BRETAGNA in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

BRETAGNA

Enciclopedia Italiana (1930)

BRETAGNA (A. T., 32-33-34)

Henri PATRY
Giacomo DEVOTO

La Bretagna è una penisola lunga 250 km. e larga al massimo 150, la quale si protende tra la Manica e l'Atlantico raggiungendo con le sue estremità le latitudini più occidentali del territorio francese (Pointe de Saint-Mathieu e Pointe du Raz). Nel 1491 il "ducato di Bretagna" entrò a far parte del regno di Francia; ma la difficoltà delle comunicazioni e la distanza da Parigi gli permisero di conservare una spiccata originalità sino alla fine dell'antico regime, quando i contadini bretoni presero le anni contro gli eserciti repubblicani. L'antica provincia, che aveva i suoi "stati" a Rennes, ru suddivisa in 4 dipartimenti. Ille-et-Vilaine; Côtes-du-Nord; Finistère; Morbihan. Il NO. del dipartimento della Loire inférieure faceva ancora parte della Bretagna, ma il porto di Nantes, con le sue industrie, è diventato un centro di vita locale, estraneo al mondo bretone propriamente detto. Le ferrovie e lo sviluppo delle strade hanno contribuito a distruggere il particolarismo bretone; tuttavia questa regione conserva ancora una sua particolare fisionomia.

La Bretagna è una parte del massiccio armoricano dell'ovest della Francia, affine ai massicci ercinici. Gli stati primarî vi sono stati violentemente piegati e metamorfosati. In tali smembramenti si riconoscono tuttavia dei carreggiamenti, ed è cosa certa che, alla fine del Paleozoico, la Bretagna fu, come il Massiccio Centrale, una regione di alta montagna. Ma, probabilmente già prima che cominciasse il Mesozoico, l'erosione aveva portato il rilievo allo stato di penepiano; sicché le antiche pieghe sono rivelate soltanto dall'orientamento degli strati di granito, degli scisti cristallini, degli scisti e delle arenarie. Se i mari triassici, giurassici o cretacei ricoprirono tutta una parte della Bretagna, il che avvenne certamente nell'est del massiccio armoricano, del fatto non è rimasta alcuna traccia, e gli ultimi segni di un'indubbia trasgressione marittima risalgono al principio del Cenozoico; si conoscono depositi eocenici esistenti nel bacino della Vilaine.

L'aspetto del penepiano è la caratteristica geografica predominante di tutta la Bretagna interna. Da ogni parte si stendono orizzonti uniformi; ma, per spiegare l'increspamento generale delle forme, occorre ammettere un certo ringiovanimento del rilievo, dipendente da movimenti del suolo, con aumento dell'inclinazione dei corsi d'acqua, che hanno dovuto approfondire lievemente le loro valli. L'impermeabilità delle antiche rocce, dove non esiste il calcare, ha favorito una complicata ramificazione dei bacini fluviali. Ma, senza dubbio, l'evoluzione si è compiuta in modo diverso, a seconda che lo scavo si operava in rocce più o meno dure; l'alternarsi di tali rocce in fasce parallele spesso dà origine a crese e a depressioni allungate nella direzione delle antiche pieghe (E.-O. o NO.-SE). Le creste sono attraversate da valli a chiuse, con pareti rocciose alte da 50 a 80 metri. Larghi affioramenti di scisti argillosi determinano lo svilupparsi di depressioni ondulate (bacino di Rennes negli scisti precambrici a est, bacino di Châteaulin negli scisti carbonici a ovest). Pare che i movimenti del suolo, i quali hanno prodotta questa lieve ripresa dell'erosione, siano stati meno accentuati ad est, e più accentuati ad ovest.

