L’autore presenterà il volume all’Hard Rock Cafè di Roma, giovedì 26 ottobre, insieme a Luca Valtorta con un ospite d’eccezione: Glen Matlock dei Sex Pistols. Ecco un estratto dal libro in anteprima

Esattamente nell’anniversario dell’uscita nel 1977 di Never Mind The Bollocks, Here’s The Sex Pistols, capolavoro indiscusso del punk, esce La storia del punk (Hoepli), il nuovo libro di Stefano Gilardino. L’autore presenterà il volume all’Hard Rock Cafè di Roma giovedì 26 ottobre, alle ore 18, insieme al direttore di Repubblica XL Luca Valtorta e con un ospite d’eccezione: Glen Matlock, bassista e fondatore dei Sex Pistols. Gilardino sarà, il giorno dopo, 27 ottobre, alla Libreria Hoepli di Milano sempre con Matlock.

Il libro, con capitoli specifici arricchiti da box con curiosità, citazioni, analisi dei brani, luoghi cult, discografie e un’ampia sezione conclusiva dedicata alla scena italiana, consente di immergersi dall’inizio come in un grande romanzo degustarlo a singole sezioni. Ognuna delle sezioni del volume inoltre presenta una discografia con più di 200 titoli suggeriti per ripercorrere in prima persona la storia del punk. Impreziosiscono inoltre il volume estratti da interviste, condotte personalmente dall’autore nel corso di oltre venticinque anni di carriera.

No future cantava Johnny Rotten mentre i Clash rispondevano a tono con No a Elvis, no ai Beatles e ai Rolling Stones. Il 1976 è stato l’anno zero della storia del rock, quello in cui la musica è ripartita da capo, con nuove energie e influenze inedite. Il punk rock, al contrario del suo slogan più celebre – nessun futuro – ha dimostrato invece di averne uno molto brillante e non solo in campo musicale. Dai grandi protagonisti degli anni Sessanta e padrini del punk come Lou ReedMC5 e Iggy PopLa storia del Punk di Stefano Gilardino ripercorre cronologicamente la nascita, l’ascesa e le continue evoluzioni di un genere che ha rivoluzionato in maniera permanente la storia del rock.

Memore delle proprie radici, quelle di Stooges, Velvet Underground, New York Dolls e MC5, il punk ha cambiato il corso della storia con i Sex Pistols e i Clash nel Regno Unito e con i Ramones negli Stati Uniti, prima di evolversi in decine di sottogeneri altrettanto rivoluzionari come hardcore, post-punk, emo, metalcore. Questo libro vuole raccontare una saga avvincente e rivoluzionaria lunga ben cinquant’anni. Vi regaliamo, in esclusiva, un estratto dal libro.

La rivoluzione della devo-luzione dei Devo

Fuori dalle mappe classiche della mitologia musicale, i Devo rappresentano una delle reinvenzioni più radicali della musica rock, operata assemblando elettronica povera, punk, cinema, video e tanto genio. Are we not men? We are Devo!

