Bliss Recensione

Bliss: recensione del film con Owen Wilson e Salma Hayek

04 febbraio 2021
2.5 di 5

Scritto e diretto da Mike Cahill, regista di film come Another Earth e I Origin, Bliss è una riflessione sul rapporto tra realtà e illusione venata di thriller e romanticismo. Disponibile in streaming su Amazon Prime Video dal 4 febbraio.

Bliss: recensione del film con Owen Wilson e Salma Hayek

Bliss debutta in streaming su Amazon Prime Video più o meno negli stessi giorni in cui al Sudance Film Festival viene presentato A Glitch in the Matrix, documentario di Rodney Ascher sulla teoria per cui il mondo in cui tutti noi viviamo è in realtà una simulazione.
Curiosa coincidenza temporale, visto che nel film di Mike Cahill accade proprio che il protagonista Greg (interpretato da un Owen Wilson sempre un po' spaesato, anche più del solito) scopra che il suo mondo - quello in cui vive, fatica, lavora, ha divorziato e un rapporto difficile con i due figli; quello devastato da povertà, ingiustizie e discriminazioni che assomiglia così tanto al nostro - è, appunto, una simulazione.
A dirglielo è Isabel (Salma Hayek, sempre più formosa e sempre sopra le righe), una strana donna che in apparenza è quasi una barbona, ma che adduce a supporto della sua teoria una serie di evidenze. Bizzarre, ma che Greg, a dispetto dello scetticismo iniziale, non può che reputare valide.

Non ci sono le pillole rosse e blu di Matrix, ma non meglio specificati cristalli, gialli e blu, che vengono riempiti tecnologicamente di chissà che cosa: una delle tante domande che Bliss lascia senza risposta, probabilmente per semplificarsi la vita e non incartarsi troppo su sé stesso.
C'è il saltare dei due protagonisti da un mondo all'altro, e c'è la questione centrale di tutto il film: quale dei due sceglierà Greg? Il mondo distrato che Isabel dice essere una finzione, dove però c'è una figlia che lo ama e lo cerca disperatamente? O quello idilliaco, tutto eleganza e benessere, dove vive la vita dei suoi sogni nella casa dei suoi sogni con Isabel, che però è un peperino, e di cui lui, alla fine, non si ricorda mica tanto bene?
E quale dei due è veramente reale?

Mike Cahill, regista e sceneggiatore di Bliss, è quello che si è fatto notare esordendo con Another Earth, e che poi ha diretto I Origins, due dei film più citati quando si parla della nuova fantascienza esistenziale, fortemente venata di romanticismo, che si è andata affermando una volta entrati negli anni Duemila.
E anche Bliss, come gli altri due film, parte da premesse teoriche complesse e interessanti, anche dal punto di vista filosofico, che pian piano si vanno sciogliendo in mille rivoli nel contesto di un racconto che  si ancora sempre di più al sentimento, passando dalla razionalità scientifica all'irrazionalità del sentire emotivo.
Qui Cahill pone la questione di un mondo reale idilliaco che avrebbe bisogno di confrontarsi con uno simulato e incasinatissimo per potersi apprezzare, è buttata lì senza essere davvero sviluppata; così come quella di cosa sia davvero "reale": se una simulazione piena di vita e sentimento, sofferenza inclusa, o una realtà tanto perfetta da diventare priva di emozione.
All'opposto, si potrebbe leggere l'avventura di Greg come la sua fuga da una realtà troppo difficile, come un ragionamento metaforico sulla malattia mentale e sull'uso di sostanze psicotrope.

Carico delle sue ambizioni, il gioco di Cahill fa fatica a reggere. Se Bliss prende all'amo lo spettatore, all'inizio (le prime scene non sono niente male, e abbastanza intriganti, i suoi strattoni narrativi e le sue brusche evoluzioni, sempre gratuite, rischiano di continuo di fargli perdere la preda, ondeggiando tra ovvietà e momenti prevedibili. E, soprattutto, lasciando che il versante più propriamente thriller e romantico del suo film prenda il sopravvento e gli consenta di nascondere sotto il tappeto tutta una serie di riflessioni aperte, e mai davvero concluse.
Non basta chiamare un bar "Plato's Dive" o concedere un cammeo "virtuale" di Slavoj Žižek nei panni di sé stesso per darsi statuto filosofico; e aggrapparsi al genere come scialuppa di salvataggio per condurre il film in porto è una scelta che avrebbe funzionato solo se il genere, Cahill, lo sapesse fare meglio.
E alla fine, di Greg e di Isabel, e di cosa sia reale e cosa no, non t'importa mai più di tanto.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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