convivenza more uxorio

Quando due persone hanno un rapporto affettivo che le lega in comunione di vita e hanno una situazione simile per molti aspetti al matrimonio, senza di fatto essere sposati, si parla di convivenza more uxorio.

Cosa si intende per convivenza more uxorio

Un tipo di rapporto che usa il latino (“alla maniera del matrimonio”) per indicare ciò che nel 1993 venne riconosciuto anche dalla Cassazione con la sentenza n. 6381 ossia che tale tipo di convivenza di fatto, pur non essendo regolata dall’istituto dal matrimonio, non contrasta con il buon costume, l’ordine pubblico e le norme imperative. Vale a dire: non dà adito a scandali ed è comunemente accettata.

La sentenza allora fu ovviamente importante per tutti coloro che non avevano intenzione, e non ce l’hanno tuttora, di unirsi in matrimonio, ma ha avuto ancora più importanza, decretando un vero e proprio “prima e dopo”, la legge n. 76/2016, detta Cirinnà (dal nome della senatrice Monica Cirinnà).

La legge è stata un vero e proprio spartiacque perché ha restituito pari dignità alle unioni che non contraggono matrimonio e ha contemplato, a favore dei conviventi, tutta una serie di diritti nonché di doveri.

Quali sono questi diritti? E cosa bisogna fare per poterli esercitare? È necessario dichiarare di essere in una convivenza more uxorio per avere determinati diritti? E cosa succede quando si hanno dei figli e la convivenza per vari motivi non ha più ragione di esistere?

Rispondiamo a queste e altre domande in questo articolo, cercando di toccare tutti gli aspetti più importanti della convivenza more uxorio.

Chi sono i conviventi di fatto

Con la Legge Cirinnà, intanto è stato chiarito chi può essere definito convivente di fatto:

  • due persone maggiorenni, e questo indipendentemente dal sesso
  • due persone unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale
  • due persone che non sono in nessun modo parenti, né affini e non sono né uniti in matrimonio né in un’unione civile.

Cosa significa tutto questo? Che chi ha queste caratteristiche, quindi è in una convivenza di fatto stabile, gode dell’applicazione automatica delle disposizioni previste dalla nuova legge.

Di contro, la legge Cirinnà non può essere applicata a coppie che sono stabili sì, ma di fatto non convivono o anche se hanno dei figli insieme, ma non vivono sotto lo stesso tetto. La coabitazione è pertanto una “conditio sine qua non“.

Anche se ci sono delle eccezioni, come per esempio il caso in cui uno dei due membri della coppia sia solo separato e non abbia ancora divorziato: per questo tipo di convivenza, pur se si abita sotto lo stesso tetto, la legge Cirinnà non è applicabile.

Convivenza more uxorio: i diritti dei conviventi

Detto questo, ecco quali sono i diritti riconosciuti ai conviventi di fatto con la Legge Cirinnà.

Diritti in caso di malattia e di ricovero

Questa parte è sicuramente “rivoluzionaria” in quanto, prima della legge Cirinnà, il convivente non aveva praticamente nessun diritto e a decidere della salute del proprio compagno/a potevano essere solo i genitori o i parenti più stretti.
Con la legge 76/2016 si stabilisce:

  • il diritto reciproco di visita nonché di assistenza;
  • il diritto di accesso alle informazioni personali ossia chiarimenti su diagnosi, prognosi, eventuale intervento medico, ovviamente nel rispetto delle regole organizzative delle strutture sanitarie. E questo, in particolare, quando il compagno/a malato si trova in stato di incoscienza e non possa esprimere la sua volontà;
  • il diritto ad avere copia della cartella clinica;
  • il fatto di potere essere designato come rappresentante con pieni poteri o limitati riguardo alla manifestazione del consenso per:
    – eventuale trattamento medico chirurgico e prendere decisioni in materia di salute qualora il convivente sia incapacità di intendere e di volere dal punto di vista legale (perché interdetto abilitato) o dal punto di vista naturale (di fatto, in caso di incoscienza)
    – la donazione di organi e le modalità di trattamento del corpo e delle celebrazioni funerarie.

Diritti in caso di interdizione e amministrazione di sostegno

Il convivente di fatto può essere inserito tra i soggetti indicati nella domanda di interdizione o inabilitazione e, qualora uno dei conviventi sia per l’appunto dichiarato interdetto o inabilitato o beneficiario di amministrazione di sostegno, il convivente può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno.