Nessuna regione della Francia presenta coste così frastagliate, come la Bretagna. Ardite punte si protendono nel mare, trasformate dall'erosione in isole e scogli; si aprono ampie insenature o esse si stendono dietro banchi di sabbia, tagliati da uno stretto canale; ma, soprattutto, innumerevoli estuarî penetrano nell'interno con le loro ramificazioni, che in Bretone vengono chiamate rivières o aber e corrispondono ai rias della Galizia spagnola. Rare sono le spiagge sabbiose e i cordoni litorali che sbarrano un estuario, come dalla parte d'Auray, o congiungono un'antica isola al continente (Presqu'île de Quiberon). Le coste bretoni sono coste giovani: la cui fisionomia è dovuta quasi interamente ad un loro movimento positivo che ha fatto penetrare il mare nelle depressioni del rilievo continentale, mutando in baie e in cale le più larghe tra esse, e in aber o rias le valli che si trovano racchiuse tra i massicci di rocce dure.

La natura peninsulare della Bretagna spiega le caratteristiche del suo clima. La regione è resa umida dai venti oceanici, mentre il contatto diretto col mare impedisce le oscillazioni termiche sul litorale. Brest ha la stessa media di gennaio che ha Marsiglia (6°,7), ma l'estate vi comincia tardi, essendo l'agosto il mese più caldo, con una media di 18°, 1 soltanto. L'autunno è tepido (ottobre più caldo di 4° che a Parigi); la primavera pure è in ritardo. L'umidità dell'aria è grande in tutte le stagioni, e le piogge sono quasi ugualmente distribuite, con un lieve massimo nell'autunno e nell'inverno (Brest 826 mm.: inverno 206, primavera 154, estate 185, autunno 269). Quando la temperatura si abbassa; le depressioni barometriche si fanno più frequenti e più vicine alla penisola, suscitando le brezze dell'ovest, che coprono il cielo di nubi e fan cadere pioggerelle minute per intere giornate: il crachin di Brest.

Con un clima così mite e così umido, la Bretagna è per eccellenza il dominio della flora atlantica. La foresta di querce cresce bene in ogni punto, e ha dovuto esistere prima dell'occupazione dell'uomo, se si eccettuino i luoghi dove lo impediva l'eccessiva acidità del terreno o la violenza del vento. Sul litorale, salvo che nelle località riparate, gli alberi sono poco numerosi e spesso vengono atterrati, dal violentissimo norouet. Nell'interno, le alture sono per lo più ricoperte di landes, formate da eriche, da ginestre o da giunchi spinosi, con torbiere nelle zone depresse. Il dissodamento della foresta, operato su terreni infecondi, non di rado ha dato origine alla lande. Questa formazione vegetale, propria della Bretagna, invade tutti i terreni incolti, e ha fornito per lungo tempo pascoli per le pecore e fascine da ardere.

Le terre coltivate, suddivise in numerosi appezzamenti, sono cinte da siepi d'alberi, piantate su arginetti: onde quell'aspetto forestale del paesaggio bretone, che vale a spiegare il nome Bocage e quello di Arcouet (in celtico: regione della foresta).

L'originalità della Bretagna è dovuta in gran parte alla sua popolazione (v. celti). La razza celtica vi si è mantenuta quasi intatta, rinforzata nel sec. VI da profughi della Bretagna insulare, i quali fuggivano l'invasione anglosassone. Questi immigrati introdussero il bretone, parlato oggi da un milione di persone, in gran parte bilingui; esso appartiene al gruppo celtico (v.) e, contrariamente all'antica credenza, va distinto dal celtico della Gallia preromana, o gallico; che, all'arrivo degl'insulari, era già spento.

Il bretone è attestato da glosse a partire dal secolo IX, da monumenti letterari, di carattere prevalentemente religioso, a partire dal XV (v. celtiche, letterature). L'uso del bretone, prima più diffuso, si è andato restringendo entro una linea che parte dalla foce della Vilaine, passa ad est di Vannes e di Pontivy e termina ad ovest di Saint-Brieuc: in una metà circa della penisola lo si parla ancora nei campi, in chiesa, nei mercati.

Si distinguono quattro dialetti principali: quello di Léon (léonard, nel Finistère) su cui si fonda principalmente l'ortografia ufficiale; quello di Cornouaille (comouaillais, pure nel Finistère), quello di Tréguier (trrégorois, Côtes-du-Nord), e quello di Vannes (Vannetais, nel Morbihan). Quest'ultimo ha risentito meno della ortografia ufficiale e viene ancora studiato come varietà autonoma. L'influenza del bretone sul francese è nulla, anche qui in contrasto con la credenza più antica che da esso il francese derivasse o avesse importato molte parole.

