Avevamo già visto come, nel 1494, il re di Francia Carlo VIII era disceso alla volta del regno di Napoli, dando avvio a quella fase della storia italiana, ed europea, nota come Guerre d’Italia. Il risultato di questa operazione fu l’abdicazione del Re di Napoli Alfonso II (della casata Trastàmara) in favore del figlio Ferdinando II, detto Ferrandino. Dopo il successo iniziale, Carlo dovette ritornare in Francia, lasciando delle guarnigioni a presidio del regno di Napoli, con la conseguente battaglia di Fornovo 1495; il sovrano francese però meditava; meditava una rivincita, ed organizzò una seconda spedizione.

Ferdinando detto Ferrandino, dopo la ripartenza delle truppe francesi (1495), chiese aiuto proprio al cugino Ferdinando II d’Aragona (detto il Cattolico) e a Venezia. Il primo intenzionato ad indebolire la potenza francese, mentre la seconda ottenne, come contropartita dell’alleanza, una serie di porti nell’Adriatico (chiamato dai veneziani “Il Golfo”), rioccupati, anni dopo, dagli Aragonesi stessi.

Le sorti del Regno di Napoli però, erano tutte da riscrivere. Infatti Ferrandino morì senza lasciare eredi (1496). Una parte del baronaggio locale quindi, offrì la corona a Federico I d’Aragona, zio di Ferrandino in quanto figlio di Alfonso II. Federico dovette comunque sfoderare la spada per far valere la sua posizione. Posizione che non fu legittimata da papa Alessandro VI. Il pontefice infatti, aveva l’intenzione di sfruttare la debolezza del Regno di Napoli, per assegnare il Ducato di Taranto ad uno dei suoi figli.

In Francia invece, il nuovo esercito era pronto per attraversare nuovamente le Alpi, situazione facilitata dalla crisi dinastica napoletana, che vide una parte cospicua del baronaggio locale, sposare tendenze filo-francesi.

Il caso però beffò il sovrano francese, come raccontato da Domenico Malpiero negli Annali veneti:

Stando el Re Carlo Re de Franza su una fenestra a veder a giostrar, a’ 6 d’Avril, ghe è vegnù un accidente, per el qual l’è cascà in terra; e levado, l’é cascà la segonda volta; e messo in leto, ai 7, levado per so necessità, è cascado in sincope; e remesso in leto, è passà a mior vita; e Lodovico d’Orliens è fatto Re”

Il povero Carlo batté la testa su un architrave e, dopo poche ore, perì. Il posto venne preso da Ludovico come ci narra la nostra fonte, ovvero Luigi XII, zio di Carlo VIII.

Figlio del poeta Charles d’Orléans e di Maria di Clèves, aveva guidato l’esercito francese nella prima spedizione del nipote, in Italia; puntò su Novara, per conquistare il Ducato di Milano, ma venne fermato da Ludovico il Moro e dall’intervento del re. Perché, Luigi, era ossessionato da Milano? Semplice. Per questioni dinastiche. Infatti era nipote di Valentina Visconti (figlia di Gian Galeazzo Visconti, primo Duca di Milano), quindi si considerava un legittimo erede del ducato stesso e, la questione milanese, venne “risolta” nel 1499 quando inviò un esercito alla conquista del Ducato (6 giugno 1499); ma, di questa storia, ve ne parleremo in un’altra occasione.

Ritorniamo alla questione napoletana, che stava concentrando su di se, una vasta quantità di interessi: Ferdinando il Cattolico dal canto suo, si allarmò quando lo raggiunse l’informativa che Luigi XII strinse una doppia alleanza: con papa Alessandro VI, per conto del figlio Cesare Borgia (poi torneremo anche su questo aspetto) e con la Serenissima. Il Cattolico quindi attivò la macchina diplomatica castigliana e, con un coupe de théâtre diplomatico, attirò nella sua sfera d’influenza proprio Luigi XII. I due sovrani quindi, stabilirono con il trattato di Granada (1500) che:

– la dinastia aragonese di Napoli poteva decadere;

– il Regno di Napoli sarebbe stato diviso in due sfere di influenza. Una spagnola e l’altra francese.

Nel frattempo Federico d’Aragona, dopo essere stato scomunicato da Alessandro VI, con una mossa disperata, chiese aiuto alla Sublime Porta (i turchi-ottomani che, dal 1453, governavano a Costantinopoli), senza ricevere risposta. Quindi l’Aragona si trovò politicamente isolato, anche a causa delle forti prese di distanza del baronaggio locale divenuto filo-francese.

Luigi XII quindi, inviò nel sud della penisola un esercito di circa 15.000 uomini.

Federico d’Aragona non aveva le forze necessarie per contrapporsi ad un così poderoso esercito, capitolò e si rifugiò sull’Isola di Ischia, dalla quale avrebbe voluto continuare a fare valere i propri diritti sul Regno, che fu conquistato dai francesi in poco tempo. Dal canto suo era convinto che l’alleanza franco-spagnola sarebbe durata poco, quindi volle intavolare un dialogo con Luigi XII, ma, le sue considerazioni, si rivelarono sbagliate.