Diritto di partecipare agli utili dell’impresa familiare

Con la legge Cirinnà viene stabilito che, se uno dei due conviventi lavora nell’impresa dell’altro e lo fa stabilmente, ha diritto a una partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati, nonché agli incrementi dell’azienda.
Una novità perché, in passato, l’impresa “familiare” si intendeva solo per chi partecipava all’attività come coniuge, per i parenti di terzo grado e gli affini entro il secondo grado. La convivenza more uxorio non era affatto considerata.

Inoltre con la legge Cirinnà viene stabilito l’inserimento in qualità di famiglia nelle graduatorie di assegnazione di case popolari.

Convivenza more uxorio e casa coniugale

Ancora sul fronte dei diritti, la legge si esprime anche sulla casa coniugale, ossia la casa di comune abitazione.
Se la casa appartiene a uno dei 2 conviventi, sebbene sia considerata casa comune, l’altro non ha nessun diritto in quanto ritenuto “ospite”.

Una sentenza della Cassazione, la n. 1791/2015, ha però ribaltato questo concetto, affermando che la convivenza more uxorio è come se fosse un consorzio familiare pertanto il convivente non è un ospite ma un membro della famiglia. Ciò significa che, in caso di separazione, il convivente non può essere cacciato da un giorno all’altro e in caso così fosse, può avanzare la “tutela possessoria” ed “esperire l’azione di spoglio”, come ribadito dalla sentenza della Cassazione. n. 19423/2014.

La casa coniugale in caso di morte di uno dei 2 conviventi

Cosa succede in caso di morte di uno dei due conviventi?
Ecco cosa prevede la legge:

  • subentro nel contratto di locazione in caso di morte dell’intestatario (art. 1 comma 4) con ulteriore distinzione:
    – se l’immobile è di proprietà di uno dei 2, la legge prevede una riserva di abitazione del convivente superstite, stabilendo che questo possa continuare a stare nella casa d’abitazione per 2 anni o un periodo pari alla durata della convivenza (se supera i 2, e comunque non oltre i 5).
    – Se invece ci sono figli minori o disabili del convivente, questi può abitare per non meno di 3 anni, a meno che non cessi di abitare stabilmente in quella casa o si sposi o opti per un’unione civile o altra convivenza di fatto.

Diversa la situazione in caso di figli della coppia: la casa viene assegnata al convivente superstite e resterà tale solo quando i figli, anche maggiorenni, saranno indipendenti economicamente.

La successione nella convivenza more uxorio

Oltre a quanto detto sopra e oltre il caso di una morte derivante da fatto illecito, c’è da dire che nessun altro diritto spetta ai conviventi more uxorio, a meno che non ci sia un testamento. In più, non ci sono neanche agevolazioni dal punto di vista fiscale per disciplinare gli aspetti successori.

Possiamo dire che, rispetto al matrimonio, da questo punto di vista, la giurisprudenza riconosce molto molto meno.

Convivenza more uxorio: cos’è l’autodichiarazione e perché farla

Quanto detto finora, acquisisce maggiore importanza se si considera un altro aspetto della legge Cirinnà ossia la possibilità di registrare la propria convivenza. Non è un atto obbligatorio, ma l’autodichiarazione comprova quando una convivenza è iniziata, la sua durata e la formalizza. Diversamente, se la vostra è una coppia di fatto non registrata, viene considerata una coppia di fatto non formalizzata.

Il Comune di Milano, per esempio, così come altri comuni, ha un registro delle convivenze more uxorio e ci si può iscrivere tramite un’autodichiarazione, il cui modulo potrete trovare sul sito insieme a tutte le altre indicazioni.

E se la convivenza è iniziata prima, ma la registrazione viene fatta dopo? Nessun problema, si può comunque provare che è iniziata in data diversa rispetto alle dichiarazioni all’anagrafe.

La registrazione all’anagrafe è obbligatoria?

No, non lo è, ma è anche vero che è necessaria per avere l’immediato riconoscimento dei diritti previsti dalla Legge Cirinnà. Diversamente, si può provare (tramite la registrazione nello stesso stato di famiglia, per fare un esempio) di essere in una convivenza stabile.

C’è, in caso di prove concrete, l’orientamento da parte della giurisprudenza a riconoscere comunque i diritti, ma non si tratta di un riconoscimento immediato come invece avviene con la registrazione all’anagrafe.

La legge Cirinnà, parla anche di convivenza “stabile”, ma non si esprime in merito al tempo necessario perché venga definita come tale. Anche la registrazione non aiuta: attesta solo l’inizio e nient’altro.

Da sapere: al registro devono iscriversi anche coloro che in precedenza si erano iscritti al registro delle Unioni Civili.

A questo c’è da aggiungere che, in particolare, per quanto riguarda la tutela del patrimonio non basta l’iscrizione all’anagrafe, ma un contratto di convivenza.