Akron è la quinta città più grande dell’Ohio, capitale mondiale della gomma per via di alcune delle più celebri fabbriche di pneumatici (Goodyear, Firestone e Bridgestone), con tasso di inquinamento altissimo. Questo è il teatro delle operazioni di una band fondamentale come i Devo, che da quell’infelice posizione geografica ha tratto ispirazione, risorse e forza. “Già all’inizio degli anni Settanta, Akron era una città fantasma, prossima alla morte. Le fabbriche di pneumatici”, ricorda il bassista e cantante Gerard Casale, “stavano chiudendo gli stabilimenti, era una situazione triste, soprattutto a causa della depressione economica che si era venuta a creare. La popolazione era, per la maggior parte, composta da blue collar worker, operai che improvvisamente si ritrovavano senza lavoro. Noi Devo eravamo odiati da tutti e nel migliore dei casi ci ridevano dietro o provavano pena per noi”. I primi passi del gruppo risalgono addirittura al 1974, quando una prima line-up di musicisti e artisti non allineati si trova per qualche prova: ci sono i tre fratelli Mothersbaugh – Mark e Bob, che proseguiranno, e Jim che abbandonerà prima del successo – e i due fratelli Casale, Gerard e Bob, aiutati dall’amico Bob Lewis. I sei sono attratti e ossessionati dal concetto di de-evoluzione, una teoria che vuole la razza umana avviata verso una progressiva e totale regressione a uno stato primitivo, confermata dalla mentalità reazionaria di una paese come gli Stati Uniti (e, a posteriori, applicabile a gran parte del mondo occidentale verrebbe da dire…). I futuri Devo frequentano la celebre Kent University, sede di una delle più dure azioni di repressione poliziesca degli States: durante una manifestazione di protesta, nel marzo del 1970, le forze dell’ordine, senza motivi apparenti, sparano alcuni colpi di avvertimento, finendo però per uccidere quattro persone e ferirne gravemente altre nove. Proprio questo tragico episodio è spesso citato dal gruppo come uno dei momenti chiave che portano al completo sviluppo della teoria de-evolutiva e alla conseguente nascita della band. I primi passi, solo in seguito pubblicati sulle raccolte Hardcore Devo, sono se possibile ancora più radicali e avanguardistici di ciò che avverrà in seguito. In quei frammenti grezzi, ci sono già tutte le caratteristiche del suono del quintetto: un uso personale dell’elettronica, ottenuto con percussioni e sintetizzatori autocostruiti, le liriche beffarde e ironiche, un andamento robotico evidenziato dalle movenze spastiche dei cinque, l’attrazione per tutto ciò che sta ai margini (ma, al tempo stesso, anche per la cultura pop più mainstream), la voglia di prendersi gioco della serietà della musica rock e dei suoi atteggiamenti macho. Le prime foto dei Devo, prima ancora che entrassero in gioco le tute gialle che diventeranno un vero e proprio marchio di fabbrica (nel vero senso della parola, vista la provenienza), li ritraggono mentre a torso nudo espongono una magrezza quasi inquietante, ribaltando i banali stereotipi della rockstar anni Settanta. La gavetta sotterranea, durante la quale la formazione si stabilizza con due Mothersbaugh, due Casale e l’ingresso del batterista Alan Myers, regala decine di brani inediti, alcuni videoclip (Secret Agent Man e Jocko Homo) e le prime esibizioni dal vivo: non esattamente un successo annunciato. È ancora Jerry a raccontare: “In città tutti vestivano con jeans a zampa d’elefante, magliette psichedeliche, portavano i capelli lunghi, fumavano erba e guidavano i furgoncini Ford. Be’, poi c’eravamo noi che apparivamo ai concerti con le tute gialle e lì scoppiavano i casini, forse ricordavamo loro le fabbriche che tanto odiavano. Akron, da questo punto di vista, è stata una palestra fantastica: non saremmo così se fossimo nati a New York o a Los Angeles, non avremmo avuto il tempo di preparare e sgrezzare il nostro materiale sonoro. Quando siamo apparsi sulla scena nazionale per la prima volta, è stato uno shock per tutti, nessuno credeva che fossimo veri! La nostra forza era l’ironia, noi prendevamo in giro chiunque, ci facevamo beffe dell’arte istituzionale, così come delle religioni organizzate. Tutto era fonte di ispirazione, non rifiutavamo nulla a priori”. Incredibile a dirsi, ma saranno quei primi geniali e rozzi video ad attirare l’attenzione degli addetti ai lavori: assemblati in una sorta di breve film, con il titolo di The Truth About De-evolution, vincono un premio all’Ann Arbor Film Festival nel 1976, guadagnandosi persino il plauso di celebrità come David Bowie e Neil Young (che li chiamerà a partecipare alla sua pellicola Human Highway).