Insieme con la lingua, meglio che in qualsiasi altra parte della Francia, si sono conservati anche il sentimento religioso, gli antichi costumi, le vesti e le superstizioni. Sui mercati e nei "pardons" (pellegrinaggi), si possono ancora vedere le donne con corpetti ricamati, grembiali a vivaci colori e berretti di pizzo, e gli uomini con larghi calzoni, corto giubbetto e cappello dai nastri di velluto pendenti.

La tendenza conservatrice del contadino bretone trae origine dalla vita d'isolamento da lui condotta per lungo tempo e dalle condizioni sociali derivanti dall'economia rurale. Anche il modo di popolamento è assai diverso da quello della Francia centrale: non villaggi agglomerati, ma case coloniche sparpagliate in ogni parte. Ciascuna famiglia vive in mezzo al podere da lei coltivato, ricavando dal suolo tutto ciò che le occorre: i cereali (un tempo saggina e segale), i legumi (patate e soprattutto cavoli); e allevando da 5 a 10 vacche.

Tale quadro della vita bretone vale anche oggi per l'interno della penisola. Lo sviluppo delle comunicazioni peraltro ha permesso l'introduzione dei concimi chimici e qualche perfezionamento dei metodi di coltivazione, e ne è derivato soprattutto l'estendersi dei prati artificiali e dell'allevamento. Mutamenti assai più notevoli sono, invece, avvenuti sul litorale, che è sempre stato la parte più operosa e più ricca del paese.

Secondo gli antichi cronisti, un tempo soltanto la costa sarebbe stata abitata; ed anche ai nostri giorni, il popolo distingue l'Armor (regione del mare) dall'Arcouet (regione della foresta). L'Armor è assai più popolato. E. Robert ha dimostrato che la zona comprendente tutti i punti situati a una distanza massima di 10 km. dal mare contiene da 100 a 200 ab. per kmq., mentre nell'interno la densità scende a 30 ab. L'Armor, che costituisce un quinto della superficie totale, contiene metà della popolazione della Bretagna; quivi sorgono quasi tutte le città, la piccola proprietà vi è in prevalenza e i terreni valgono 20 volte di più che nell'interno.

Questa ricchezza dell'Armor è dovuta all'Oceano Atlantico, poiché le comunicazioni sono sempre state più facili per mare che per terra, e ogni villaggio della costa è un porto da pesca. I Bretoni pescano la sardina sulla costa meridionale, il tonno nel Golfo di Guascogna e sulle coste della Spagna e del Marocco, e perfino il merluzzo sui Banchi di Terranuova e presso l'Islanda. Il riparo offerto dagli estuarî, dove risale la marea, ha dato origine a numerosi porti di cabotaggio e di grande traffico; e tra essi i più importanti ora sono: Saint-Malo, attrezzato per ricevere il carbon fossile inglese; Saint-Brieuc, Paimpol e Roscoff, che spediscono in Inghilterra le primizie, le uova e il pollame; Brest, che è il maggiore arsenale marittimo della Francia occidentale, con grandi cantieri navali; Lorient; e Vannes, celata in fondo al golfo del Morbihan, coi suoi grandi serbatoi d'ostriche.

Ma la vita marittima non è l'unica fonte della prosperità dell'Armor: l'agricoltura vi è sempre stata in onore. Né la mitezza del clima vale da sola a spiegare tale vita agricola: anche i concimi del mare vi apportavano il loro contributo (limi calcari degli estuarî, noti sotto il nome di tangues; alghe raccolte sulle rocce e chiamate goemons). Col sec. XIX, si ebbe una trasformazione dell'agricoltura litorale bretone: le ferrovie costruite lungo le coste (Parigi-Brest per Saint-Brieuc e Parigi-Vannes-Quimper) permisero l'invio rapido degli ortaggi e delle frutta, proprio nel momento che la concorrenza della grande industria moderna faceva abbandonare la lavorazione del lino.

