Felsina, la Bologna invisibile degli etruschi: «Cancellata dalle epoche successive» | Corriere.it

Felsina, la Bologna invisibile degli etruschi: «Cancellata dalle epoche successive»

diMassimo Marino

Il libro di Giuseppe Sassatelli, professore emerito di Etruscologia e Antichità italiche dell’Alma Mater: «Città e capitale già dal X secolo a. C.»

C’è stata un’epoca – l’unica – in cui Bologna è stata una grande capitale. «Felsina princeps Etruriae» scriveva Plinio. Come un insieme di villaggi villanoviani tra il X e il IV secolo avanti Cristo diventi un’importante città, distesa tra il Ravone e l’Aposa, ai piedi del parco dove oggi sorge la facoltà di Ingegneria, lo spiega un libro innovativo di Giuseppe Sassatelli, professore emerito di Etruscologia e Antichità italiche dell’Alma Mater, ex preside della facoltà di Lettere, membro di numerosi comitati e istituti di ricerca. Il 17 maggio alle 18 in Salaborsa per la rassegna «Le voci dei libri» presenterà Bologna etrusca. La città «invisibile» (Bologna University Press, pagine 248, euro 25, con illustrazioni in bianco e nero e 21 tavole a colori), in dialogo con Giovanni Brizzi, emerito di Storia romana.

Professore, perché una città «invisibile»?
«Se gira per la Bologna di oggi non ne scorge traccia. Vede la città medievale, quella rinascimentale, quella di Rubbiani… Della Felsina etrusca rimane solo una tomba ai Giardini Margherita. Le fasi storiche succedutesi hanno cancellato le tracce di quella città».

Eppure, dalla costituzione del primo agglomerato proto-urbano, Felsina è stato un centro importante.
«Il libro mette in evidenza come a partire dal X, IX secolo, sia stata la capitale di un vasto territorio che andava dal fiume Enza fino almeno al Santerno e al Po. In quell’ampia zona ritroviamo resti che testimoniano una civiltà unitaria, caratterizzata dall’egemonia economica e culturale del capoluogo».

Se però Felsina è una città invisibile, come facciamo ad affermare la sua preminenza?
«Lo vediamo studiando i resti archeologici, i reperti materiali che testimoniano un’economia e un sistema di vita e di valori unitario. Per esempio, troviamo fino a Rubiera e a Imola la ceramica stampigliata, stampata sull’argilla molle, una tecnica caratteristica delle botteghe artigiane bolognesi».

Quasi tutti i reperti vengono dai sepolcreti, che sorgevano ai margini dell’abitato. La città dei morti illumina quella dei vivi?
«È proprio così. E ci racconta la sua fiorente economia agricola, la produzione artigianale, l’allevamento del bestiame, il ruolo avuto nei commerci».

La tesi innovativa che sostiene nel libro è che Felsina diventa città già dal X-IX secolo avanti Cristo.
«Sì: è già un agglomerato urbano paragonabile ai grandi centri etruschi tirrenici, Veio, Cerveteri, Tarquinia. Non è periferia del mondo etrusco e neppure una serie di villaggi villanoviani staccati, senza unità».

È presto un vivace centro economico.
«E soprattutto uno snodo commerciale. Accoglie il meglio della produzione mediterranea, come testimoniano ceramiche e bronzi. Produce, importa e smista manufatti verso il nord veneto e al di là delle Alpi. Ha la stessa funzione che le verrà riconosciuta in tempi successivi, di nevralgico centro di collegamenti e di commercio, oltre che capoluogo di una pianura fertile e produttiva».

Ci può guidare a visitare la città «invisibile» nel pieno della sua fioritura, nel VI secolo?
«Era già costituita di strade lastricate con case che vi addossavano ai lati. Fuori dall’abitato sorgevano i sepolcreti, con stele dedicate ai defunti, che spesso ne raffiguravano le funzioni o evocavano il viaggio nell’aldilà. Dai luoghi di sepoltura è facile desumere la vita cittadina, i rapporti sociali, le forme di governo. Le tombe non erano a tumulo come quelle tirreniche, ma scavate nella terra. Spesso vi troviamo incisi i nomi dei morti».

Dove si trovavano gli impianti produttivi?
«All’interno della città. Nella zona della chiesa di San Francesco, per esempio, è stato rinvenuto un doglio, un grande vaso, con moltissimi pezzi e oggetti di metallo: si trattava dell’officina di un fonditore. Altrove si ritrovano impianti per la lavorazione metallurgica e della ceramica».

L’agricoltura?
«In una prima fase si svolgeva all’interno delle mura, come sarà poi nel Medioevo. Ma dal VII secolo la produzione agricola si sposta nella pianura padana. Non bisogna dimenticare che gli Etruschi hanno avviato le bonifiche e sperimentato tecniche di rotazione delle coltivazioni ancora oggi in uso».

Quando Felsina diventa Bononia?
«Con i romani. Ma già nel IV secolo la città era stata assoggettata dai Galli. Non era stata distrutta: il rapporto tra le due popolazioni è sottile. I Galli conquistatori sono conquistati dagli Etruschi, dalla loro cultura, dalle loro capacità produttive, culturali. Non vogliono annientarli, ma sostituirli».

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6 maggio 2024