Lo spettacolo deve continuare

C’è un prima e un dopo nell’Olimpiade tedesca. Un prima radioso, splendido, fatto di gare ed eroi eponimi che esaltarono la dimensione sportiva dell’evento perfetto, ipertecnologico, che volle far dimenticare l’area di tetraggine e angoscia che la passata edizione aveva lasciato, Berlino 1936, quella del Fuhrer e delle sue manie di grandezza. Un prima che aveva visto le imprese di un ucraino di ghiaccio, Valery Borzov, che aveva fatto una storica doppietta nei 100 e nei 200, e di un venticinquenne americano, un pò ungherese, un pò ebreo, Mark Spitz, che di medaglie d’oro fece il record, ben sette in un sol colpo. Erano stati per noi i giorni della meraviglia, con Novella Calligaris, la prima in assoluto del Bel Paese a vincere medaglie nel nuoto. Vi era stata un’altra protesta, fatta passare per ragazzata, ma che valse per Matthews e Collett la sospensione dalla Federazione americana e l’espulsione dal campo olimpico. Il già visto, dunque, inscenato con non tanta scontata sequenza, prima che il sangue invadesse i Giochi nella privacy del villaggio olimpico e demarcasse drammaticamente quel prima dal dopo, tragico e desolante, attraverso l’azione spietata ed efferata di alcuni fedayn e mettesse a nudo le fragilità della polizia tedesca. La notte tra il 4 e il 5 settembre il gruppo “Settembre Nero” fece irruzione nel villaggio olimpico, uccise due israeliani e prese in ostaggio nove atleti. Chiesero la liberazione di 200 palestinesi e un aereo per raggiungere un paese arabo. Israele non cedette. Gli ostaggi e i terroristi furono trasferiti su tre elicotteri all’aeroporto di Fürstenfeldbruck, dove la polizia aprì il fuoco causando la reazione dei terroristi che uccisero gli ostaggi e fecero esplodere un elicottero. Bilancio della tragedia: diciassette morti, undici israeliani, cinque terroristi e un poliziotto. Avery Brundage pronunciò, non senza polemiche, una frase rimasta storica: the Games must go on. Le gare che separeranno i Giochi dalla cerimonia finale risentirono del peso del dramma.

Torniamo allora alle gare.

A deludere le aspettative nella regina delle discipline furono gli Stati Uniti che nelle gare veloci furono folgorati da Poker Face, alias Valery Borzov. La velocità fu una questione dell’Europa orientale con la doppietta di Renate Stecher su 100 e 200 m, la punta di diamante di un movimento sportivo in ascesa, quello della Germania Est, che vinse nell’atletica otto medaglie d’oro. Gradito fu il ritorno alle medaglie della Finlandia nel mezzofondo grazie al successo di Pekka Vasala nei 1500, ma soprattutto alla storica doppietta 5000 e 10000 di Lasse Virén, degno successore di Nurmi e Zatopek. La maratona in parte affievolì la delusione americana grazie al successo di Frank Shorter, che guarda caso a Monaco di Baviera era nato venticinque anni prima.

Prima della tragedia, si abbatté sulle Olimpiadi l’uragano Mark Spitz. Acerbo a Città del Messico, a Monaco di Baviera non più giovanissimo (25 anni sono già una certa età per un  nuotatore), vinse sette ori annunciati con sconosciuta superiorità, una dittatura a cui anche il tempo si sottomise, sancita da sette primati mondiali su sette medaglie. Al femminile tutti attesero la quindicenne Shane Gould, arrivata ai Giochi come accreditata cannibale. Non deluse, vinse cinque medaglie, di cui tre ori con altrettanti primati mondiali, ma non emulò l’Americano, il vero cannibale. Si parlava prima di Germania Est ed ecco Roland Matthes vincere ancora i 100 e i 200 dorso come a Città del Messico, altro fenomeno della vasca. A portarci nel Paese delle Meraviglie fu la nostra Alice, Novella Calligaris, e davvero ci parve di sognare. Sue le prime medaglie nel nuoto, un argento nei 400 m sl, bronzo 800 m sl e nei 400 m misti.

Il ring di Monaco di Baviera vide gli albori di una stella, che non volle ma che avrebbe potuto arricchirsi con i suoi pugni: Teofilo Stevenson. La trilogia d’oro del cubano iniziò con una finale non disputata per altrui forfait.

Nella ginnastica brillò la stella di Olga Korbut, quaranta chili di grazia, che si aggiudicò tre medaglie d’oro.

Gli sport di squadra non fecero mancare sorprese a partire dalla vittoria della Germania Ovest nell’hockey su prato a rompere il duopolio India-Pakistan. Nel calcio la Polonia batté i campioni in carica dell’Ungheria per 2 a 1. Drammatico fu l’esito della finale per l’oro nella pallacanestro, vinta finalmente dai sovietici sugli yankees. Al suono della sirena il tabellone segnava 50 a 49 per gli americani e un secondo da giocare, mentre i russi affermarono che mancassero tre secondi in virtù di un’incomprensione su un time out richiesto. Dopo momenti a dir poco concitati, la partita ricominciò con tre secondi, che nel basket possono essere tanti. Aleksandr Belov, non il Belov famoso, decise la più controversa finale con un canestro da due punti, rompendo il predominio degli Stati Uniti, mai sconfitti dal 1936. Russi vincenti anche nella pallanuoto e nella pallavolo femminile, mentre il Giappone fu campione nel volley maschile.

L’Olimpiade italiana raccolse qualcosina in più di Città del Messico, ma il bottino fu ancora al di sotto delle aspettative. Splendido Klaus Dibiasi dalla piattaforma 10 metri, che bissò il successo messicano di quattro anni prima. Nella scherma tornammo a vincere l’alloro più importante nella sciabola a squadra e con Antonella Ragno nel fioretto individuale. Dopo i D’Inzeo, che qui a Monaco vinsero il bronzo nella prova a squadre,  la tradizione dell’equitazione italiana continuò con Graziano Mancinelli, oro nel salto a ostacoli individuale. Giuseppe Scalzone, per tutti Peppino, fu primo nella fossa. Vanno ricordati l’argento e il bronzo di Giorgio Cagnotto e soprattutto il bronzo nei 200 metri piani di Pietro Mennea, velocista di Barletta, noto come la Freccia del Sud. Nella finale dei 200 metri Borzov fece il vuoto dopo il curvone e distanziò l’americano Larry Black e il nostro Pietro, che nel rettilineo finale si distese per andare a prendere un prezioso bronzo e a riportarci con la memoria alle imprese di Livio Berruti.

L’11 settembre Avery Brundage disse Auf Wiedersehen e gli Happy Games, i Giochi Felici così erano stati ribattezzati, chiusero i battenti dando l’arrivederci a Montreal. Ma di quei giorni tedeschi il prima delle vittorie di Borzov, di Korbut e di Spitz fu per sempre offuscato dal dopo terribile di un’azione scellerata e feroce di un commando di fedayn che presero in ostaggio le Olimpiadi e ne fecero conoscere il sangue.


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ADN-ZB Settnik 4.10.85 Berlin: XVI. Internationales Boxturnier von Berlin-Der dreifache Olympiasieger und zweifache Weltmeister Teofilo Stevenson (Kuba) greift am 6.10.85 im Halbfinale der Superschwergewichtler ins Ringgeschehen ein. Bei seinem Erscheinen in der Werner-Seelenbinder-Halle ist er bis dahin ständig von Autogrammjägern umringt.


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