Col miglioramento delle vie di comunicazione, il litorale ha acquistata un'altra fonte di ricchezza: in estate vi accorrono molti bagnanti, e alberghi e ville si fanno sempre più numerosi.

Capitale della regione è Rennes (183.419 ab. nel 1926), importante come nodo stradale. Nonostante un'attiva emigrazione verso Parigi e verso il sud-ovest, nell'insieme la popolazione della Bretagna sale a 2.411.373 ab. e continua ad aumentare.

V. tavv. CLXXXI a CLXXXIV.

Bibl.: E. De Martonne, La pénéplaine et les côtes bretonnes, in Ann. de Géographie 1906; Ch. Barrois, Les divisions géographiques de la Bretagne, ibid., 1897; E. Robert, La densité de la population en Bretagne, ibid., 1904; C. Vallaux, La Basse Bretagne, étude de géographie humaine, Parigi 1907; Robert-Muller, Saint-Malo-Saint-Servan, port charbonnier, in Ann. de Géogr., 1922.

Per la lingua: F. Vallée, La langue bretonne en quarante leçons, 4ª ed., Saint-Brieuc 1916; J. Loth, Chrestom. bret., I: Breton-Armoricain, Parigi 1890; A. Sommerfelt, Le breton parlé à Saint-Pol-de-Léon, Parigi 1921; A. Troude, Nouveau diction. français et breton, 3ª ed., Brest 1886; Meillet-Tesnière, Les langues dans l'Europe nouv., 2ª ed., Parigi 1928, p. 379 segg.

Storia. - Fino ai Carolingi. - Prima che, fra il sec. V e l'VIII d. C., vi venissero, dalle isole britanniche, i Britanni (onde il nome preso dalla regione), essa si chiamava Armorica, cioè paese presso il mare (v. aremorici), con nome che comprendeva tutti i paesi litoranei dallo sbocco della Loira a quella della Senna. La posizione appartata, peninsulare, la stessa configurazione orografica, hanno impresso alla storia della Bretagna uno sviluppo a sé, ben distinto da quello del resto della Francia.

Fu abitata presto, in età preistorica, e la civiltà neolitica vi si mantenne molto più a lungo che nel resto di Francia. Non ci è dato sapere l'origine e la natura di questa prima popolazione della Bretagna, che dovette cedere a poco a poco davanti all'insediarsi dei Celti. Dovettero questi penetrarvi tardi, ma vi posero radici saldissime; soprattutto il druidismo incontrò grande favore nelle folte selve dell'Armorica. Questo anche spiega perché Cesare incontrasse tanta resistenza fra le popolazioni della penisola: i Namnetes, nella regione di Condevincum (Nantes), i Venetes, attorno a Dariorigum (Vannes), gli Osismii (presso Carhaix), i Curiosoletes, attorno a Corseul, e i Redones, attorno a Condate (Rennes). Ma la civiltà romana finì con l'imporsi in tutto il paese e l'imperatore Claudio soffocò le ultime resistenze nazionali galliche, sopprimendo i collegi druidici, che si erano mantenuti nelle foreste. Accanto ad esse si erano formate città fiorenti, di alcune delle quali restano ancora le rovine; ma a cominciare dalla fine del sec. II., la Bretagna sentì, più di altri paesi dell'impero, i dolorosi effetti del fiscalismo e vide la sua popolazione diminuire, tanto che poté offrire un comodo asilo ai Britanni insulari, che fuggivano l'invasione degli Anglo-Sassoni. Questa emigrazione cominciò nel sec. V e proseguì a piccole ondate fino all'VIII; l'età di immigrazione più intensa fu tra il sec. V e il VI. Gli immigrati mantennero nel nuovo paese i loro costumi, le loro istituzioni sociali e politiche (clan). L'immigrazione ebbe uno spiccato carattere religioso; spesso i capi non erano principi, ma uomini di chiesa, monaci, che trasportavano sul continente gli usi e la mentalità del cristianesimo insulare, col suo acceso misticismo e l'ardente spirito di proselitismo. Anche in Bretagna esso si manifesta con la creazione di monasteri e col tentativo di organizzare una vera e propria chiesa bretone di rito celtico, indipendente dalla metropolì romana di Tours.