Neil Young e Devo, Hey Hey, My My dal film Human Highway, 1982

I primi a dare una possibilità ai Devo sono i proprietari della Stiff Records, label inglese indipendente che ha appena esordito coi singoli di Damned e Nick Lowe. Nel marzo del ’77, in piena esplosione punk, esce un singolo con Mongoloid e Jocko Homo, seguito subito dopo dall’EP Be Stiff, ma entrambi passano quasi inosservati negli Stati Uniti. Dal vivo, però, il quintetto comincia a riscuotere consensi e a crearsi un seguito fanatico, anche grazie a una presenza scenica mai vista prima: le famose tute gialle, alternate ad altri fantastici travestimenti (caschi, ginocchiere e gomitiere da skater, vestiti da cowboy, semplici pantaloncini neri da atletica, tutti griffati Devo, tanto per fermarci al primo periodo). Il vero colpo di fortuna arriva poco dopo, quando Bob 1 (Mothersbaugh, Bob 2 sarà Casale) riesce a farsi largo nel backstage di un concerto dell’Iguana in persona. “Bob era andato a un concerto di Iggy Pop a Cleveland, il tour di The idiot, quello con David Bowie alle tastiere. Alla fine del concerto avvicinò proprio Bowie per dargli uno dei nostri demo, ma lui lo buttò senza nemmeno ascoltarlo. Per fortuna Iggy recuperò il nastro e ne rimase affascinato, costringendo David a sentirlo. Nove mesi più tardi, mentre eravamo in California per un breve tour, lo stesso Iggy si presentò a un nostro show dichiarando che i Devo erano la sua band preferita del momento e che Bowie voleva produrci un disco. Poi, una serie di impegni ritardò la nostra collaborazione e così finimmo, su suo suggerimento, per contattare Brian Eno, il quale pagò di tasca sua le registrazioni del nostro debutto, prima ancora che avessimo un contratto discografico. Non volevamo aspettare altro tempo, avevamo il materiale pronto e perfetto per essere inciso, tutte le altre band contemporanee a noi avevano giù un disco fuori. Per fortuna andò così e il risultato, molto immodestamente, credo abbia passato indenne il test del tempo”.

Il risultato, come lo chiama Casale, è Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!, ovvero uno dei capolavori di quella stagione, uscito nel 1978 per Virgin (e Warner Brothers in America), prodotto appunto da Brian Eno e sorta di summa dei primi anni di vita del gruppo. Al suo interno classici come Mongoloid, Uncontrollable Urge, Shrivel Up, Praying Hands, Gut Feeling e la straniante e celeberrima cover di (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones, passata al trattamento Devo e ridotta a una marcia robotica. Seppur con risultati di vendita non eccelsi, il nome comincia a circolare in tutto il mondo, donando ai cinque quantomeno la fama di band di culto, forse una magra soddisfazione, ma necessaria per continuare a suonare in giro con assiduità.


(I Can’t Get No) Satisfaction

I pezzi denotano una fondamentale mutazione, con l’assimilazione del nascente punk rock e una maggiore velocità di esecuzione che li rende perfetti per la nuova scena mondiale. Nonostante un’apparente differenza di fondo, il movimento punk è perfetto per accogliere una proposta estrema e radicale come la loro e premia anche il secondo lavoro con grande entusiasmo. Duty Now For The Future pesca ancora dall’eccellente repertorio passato (una nuova versione di Secret Agent Man e Pink Pussycat, per esempio), ma mette in evidenza una maggior passione per l’elettronica e una tendenza spiccata alla sperimentazione. I classici di Duty Now For The Future, che esce nel momento in cui la musica punk si sta trasformando in post-punk o new wave, si chiamano Blockhead, The Day My Baby Gave Me A Surprise, Smart Patrol/Mr. D.N.A. e Wiggly World, introdotti da una splendida sigla che accompagnerà i live del gruppo per decenni, Devo Corporate Anthem. La stampa specializzata sembra poco impressionata dall’album e ne decreta il piccolo fallimento commerciale, mostrando scarsa lungimiranza. “Capisco il loro punto di vista, ma stiamo maturando poco alla volta, con quel disco siamo arrivati alla fine di un percorso iniziato molti anni prima. Ci sarà un cambiamento radicale nel nostro sound e, a cominciare dal prossimo album, i Devo vi faranno ballare”. Le parole di Jerry Casale si riveleranno davvero profetiche, visto che gli anni Ottanta si apriranno con il disco di maggior successo del gruppo, che passerà dalla nicchia di fan adoranti alla vetta delle classifiche (spesso al grido di “venduti”). Freedom Of Choice del 1980 spezza quasi tutti i legami col passato, riduce la presenza di chitarra in maniera sensibile in favore di synth e drum machines, ma soprattutto rivela un talento pop quasi insospettabile: il primo singolo Whip It schizza in cima alle classifiche americane, trascinando anche l’album, e permette ai Devo di entrare nelle case di milioni di ascoltatori ignari del passato dei cinque. Saranno la title track, Snowball e la classica Girl U Want a lanciare definitivamente il loro nome presso il grande pubblico, recidendo di fatto qualunque legame con scena e musica punk.

