ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
Tutte le mie più fosche aspettative si sono avverate e la formula “un bel film di Allen si alterna ad un film particolarmente mediocre di Allen” è stata, purtroppo, rispettata.
Si tratta di un pastrocchio in quattro episodi di cui non ho colto il fil rouge (sempre che, oltre all’ambientazione, ve ne fosse davvero un altro, sia beninteso), in cui si tenta di imporre il senso del surreale, ma senza alcun risultato positivo.
Uno degli elementi più disturbanti è costituito dalla sovrabbondanza di quei clichées che temevo al varco: da questa pellicola, infatti, emerge un’Italietta da cartolina così inconsistente e brutta (non certo dal punto di vista del paesaggio) da far venire il voltastomaco.
Vespe, preti in processione, cantanti sotto la doccia, banda musicale, “mangiare risolve ogni problema e allevia la tensione”, Arrivederci Roma onnipresente, uomo con panza e canottiera, sole ma tanto tanto sole, donne dai trent’anni in sù vestite come la Ciociara (il confronto tra la mamma a stelle e strisce e quella romana è paurosamente ignorante), la Mastronardi infilata a forza negli abiti (e, soprattutto, in scarpe molto simili a quelli) di Audrey in Vacanze Romane: insomma, la sagra dell’ovvietà.
A proposito di vestiti (allo stremo della sopportazione, non ho voluto tralasciare alcun tipo di critica), mi sono domandata come mai Alessandro Tiberi vesta puntualmente come un debosciato: solo perché è un ragazzo di provincia? Mistero.
Pur amando la voce di Pannofino, poi, l’introduzione degli episodi in stile Vanzina – Sapore di mare mi ha spiazzata.
Nei recenti lavori di Allen, le città di Londra, Parigi e Barcellona, pur identificabili e pur avendo l’appeal da immagini scattate per una guida turistica, non sono state tanto mortificate dagli stereotipi: evidentemente, noi italiani siamo cascati male.
Narrativamente parlando, poi, il senso del surreale è sfruttato malissimo, non si sorride, non ci si diverte: non si comprende mai dove la storia intenda andare a parare davvero. Non che gli episodi in sé non contengano i germi di un vero racconto, ma questi non si evolvono, roteano pigramente intorno ad un baricentro solo abbozzato.
Vogliamo parlare, per esempio, dell’episodio di Benigni, della mancanza di dialoghi degni di tale nome, dell’inconsistenza della presunta morale?
Su tutti, ho trovato curiosa solo la vicenda riguardante i giovani americani ed il mentore Baldwin.
Anche in questo caso, però, chi immagina chi? Dove e come è possibile riprendere le fila di una parentesi (forse) onirica?
(nota personale: un architetto che usa il tecnigrafo, oggi, è più introvabile di un Dodo, parlo per esperienza diretta)
E, poi, la cascata di volti italiani buttata nel calderone alla rinfusa: ad un certo punto, spunta perfino Giuliano Gemma. Ma solo di tre quarti.
Insomma, secondo me, si tratta di un tonfo completo, inconcludente, un vero spreco di tempo (mio) e di talento (di Allen).
Nota: Gullotta sostituisce il grande Lionello al doppiaggio e, siccome è un vero professionista, se la cava molto molto bene.
Leggi tutto