Un certo antagonismo si mantenne fra l'antica popolazione già romanizzata e i nuovi venuti, retti da capi di clan detti mactyern. I Bretoni fecero anche il viso dell'arme ai Franchi, mentre la popolazione romanizzata non li vide di malocchio. Dal tempo di Clotario i re merovingi mirarono sistematicamente a sottomettere la Bretagna; ma la lotta fu molto lunga ed aspra, tenuta desta dall'eroe bretone Waroch, e anche dai monaci bretoni, che per secoli costituirono l'unico clero fra quella popolazione. È molto difficile seguire queste lotte confuse, delle quali presto s'impadronì la leggenda, rendendole più confuse ancora. Accanto a Waroch emergono poi, nell'epoca carolingia, altri nomi di eroi: Jarnithin, Morvan, Wiomarch. Nemmeno Carlo Magno riuscì a sottomettere realmente i Bretoni; una volta finita la guerra guerreggiata, si era da capo: i Bretoni si ribellavano, non pagavano i tributi, divenivano inafferrabili.

Il ducato di Bretagna. - Ludovico il Pio comprese che bisognava in qualche modo rispettare la loro individualità di popolo, pur di averli amici e di impedire che straripassero nelle terre vicine: e il modo fu di dare loro un capo nazionale, riconosciuto dai Franchi: Nomenoe. L'esperimento ebbe buon esito, almeno finché visse Ludovico il Pio e finché l'abate Conwoion, fondatore dell'abbazia di Redon, fu l'intermediario della pace. Ma all'avvento di Carlo il Calvo, Nomenoe rivendicò completa indipendenza. L'imperatore cercò di opporsi, ma fu battuto nella battaglia di Bain (845) e costretto a riconoscere nell'846 l'indipendenza del ducato di Bretagna, che fu mantenuta, dopo la morte di Nomenoe (851) da suo figlio Erispoe, e poi da suo nipote Salomone. L'assassinio di Salomone per opera dei capi ribellatisi (874) ricondusse l'anarchia, aggravata dalle invasioni normanne, che Salomone era riuscito a contenere. Gli imperatori e re sono impotenti a intervenire; alla testa del ducato pretendono di mettersi a volta a volta i conti di Cornovaglia, di Rennes e di Nantes.

In realtà il ducato è del tutto indipendente dalla corona di Francia: ha sue proprie leggi, monete, istituzioni, esercito, che non è nemmeno tenuto a prestare man forte al re di Francia; anche nell'ordine ecclesiastico, i duchi tentano di sottrarsi all'arcivescovo di Tours e di dipendere direttamente da Roma. Dell'anarchia approfittano, e l'aggravano, i Normanni, che scorrazzano e depredano il paese. Qualcuno dei duchi o pretendenti al ducato si oppone loro, come Judicaele, nipote di Erispoe, e Alano il Grande, che ebbe anche il titolo di duca; altri si alleano con i razziatori. Il nipote, Alano Barbatorta (morto nel 957), dovette rifugiarsi in Inghilterra, davanti alle invasioni normanne; ma due volte tornò a compiere colpi di mano sul continente. Dopo che i Normanni si furono stabiliti sotto Rollone (911) in Normandia, si constata uno sforzo costante dei duchi di Normandia per impadronirsi della Bretagna, esposta a lotte intestine e alle continue guerre con i conti di Angiò per il possesso di Nantes. Fin dalla metà del sec. X, i duchi bretoni riconoscono la sovranità dei duchi normanni.