Anche l’abbandono delle tute gialle, soppiantate da giacche di pelle nera e dal famoso cappello “Energy Dome” (il vaso di fiori, tanto per capirsi…), denota una strada differente e più stilosa. Nonostante ciò, il prosieguo della carriera, pur sbilanciato verso la leggerezza del pop e dell’elettronica di largo consumo, resterà personale, interessante e ricco di grandi dischi che, purtroppo per la band, non riusciranno a replicare il successo di Freedom Of Choice. New Traditionalists e Oh, No! It’s Devo, pur di qualità inferiore, sono ancora caratterizzati da una brillantezza di scrittura con pochi paragoni e regalano brani degni di stare al fianco dei capolavori passati, su tutti Beautiful World, Through Being Cool, Patterns e Big Mess, mentre Peek-a-Boo! li rilancia brevemente nelle classifiche.


Freedom of Choice

La successiva tripletta di album, di cui due con Dave Kendrick al posto del dimissionario Myers, non aggiunge nulla alla storia e trascina stancamente i Devo verso l’inevitabile scioglimento, che avviene nel 1991, come ricorda Mark Mothersbaugh: “Eravamo in tour in Europa e ci siamo messi a guardare Spinal Tap sul tour bus. Dopo un po’ ho pensato: ‘Cazzo, quelli siamo noi, non possiamo andare avanti così’. Ci sciogliemmo poco dopo, di comune accordo”. Non passerà molto tempo prima che un’intera e nuova generazione di musicisti cominci a citare sempre più frequentemente il loro nome come fonte di ispirazione (dai Nine Inch Nails ai Soundgarden) e i fratelli Casale e Mothersbaugh, stavolta accompagnati dal batterista Josh Freese – per lui Vandals, A Perfect Circle e decine di altre collaborazioni –, decidano di rimettere in piedi i Devo per alcune sporadiche esibizioni. Mark e Jerry affiancano i concerti alla loro impegnativa professione di compositori (con il nome Mutato Muzik) di colonne sonore per film, spot pubblicitari e cartoni animati, ma la richiesta sempre maggiore li costringe a rimettere in piedi i Devo in pianta stabile.


Girl U Want

Attivi (ma con molta calma) per tutti i Duemila, i cinque fanno anche in tempo a registrare un buon disco, Something For Everybody, prima che il destino si porti via Bob Casale nel 2014 (Alan Myers era già scomparso l’anno prima). “Io (Jerry) e Mark abbiamo sempre lavorato in coppia su ogni aspetto grafico e d’immagine dei Devo. Quando abbiamo trovato quelle tute in una fabbrica abbiamo capito che la loro valenza visiva era proprio ciò che stavamo cercando, ci davano un aspetto immediatamente riconoscibile e, al tempo stesso, ci facevano apparire come degli alieni piovuti dal futuro. Avevamo un’educazione universitaria, eravamo studenti di cinema o d’arte e quindi con un certo background culturale, appassionati di dadaismo e pop art, ma adoravamo mischiare l’alto con il basso, incorporare elementi che appartenevano alla cultura di serie B americana: la fantascienza anni Cinquanta, i film da drive-in, l’horror, la letteratura pulp e, di rimando, il rock’n’roll più trasgressivo. Da queste influenze abbiamo tratto il sound dei Devo, lavorandoci sopra per anni in totale isolamento e solitudine, senza che nessuno fosse minimamente interessato a noi. Se non per picchiarci…”.

Stefano Gilardino, scrittore e giornalista musicale, ha iniziato la carriera in proprio, creando la fanzine punk hardcore Senza Nome, all’inizio degli anni Ottanta. È stato redattore di importanti riviste italiane come Rocksound, Speciale Punk, Onstage Magazine, Dinamo e Vida, e collaboratore di Repubblica XL, Rolling Stone, Bam! Magazine. Ha scritto il libro 100 dischi ideali per capire il punk (Editori Riuniti, 2006) e collaborato alla stesura delle schede di 1000 concerti che ci hanno cambiato la vita di Ezio Guaitamacchi (Rizzoli, 2010). Nel 2015 ha fondato l’etichetta Intervallo, dedita alle ristampe di sonorizzazioni sperimentali italiane degli anni Settanta. Vive a Milano.