Contratti di convivenza: cosa sono e perché farli

Di cosa si tratta? Sono degli accordi con cui la coppia definisce le regole della propria convivenza, in particolare sui rapporti patrimoniali e alcuni aspetti dei rapporti personali, come per esempio la designazione dell’amministratore di sostegno.

Questi contratti, sempre previsti dalla Legge Cirinnà, non sono ovviamente obbligatori, vanno comunque redatti alla presenza di un avvocato o di un notaio e possono diventare determinanti per regolare le questioni patrimoniali quando una coppia si separa.

All’interno si possono prevedere clausole che riguardano il mantenimento, l’istruzione ed educazione dei figli. Clausole che vanno sempre considerate alla luce del fatto che entrambi i genitori hanno l’obbligo di mantenere i figli e di comportarsi sempre nel loro interesse.

Convivenza more uxorio: cosa succede con la separazione

E cosa succede quando una coppia si separa? La situazione cambia ovviamente in base al fatto di avere o meno un figlio in comune, ma vediamo tutto nel dettaglio.

Il mantenimento del convivente

Per la convivenza more uxorio non è previsto nessun assegno di mantenimento a meno che uno dei due conviventi non versi in condizioni economiche di necessità. In una situazione simile, l’ex compagno/a è tenuto a passare alimenti che sono in misura e durata equivalente al tempo di convivenza.

C’è da dire poi che una sentenza della Cassazione, la n. 1266/2016, ha previsto che possa essere stabilito un compenso economico a favore di un ex convivente qualora questo sia andato oltre quelli che sono i normali doveri materiali e materiali, come per esempio il lavoro domestico. Attenzione: si tratta di un compenso, non di un risarcimento.

L’affidamento e il mantenimento dei figli

Questo è sicuramente un punto particolarmente delicato ed è certa una cosa: non esistono differenze per i figli nati da una convivenza more uxorio e quelli nati da un matrimonio. Dunque, se manca l’accordo tra i conviventi, interviene il Tribunale dei Minori che stabilisce l’assegno di mantenimento, l’affidamento e qual è la casa familiare.

Il Tribunale di Catania, con una sentenza del 20 maggio 2016, ha tenuto a precisare che dopo una separazione da convivenza more uxorio è necessario che il figlio minore recuperi un “rapporto significativo” con il genitore da cui viene separato.

Fin qui tutto chiaro, ma qual è l’importo dell‘assegno di mantenimento? La legge non “si pronuncia”, ossia non ci sono dei criteri ben precisi a cui fare riferimento.

Bisogna comunque considerare alcuni fattori come:

  • le esigenze attuali del figlio/i,
  • il tenore di vita di cui godeva durante la convivenza che dovrebbe restare il più vicino possibile al precedente,
  • i tempi di permanenza presso ciascun genitore,
  • le risorse economiche di entrambi o se è uno solo a produrre reddito,
  • la valenza economica dei compiti domestici a cui la Legge, come si capisce, dà un valore economico (e gli eventuali costi in mancanza di questa attività come colf, baby sitter, governante ecc..).

Il Tribunale di Monza in un ricorso dell’11 marzo 2015 ha stabilito, per determinare l’assegno di mantenimento da parte del genitore che non convive più con il figlio, che bisogna far riferimento al reddito netto. A cui però vanno sottratti gli oneri abitativi (mutuo o affitto), le utenze e altre spese come i tributi, i trasporti e il mantenimento del genitore stesso.

Quanto all’affidamento, in caso di mancati accordi, il Tribunale tende ad affidare i figli al genitore ritenuto più idoneo a vivere con loro. Per quanto riguarda l’assegnazione della casa familiare (ciò il diritto di continuare ad abitarvi) a uno solo dei genitori, l’assegnazione può riguardare l’abitazione dove i figli hanno vissuto prima della separazione. Questo per garantire stabilità ai figli, già provati da una separazione.

La restituzione di somme nella convivenza more uxorio

E cosa succede, sempre in caso di separazione, quando uno dei due ex conviventi ha speso ingenti somme per esempio per la casa?

Per la Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n.18632 del 22 settembre 2017, il convivente può richiedere le somme che ha pagato per la casa intestata all’ex compagno. Questo, però, se l’esborso è ingente e non è riconducibile a obbligazioni naturali che riguardano la famiglia di fatto, ossia contributi normali per la vita in comune.

E se invece il convivente ha contribuito alle spese di ristrutturazione della casa dell’ex compagno? Non potendosi considerare come contributo alla vita comune (i vantaggi restano a chi continuerà a vivere in quella casa), queste somme dovranno essere restituite. Come ribadito per altro dal Tribunale di Treviso il 3 febbraio 2015.

Dubbi o domande?

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