Un secolo più tardi, l'anarchia regnava ancora sovrana in Bretagna; due duchi si levarono l'uno contro l'altro, Odone a Rennes, Hoël a Nantes (1148). Ma nel 1156 Nantes cacciava Hoël e si dava a Goffredo, fratello di Enrico II, re d'Inghilterra. Così un'importante parte si staccava, per il momento, dal ducato. Dopo il breve regno del duca Conan IV, conte di Richemont (1156-1171), la Bretagna parve definitivamente annessa ai dominî anglo-normanni al tempo del duca Goffredo II, figlio di Enrico II. Il figlio di Goffredo II, Arturo I (v.), fu assassinato da suo zio Giovanni Senzaterra il 3 aprile 1202; e poco mancò che quest'avvenimento annullasse l'indipendenza bretone, avendo Filippo Augusto fatto sposare ad Alice, sorellastra di Arturo, Pietro Mauclerc, membro della famiglia reale, come figlio del conte capetingio di Dreux, Roberto II. Pietro Mauclerc rese omaggio al re di Francia per la Bretagna il 27 gennaio 1223. Dei cinque duchi di questa nuova famiglia ducale, Pietro (1223-37), Giovanni I il Rosso (1237-1286), Giovanni II (1286-1305), Arturo II (1305-1312) e Giovanni III il Buono (1312-1341), il primo fu certamente la personalità più spiccata e anche più irrequieta, sempre alle prese con i suoi vassalli, specialmente i consanguinei conti di Penthièvre, con il clero, che pretendeva mantenere intatte le sue libertà e i suoi privilegi, e, dopo la morte di Luigi VIII, con la reggente Bianca di Castiglia. A volta a volta, secondo l'opportunità del momento, si riconobbe vassallo del re d'Inghilterra, poi, di nuovo, del re di Francia. Alla fine, sconfitto, scomunicato, fu deposto, e poté consacrare i suoi ultimi anni alla poesia. I suoi successori furono affaticati dalle stesse questioni; posizione del ducato rispetto alla corona di Francia, posizione del clero nel ducato, codificazione delle coutumes. In generale si mostrarono più arrendevoli: Giovanni I il Rosso, se ammise che il clero dipendesse dalla curia romana, riuscì almeno a salvare l'indipendenza del ducato dalle decisioni del parlamento di Parigi; più arrendevoli ancora Giovanni II e Arturo II; finché Giovanni III dovette cedere in molte questioni che riguardavano il diritto ducale di monetazione e fu alleato, non però in qualità di vassallo, del re di Francia contro i Fiamminghi, ma, come i suoi predecessori, non seppe trarre vantaggi dalla rivalità tra Francia e Inghilterra.