Intanto le truppe spagnole attraversarono lo stretto di Messina, al comando del Gran Capitano Consalvo de Cordova e Federico d’Aragona, messo veramente alle strette, fu costretto a partire alla volta della Francia, con una serie di naves per arrivare a Genova e, di , raggiunse la Francia dove Luigi XII lo attendeva.

I patti di Granada furono rispettati, almeno in questa fase. Il regno di Napoli, senza più un Re, fu diviso in due sfere d’influenza: iniziava la convivenza tra francesi e spagnoli. Le prime avvisaglie del delicato equilibrio emersero per questioni fiscali. Infatti la maggior parte degli introiti fiscali del Regno meridionale provenivano dalle tasse sulla transumanza, riscosse a Foggia; queste vennero incamerate interamente dagli spagnoli.

La tensione salì fino all’Anno Domini 1502, quando iniziarono le ostilità.

Consalvo de Cordova, comandante dei Tercios spagnoli, che aveva già subito, nel 1495, una sconfitta per mano francese nei pressi della località di Seminara (Battaglia di Seminara), organizzò l’esercito alla maniera dei picchieri svizzeri: questo dettaglio trasforla fanteria spagnola da leggera in pesante.

Prima delle sfide decisive le due armate si eguagliavano.

Inoltre anche la loro composizione era varia. Infatti non c’erano solo spagnoli o francesi, ma anche italiani che parteggiavano per l’una o l’altra parte come, ad esempio, Fabrizio e Prospero Colonna assistenti del Gran Capitano, o i lanzichenecchi, inviati da Massimiliano d’Asburgo.

I francesi, in seguito a due importanti rovesci militari subiti a Cerignola e al Garigliano, furono costretti ad abbandonare qualsiasi pretesa sul Regno di Napoli.

Nella prima battaglia i francesi inseguirono gli spagnoli per tutta la giornata; alla fine, De Cordoba, diede l’ordine di rimanere fuori dalle mura cittadine, e di appostarsi sopra delle alture; fece costruire dei terrapieni dietro i quali le truppe spagnole si difesero e, una volta subito l’attacco dei francesi, vista la differenza di posizionamento, gli iberici riuscirono ad avere la meglio, annientando gli attaccanti.

Successivamente Consalvo De Cordova entrava, trionfante, a Napoli.

La guarnigione francese si rifugiava in Castel dell’Ovo in attesa dei 32.000 uomini inviati da Luigi XII in soccorso. Le truppe però rallentarono la marcia principalmente per due ragioni:

– nel primo caso stazionarono nei pressi di Roma e, con fare intimidatorio, vollero influenzare l’imminente Collegio cardinalizio, che si apprestava ad eleggere il successore di Alessandro VI Borgia; in tutta risposta il collegio scelse l’anti-francese Pio III;

– nel secondo caso, nella località di Roccasecca, le artiglierie francesi non riuscirono a creare delle brecce tali da poter irrompere in città, e liberarla dalle forze spagnole.

I francesi quindi, giunti al Garigliano, con un sostenuto fuoco di copertura scaricato contro gli spagnoli, posizionati sull’altra sponda, riuscirono a gettare un ponte di barche sul fiume costituendo una testa di ponte sulla sua sponda sinistra.

Gli spagnoli, consigliati dal condottiero Bartolomeo d’Alviano, costruirono un secondo ponte di barche, per aggirare le linee francesi e prenderle alle spalle.

L’azione riuscì, anche grazie alla foschia mattutina, sfruttata dagli spagnoli: il resto potete immaginarlo voi stessi. Preso alla sprovvista l’esercito francese venne trucidato e, parte delle truppe superstiti, riparò a Gaeta. Al seguito di accordi raggiunti con la marineria genovese (e con i vincitori) la componente nobile dell’esercito fu rimpatriata.

La Spagna aveva messo fine alla breve dominazione francese del sud Italia, mentre nel Regno venne imposto Consalvo de Cordoba con la carica di Vicerè. Un fatto curioso è la presenza, nella battaglia del Garigliano, di Piero il Fatuo, figlio di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico. Perché si trovava lì? Lo scoprirete in un’altra occasione.

In foto: ritratto di Ferdinando detto il Cattolico, vero vincitore dello scontro per aggiudicarsi il Regno di Napoli.

Andrea Feliziani

Consigli di lettura

LE ROY LADURIE EMMANUEL, Lo Stato del Re. La Francia dal 1460 al 1610, Bologna 1999.

PELLEGRINI MARCO, Le guerre d’Italia, Bologna 2009.

SIMONETTA MARCELLO, Volpi e Leoni. I Medici, Machiavelli e la rovina dell’Italia, Bergamo 2014.

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Written by : Redazione

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