Casteldaccia, chi sono gli operai morti nell'incidente - La Stampa

PARTINICO (PA). Si respira aria di terra e di vino, in questa Partinico che sempre, nel bene e nel male, di questo ha vissuto. Paradosso davvero, morire dentro la vasca di una fognatura, per questa gente di campagna abituata a lavorare con le zappe e i trattori, altro che mascherine e composti chimici. Terra di soldi fatti con la terra, ingrassata dal falso vino fatto con acqua e zucchero, appestata da una distilleria che nonostante mille inchieste è rimasta lì dov’era. Terra dove la ditta Quadrifoglio era considerata una piccola Svizzera. «Ditta serissima per quel che riguarda la nostra esperienza, hanno bonificato siti pieni di amianto con tutte le carte in regola, non lavoravano se non avevano tutte le autorizzazioni», racconta Nunzio Quatrosi, un dipendente del Comune più volte in contatto con la società per lavori al cimitero.

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Fatto sta che Epifanio Alsazia, detto Fino per gli amici, 71 anni, residente nella vicina cittadina di Alcamo, ma nato e cresciuto qui, contitolare della Quadrifoglio, adesso è in cima alla lista dei morti avvelenati dalle esalazioni della vasca fognaria.

Senza mascherina di protezione, come tutti gli altri, una leggerezza su cui più che rabbia c’è incredulità. Li hanno trovati così, i corpi, uno dopo l’altro, con il naso e la bocca indifesi, nudi. «È incomprensibile, era una ditta molto scrupolosa», conferma il sindaco, Pietro Rao, che di mestiere fa il farmacista e che, esperto di chimica, è stato tra i primi a dire che il killer si chiamava acido solfidrico, o idrogeno solforato, e che i cinque lavoratori erano morti l’uno per correre in soccorso all’altro, come era successo proprio qui, anni fa, a due agricoltori morti l’uno dopo l’altro per l’esalazione di un’azienda vinicola, «finiti comi i surci», morti come i topi. «Eppure è un gas di cui senti l’odore, che irrita subito le vie respiratorie, non è come il monossido di carbonio che ti uccide senza che tu ne avverta la presenza».

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E allora adesso vai a capire perché Alsazia abbia portato se stesso e i suoi operai a morire in quella fognatura, lui che di esperienza ne aveva tanta, lui che era così orgoglioso del giovane figlio carabiniere che fa da autista al comandante della stazione di Partinico e che ieri – in un drammatico corto circuito – ha visto i suoi colleghi in divisa bussare alle porte della Quadrifoglio, insieme con la polizia, e sequestrare carte, documenti, file sui computer. In ufficio, due dipendenti. L’altro figlio, che lavora nella ditta, non c’era.

Mentre il socio, Giovanni Di Salvo, stava tornando precipitosamente dagli Stati Uniti dove era andato per il matrimonio di un nipote. A sera è arrivato suo figlio, che vive a Milano così come la sorella, «persone perbene – ripetono in paese – lei sposata con un giovane cardiologo, lui sposato con la sorella del cardiologo. Fratello e sorella convolati a nozze con fratello e sorella». Una famiglia unita, travolta da una storia che ha dell’incredibile. Arriva pure l’arciprete Salvatore Salvia davanti agli uffici della ditta: «È il Sabato santo della vita e della storia, in cui si avverte il silenzio di Dio», dice. Due dei tre morti di Partinico lui li conosceva bene: «Con Fino giocavamo da piccoli, a bocce, nella piazza del paese, io più vecchio di lui, adesso ho 78 anni. Nonostante si fosse trasferito ad Alcamo, eravamo in contatto, lui era esperto di trattori, dava sempre consiglio per coltivare la terra. Sosteneva la mia Mensa dei poveri, era un uomo generoso. E la sua famiglia, in via Milano, ospitava l’immagine della Madonnina nel mese di maggio, durante la peregrinatio Mariae, quando le famiglie si riuniscono, socializzano, pregano. Così come era mio parrocchiano Ignazio Giordano, frequentava assiduamente la chiesa».

Lui di anni ne aveva 59, «un ragazzo solare, un gran lavoratore, lascia la moglie e due figli, abbiamo fatto il militare insieme nei vigili del fuoco, abbiamo partecipato a tanti tornei estivi di calcio», lo ricorda l’assessore del Comune, Sergio Bonnì. E si piange anche per Giuseppe Miraglia, 47 anni, originario di San Cipirello, paese a un tiro di schioppo da qui.

Mentre Domenico Viola, che di anni ne ha 62, anche lui di Partinico, ieri sera lottava per sopravvivere al Policlinico di Palermo. Intubato, ha ricominciato a respirare ma le speranze sono appese a un filo.

Ci si sposta venti chilometri più in là, nel paese di Alcamo, per trovare altre lacrime. Sono quelle dei figli di Roberto Raneri, 51 anni, un ragazzo di 14, una di 23. «La madre è sul luogo dell’incidente, loro sono affidati ai nonni, non abbiamo parole», dice un’insegnante di lui. Figli rimasti soli, come quelli di Giuseppe La Barbera, 28 anni, il più giovane di tutti, che ha pagato con la vita il suo lavoro da interinale all’Amap, la municipalizzata dell’acqua che aveva dato in appalto le opere sulla conduttura. Interinale come Giovanni D’Aleo, uno dei sopravvissuti. Il dolore è nelle parole smozzicate del suocero in lacrime: «C’è mia figlia a casa con due bambini, sto andando da lei».

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