La morte di Giovanni III il Buono, nel 1341, ridestò le discordie anglo-francesi del secolo precedente e la successione fu disputata tra Giovanni di Montfort, figlio di secondo letto del duca Arturo II, e Giovanna di Penthièvre (la Zoppa), nipote di Arturo II, sostenuta dal marito Carlo di Blois, che era nipote del re Filippo VI. La guerra di Bretagna, che durò fino al 1364, diede il possesso del ducato alla casa di Montfort, in dipendenza feudale dalla corona di Francia. Fu una guerra molto aspra, che si innestò nella guerra dei Cent'anni e nella quale il Montfort fu sostenuto dal re d'Inghilterra, la Penthièvre, o, per meglio dire, Carlo di Blois, dal re di Francia. Nella guerra ("la guerra delle due Giovanne") mostrarono accanimento e ardimento le donne come gli uomini: fra esse Giovanna di Montfort, che sostenne energicamente la lotta per il marito prigioniero, Giovanna di Penthièvre e la vedova di Oliviero di Clisson. Si commisero enormi atrocità da una parte e dall'altra; i Bretoni si batterono con straordinario valore, innanzi a tutti i due eroi di questa guerra: Bertrando du Guesclin e Oliviero di Clisson. Si combatte anche durante le frequenti tregue fra il re di Francia e il re d'Inghilterra. Intanto Giovanni di Montfort era morto, e, nella battaglia di Auray (1364) morì anche Carlo di Blois; il trattato di Guérande (1365) conferì la corona ducale al figlio del Montfort, Giovanni IV (1365-99). La casa di Montfort conservò il ducato per un secolo circa, fino al 1458. Il duca, benché avesse prestato omaggio al re di Francia, non poteva dimenticare di dover la vittoria all'aiuto degl'Inglesi. Quindi, contro la volontà della maggioranza dei suoi sudditi, che, se mai, inclinavano più verso la Francia, e specialmente della nobiltà, che trovava facilmente onorifici impieghi alla corte francese e massime nell'esercito (due bretoni furono successivamente connestabili di Francia, Bertrando du Guesclin e Oliviero di Clisson), il duca si mostrò troppo arrendevole verso gl'Inglesi, in quegli anni di guerra franco-inglese, in cui pur doveva prendere un atteggiamento. Abbandonato da gran parte dei suoi, dovette riparare in Inghilterra, e nel 1378 il re di Francia confiscò il ducato e vi impose le gabelle regie. Di qui un improvviso mutamento dei Bretoni a favore di Giovanni IV, che poté ritornare trionfalmente nel ducato; ma si alienò di nuovo l'animo dei suoi sudditi, facendo assassinare il Clisson, suo vassallo, ma pericoloso per le molte terre e uomini che aveva in Bretagna. Il re di Francia si fece un obbligo di vendicare la morte del suo connestabile, movendo contro la Bretagna; ma Giovanni IV moriva, lasciando un erede, Giovanni V (1399-1442), che fu tolto alla tutela della madre, quand'essa (1402) passò a seconde nozze col re d'Inghilterra; la corte francese era sempre vigile ad impedire che gl'Inglesi avessero buone ragioni a stabilirsi in Bretagna. Ma era fatale che anche Giovanni V si barcamenasse tra Francesi e Inglesi, come cercava di non impegnarsi troppo né con Armagnacchi né con Borgognoni. Così il suo troppo tardo intervento non poté sventare la sconfitta francese ad Azincourt (1415), né impedire il dilagare degl'Inglesi su gran parte della Francia.

Un mutamento si nota sotto i successori, Francesco I (1442-1450), Pietro II (1450-57), Arturo III (1457-58). E si spiega: la Francia si va liberando dagl'Inglesi, non è più possibile il gioco d'altalena; al più si può insistere sui diritti della Bretagna all'indipendenza, come farà Arturo III, che, pur essendo ad un tempo connestabile di Francia, rifiuta l'omaggio al re francese. Francesco I e Pietro II vanno ricordati, più che altro, il primo per il truce assassinio fatto perpetrare sul fratello, il secondo per le aspre contestazioni con i vescovi di Nantes, di Rennes, di Saint-Malo per la giurisdizione ecclesiastica e il diritto di asilo.

Morto Arturo III (v.), successe al ducato la casa di Étampes, la quale veniva ad ereditare, per discendenza maschile e femminile, tutti i diritti della casa di Montfort. Il duca Francesco II (1458-1488), uomo debole di natura, ma astuto, subdolo, infido, in preda ai cortigiani, si trova di fronte alla monarchia francese irrobustita e nelle mani di un uomo come Luigi XI. Per non essere sommerso, si fece promotore della Lega del bene pubblico contro il re; fallita questa tattica, dovette sottostare alla continua minaccia del re, che per altro era impegnato con Carlo il Temerario e non poteva sferrare il colpo decisivo contro la Bretagna. Lo fece il successore, il re Carlo VIII, che nel 1488 vinse Francesco II a Saint-Aubindu-Cormier e lo costrinse a sottomettersi e a impegnarsì a dare in moglie l'erede, Anna, solo col consenso del re di Francia.

