Lincoln, Abraham in "Enciclopedia dei ragazzi" - Treccani - Treccani

Lincoln, Abraham

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Lincoln, Abraham

Massimo L. Salvadori

Il presidente che liberò gli schiavi e salvò l’Unione americana

Lincoln dovette affrontare da presidente la più grave crisi attraversata dagli Stati Uniti: la guerra civile scoppiata tra gli Stati del Sud e quelli del Nord (1861-65), che pose fine alla schiavitù dei neri. Odiato dai sudisti perché intendeva distruggere il loro mondo, fu considerato un nobile liberatore dagli antischiavisti e dai democratici americani ed europei

L’ascesa al potere di un autodidatta

Abraham Lincoln nacque nel 1809 a Hodgenville, nel Kentucky, ma nel 1816 si trasferì con la famiglia nell’Indiana. Il giovane Abraham iniziò la sua strada come autodidatta, essendo i suoi genitori illetterati, intraprese gli studi di legge e divenne avvocato. Insediatosi nell’Illinois, fu membro del Parlamento di quello Stato tra il 1834 e il 1841e deputato, dal 1847 al 1849, alla Camera dei rappresentanti.

Avendo aderito nel 1856 al Partito repubblicano, emerse sulla scena pubblica nazionale per la sua opposizione alla richiesta degli Stati del Sud di poter estendere la schiavitù nei territori dell’Ovest, che egli voleva riservati ai colonizzatori bianchi. La sua posizione era ispirata alla moderazione: temendo la rottura dell’Unione, pur essendo per principio contrario alla schiavitù, pensava che la via più saggia fosse non già la sua abolizione, ma il suo contenimento.

L’elezione di Lincoln a presidente nel 1860 venne considerata, ciò nonostante, intollerabile dai Sudisti, divisi dai nordisti non solo dalla questione della schiavitù ma anche dalla politica economica, che essi volevano orientata in senso liberistico (liberismo) così da favorire l’esportazione dei prodotti delle loro piantagioni, mentre il Nord richiedeva una politica protezionistica a difesa dell’industria nazionale.

La guerra civile

Tra il dicembre 1860 e il febbraio 1861 gli Stati del Sud misero in atto la secessione dall’Unione, iniziata dalla Carolina del Sud, costituendo una propria Confederazione. Nell’aprile 1861 i sudisti diedero inizio alla guerra civile (guerra di Secessione) attaccando Fort Sumter. L’obiettivo del presidente divenne sin dagli inizi quello di assicurare a ogni costo la sopravvivenza dell’Unione, stroncando la secessione. Il conflitto fu lungo e terribile e provocò enormi perdite umane e devastazioni. Nonostante la grande superiorità del Nord in uomini e mezzi, il Sud resistette vigorosamente.

I primi anni della guerra furono per il presidente un periodo di grandi incertezze, causate in primo luogo dalla difficoltà di trovare generali all’altezza della situazione. Per indebolire gli avversari, nel gennaio 1863 Lincoln proclamò l’abolizione della schiavitù nei soli Stati scissionisti. Nel 1863 la guerra prese un andamento via via più favorevole al Nord, specialmente grazie all’iniziativa dei generali Ulysses S. Grant e William T. Sherman che, tagliata in due la Confederazione, misero a ferro e fuoco il Sud, il quale, estenuato, si arrese nell’aprile 1865.

L’abolizione della schiavitù

Lincoln venne rieletto presidente nel 1864 e pose al centro del suo programma quel Tredicesimo emendamento alla Costituzione che, approvato nel 1865, avrebbe stabilito l’abolizione della schiavitù in tutta l’Unione americana.

La vittoria fu il frutto sia della mobilitazione su vasta scala delle risorse del Nord sia dell’azione di governo di Lincoln, il quale non esitò a mettere in atto misure di emergenza per mantenere la compattezza dell’Unione, arrivando anche a limitare le libertà civili. Il presidente manifestò apertamente le sue idee democratiche e la sua apertura in particolare alle esigenze dei lavoratori. Verso il Sud sconfitto Lincoln era intenzionato a seguire una politica di riconciliazione nazionale e non di vendetta, ma il 14 aprile 1865 fu assassinato in un teatro di Washington da un attore sudista.

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