il territorio della regione della Ghouta, così come per intero la provincia di Daraa. Questo ha fatto sì che quasi l’intero potenziale dell’esercito siriano adesso è possibile schierarlo per riprendere Idlib.

Dall’altra parte, come detto, c’è una variegata galassia islamista divisa ed in lotta da anni. Oltre a Tahrir Al Sham, che indubbiamente appare il gruppo più pericoloso anche se gli analisti smentiscono la presenza di 10.000 uomini della milizia ad Idlib, vi sono sigle quali Nour al-Din al-Zinki e l’islamista nazionalista Ahrar al-Sham. Questi gruppi sono accreditato molto vicini ad Ankara: definiti più “moderati” rispetto ad Al Nusra, tuttavia le loro posizioni appaiono islamiste ed orientate verso la guerriglia. La Turchia sembra aver mantenuto “a bada” questi gruppi in questi anni, in cambio del via libera alla guerra voluta da Erdogan contro i curdi a nord di Aleppo. Ed ecco per l’appunto che qui entrano in gioco le forze internazionali. La Siria conta ovviamente sull’alleato russo, così come su quello iraniano: sia Mosca che Teheran hanno punti di osservazione militari ed umanitari attorno i confini della provincia di Idlib. La Turchia dal canto suo ha soldati e mezzi schierati in altri punti di osservazione, ma all’interno della provincia di Idlib.

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Sul campo quindi non ci sono soltanto l’esercito siriano ed i rivali islamisti, bensì anche le tre potenze che più di ogni altra hanno contribuito agli esiti della guerra in Siria. Un precario equilibrio dunque, dove Mosca e Teheran saranno intransigenti nell’aiutare Assad a riprendere per intero la provincia di Idlib, mentre Ankara starà ben attenta ad evitare un esodo di massa verso i propri confini e problemi per l’incolumità dei propri soldati presenti dentro Idlib.

La provincia di Idlib è tra le più densamente popolate della Siria. Un milione e mezzo di abitanti, a cui bisogna aggiungere le migliaia arrivati da altre zone del paese durante il conflitto, sono racchiusi in un fazzoletto di terra stretto tra la Turchia, Latakia, Hama ed Aleppo. In caso di battaglia prolungata, tra bombardamenti e combattimenti di terra, i civili rischierebbero di essere pesantemente messi in mezzo al conflitto e di piangere diverse vittime.

Tutto dipenderà anche dall’evoluzione della guerra: se alcuni gruppi deporranno le armi, come accaduto in alcune zone della provincia di Daraa, molte vite saranno risparmiate. La posta in palio ad Idlib è molto alta: potrebbe di fatto rappresentare l’ultimo atto della guerra in Siria.

Il presidente siriano Bashar Al Assad non ha mai fatto mistero di voler recuperare anche i territori della provincia di Idlib. Anche la Russia ha sempre ribadito il diritto dei siriani di ridare al paese la propria integrità territoriale, con impliciti riferimenti dunque proprio ad Idlib.

In questa ottica, il governo di Damasco già nell’agosto del 2019 ha iniziato a premere nuovamente sull’ultima provincia ancora fuori dalla propria orbita. In quel mese, in particolare, le truppe dell’esercito siriano hanno conquistato la strategica cittadina di Khan Shaykhun, a sud di Idlib e lungo l’autostrada M5.

Ma è stato soprattutto nel gennaio del 2020 che si è registrata un’importante svolta per il controllo di Idlib. In particolare, l’esercito è stato in grado di riprendere, dopo diverse settimane di bombardamenti operati sia dall’aviazione russa che da quella siriana, la città di Maarat Al Numan, la seconda più grande della provincia di Idlib dopo il capoluogo. Anche questa località si trova lungo la M5, l’autostrada strategica che collega Damasco con Aleppo. Il 7 febbraio, avanzando più a nord, le truppe fedeli ad Assad hanno riconquistato anche Saraqib, posta a pochi chilometri da Idlib.

Durante queste operazioni, non sono mancati gravi momenti di tensione soprattutto con l’esercito turco. Ankara, preoccupata dalle avanzate siriane, ha posizionato nella provincia di Idlib nuovi check point ed ha continuato a supportare le milizie a sé fedeli. Lo spostamento repentino di truppe turche, ha provocato in almeno due occasioni scontri diretti a colpi di artiglieria tra l’esercito di Damasco e quello di Ankara. Almeno 12 soldati turchi sono risultati uccisi all’inizio di febbraio. Il presidente turco Erdogan ha minacciato interventi contro la Siria in caso di nuove avanzate, tuttavia le truppe di Damasco sono riuscite a riprendere per intero l’autostrada M5 e ad avanzare, contestualmente, anche nella provincia di Aleppo.