L'unione alla Francia. - Poco dopo Francesco II moriva e il ducato venne ad Anna (1488-1514; v.); attorniata da pretendenti, promise la sua mano prima a Massimiliano d'Asburgo, che, abilissimo in questa politica matrimoniale, tentava di ripetere in Bretagna quello che aveva fatto in Borgogna. Ma Carlo VIII gli attraversò i piani; assediò Anna a Rennes, la costrinse a cedere e a diventare sua moglie (dicembre 1491), senza che la duchessa, divenuta così anche regina di Francia, potesse nemmeno dettare dei patti che salvassero, almeno giuridicamente, se non di fatto, l'indipendenza della Bretagna. Quest'occasione, che per allora le mancò, venne invece alla morte di Carlo VIII; Anna, rimasta vedova, tornava ad essere duchessa di Bretagna; e se il re Luigi XII volle impedire che la Bretagna si staccasse dalla corona di Francia e passasse ad altri per un successivo matrimonio di Anna, dovette accettare i patti che Anna impose per passare a seconde nozze con lui, patti che salvaguardavano in qualche misura l'indipendenza bretone. Ma oramai i vincoli che legavano la Bretagna alla corona francese si facevano sempre più stretti: la figlia di Anna e di Luigi XII, Claudia (1514-24), duchessa di Bretagna, per la solita politica, fu presa in moglie da Francesco d'Angoulême, che nel 1515 divenne re di Francia (v. francesco I). Così la Bretagna restava alla corona francese; alla morte di Claudia, anche le finzioni giuridiche che separavano la Bretagna dalla Francia cominciano a sparire. La Bretagna è concessa al Delfino e nel 1532 il re convoca a Vannes gli stati generali di Bretagna, che accettano l'annessione alla Francia, pur pretendendo che il Delfino, come duca di Bretagna, soggiorni a Rennes. Nel 1547 Enrico II, divenuto re, mantenne per sé anche il titolo di duca di Bretagna e nel 1570, risolte alcune questioni con le famiglie che vantavano qualche titolo al ducato, lo considerò del tutto parte integrante della Francia, con la quale da allora la Bretagna divise la sua storia, pur mantenendovi un carattere spiccato e particolare.

Il Parlamento, erettovi nel 1553, la Corte dei conti di Nantes e soprattutto gli stati provinciali mantennero alla Bretagna una forte autonomia, che si manifestò nel sec. XVIII con gl'incidenti fra il procuratore generale La Chalotais e il duca d'Aiguillon, e durante la rivoluzione con l'atteggiamento anticonvenzionale della popolazione dell'interno della penisola.

Bibl.: D. Morice, Histoire ecclés. et civile de Bretagne, voll. 7, Parigi 1742-56; Daru, Hist. de Bretagne, voll. 3, Parigi 1826; J. Delafaye-Bréhier, Histoire des ducs de Bretagne, Parigi 1851; A. Dupuy, Histoire de la réunion de la Bretagne à la France, voll. 2, Parigi 1880; J. Loth, L'émigration bretonne en Armorique, Parigi 1883; A. de La Borderie, La Bretagne des grands siècles du moyen âge, Rennes 1892, continuata (voll. IV-VI) da B. Pocquet, Rennes 1907-14; M. Marion, La Breatgne et le duc d'Aiguillon, Parigi 1898; Archives de Bretagne, volumi 16, Parigi 1883-1909; A. de La Borderie, Les origines bretonnes jusqu'à à l'an 938 de notre ère, Rennes 1903; E. Texier, Étude sur la cour ducale et les origines du Parlement de Bretagne, Rennes 1905; P. Aveneau de La Grancière, Le préhistorique et les époques gauloise, gallo-romaine et mérovingienne dans le centre de la Bretagne-Armorique, 1903; Ch. de Lalande de Calan, La Bretagne et les Bretons au XVI siècle, Rennes 1908; Ch. Le Goffic, La Bretagne et les pays celtiques, Parigi 1900-909; H. Sée, Les classes rurales en Bretagne du XVIe siècle à la Révolution, Parigi 1906; F. Lot, Mélanges d'hist. bretonne (VIe-XIe siècles), Parigi 1908; G. Mollat, Études et documents sur l'hist. de Bretagne (XIIIe-XVIe siècles), 1907; A. Travers, Armoricains et Bretons, Parigi 1912; F. Sagot, La Bretagne romaine, Parigi 1911; A. Raison du Cleuziou, La Bretagne, de l'origine à la réunion, 2ª ed., Saint-Brieuc 1914; B. A. Pocquet de Haut-Jussé, Le pape et les ducs de Bretagne, Parigi 1928.

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