Lustrini, paillette, cappelli, vestiti e atteggiamenti provocanti e tantissime celebrità. Questa era la normalità al 254 della West 54th Street, New York, alla fine degli anni Settanta. Il civico che divenne il luogo di culto e la culla del divertimento più ambito di tutto il mondo era infatti la sede dello storico club chiamato Studio 54. Le persone più in vista degli anni Settanta e Ottanta erano ospiti fissi. In quei pochi anni di apertura – fu attivo solo dal 1977 al 1980 - era facile infatti trovare, adagiati sui divanetti in pelle, Andy Wharol e Truman Capote che sorseggiavano uno Screwdriver oppure Michael Jackson che ballava sulle note della sua Don’t Stop ‘Til You Get Enough sull’iconico dancefloor in parquet e ancora Bianca Jagger entrare sul dorso di un cavallo bianco in completo Yves Saint Laurent ed essere accolta dallo stesso leggendario stilista.
Insomma, un luogo che in soli tre anni ha dettato la moda e lo stile di vita di tutto il mondo. Infatti, in breve lasso di tempo tutti sognarono di poter varcare la soglia dello Studio 54 almeno una volta perché, prima di tutto, era lì che era nato il concetto moderno di club. Partecipare era uno status, significava essere accettati dal mondo che contava e che dettava le regole. Grazie a Ian Schrager e Steve Rubell, i proprietari, lo Studio 54 divenne famoso in tutto il mondo come vera e propria istituzione per le sue performance sontuose ed eccessive, e gli abiti favolosi dei suoi frequentatori.
Ma non solo night life e moda dettavano le regole delle serate nella discoteca più famosa del mondo, lo Studio 54 era anche un luogo in cui la cultura Queer e la comunità LGBTQIA+ trovavano terreno fertile per poter esprimersi ed esibire. All’interno delle mura del club tutti si sentivano non solo accettati, ma protagonisti di un fermento sociale e intellettuale che stava nascendo in quegli anni. Così oltre a tanta trasgressione per i tempi - mentre camerieri a petto nudo e in slip succinti portano i drink ai tavoli, ballerine in topless volteggiano nell’aria accerchiate da fasci di luce - icone del mondo gay si incontravano a ritmo di disco dance.
Elton John si scatenava con le regine della drag scene, come Divine e mentre nelle balconate superiori si consumavano festini privati, Lou Reed, assieme al suo amico di sempre Andy Warhol, discuteva con Mick Jagger di musica. E a proposito di musica: lo Studio 54 riuscì a dettare la moda anche nel mercato musicale degli anni Settanta, si dice infatti che proprio grazie alle nuove basi della disco music e allo scenario spumeggiante che accompagnavano i balli e i cocktail sotto le luci strobo e i mirror wall, Mick Jagger intraprese il percorso artistico che portò gli Stones a comporre canzoni come Miss You e l’album Some Girls mentre Giogio Moroder si impregnò di quei suoni e di quelle luci e ne divenne uno dei più grandi interpreti di sempre.
Ma il sogno durò solo tre anni. Nel febbraio del 1980 i proprietari Ian Schrager e Steve Rubell vennero condannati per evasione fiscale e messi in prigione, dopo aver celebrato l’ultima grande festa a tema intitolata “The End of Moder Day Gomorrah”. Il club riaprì a settembre 1981 ma la musica, in tutti i sensi, era cambiata: il club più famoso del mondo iniziò ad attirare i nuovi avventori, con un ricambio generazionale che mise a dura prova l’autenticità e la magia degli esordi che da quel momento non fu più replicabile.