Judith Godrèche: “Nel cinema francese molti tentano di fermare il MeToo. Il cortometraggio l’ho fatto per mia figlia adolescente” - la Repubblica

Judith Godrèche: “Nel cinema francese molti tentano di fermare il MeToo. Il cortometraggio l’ho fatto per mia figlia adolescente”

Judith Godrèche: “Nel cinema francese molti tentano di fermare il MeToo. Il cortometraggio l’ho fatto per mia figlia adolescente”
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Parla l’attrice e regista che ha presentato “Moi Aussi” sulla Croisette

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CANNES - “Nel cinema francese c'è molta gente che spera rimanga tutto così. E' un sistema ancora patriarcale, come parte della società francese”. Judith Godrèche era un giovane lolita culto negli anni Novanta. Dopo una breve apparizione come figlia di Claudia Cardinale in “L'estate prossima” di Nadine Trintignant, era stata rivelata da Jacques Doillon (“La fille de 15 ans”) e Benoît Jacquot (“La Désenchantée”). I due film avevano avevano lo stesso fil rouge: una ragazzina che cade nelle braccia di uomini molto più maturi. “Fare cinema insieme è una buona copertura” si giustificava Jacquot a proposito della relazione avuta con l'attrice minorenne. Nel febbraio scorso, Godrèche ha denunciato Jacquot per “violenza sessuale” con l'aggravante della minore età, e Doillon, uno degli autori culto della Nouvelle Vague, per “abusi sessuali”. L'attrice, che ha avuto una lunga carriera negli Usa e ha diretto la serie tv per Arte, Icon of French cinema, ha risvegliato il MeToo in Francia con un coraggioso discorso pronunciato ai premi César e portando a Cannes “Moi Aussi”, il cortometraggio che ha girato con centinaia di vittime di abusi e violenze incontrate negli ultimi mesi. “In meno di quindici giorni mi hanno scritto più di cinquemila donne” racconta Godrèche. Vittime di violenze e abusi che si sono riconosciute nella sua testimonianza di “bambina violentata e sequestrata”, anche se gran parte non appartiene come lei allo scintillante mondo del cinema.

Quanto era importante portare questo film a Cannes?

“Molto, perché il cinema ha una funzione simbolica, quasi divina. Essere l'attrice protagonista di un film che va a Cannes ti dà uno status. E portare sulla Montée des Marches alcune delle donne che si sono rivolte a me è stato un modo di dare loro questo status. Vergogna, è la parola che ricorre più spesso nelle testimonianze di donne abusate”.

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Cosa ha provato quando ha ricevuto tutte queste testimonianze?

“Mi sono sentita investita di una grande responsabilità. Ho capito che molte mi chiedevano solo di essere ascoltate. In alcuni casi si è creato un legame immediato, condividendo esperienze dolorose ma trovando anche nuova forza nel non sentirsi più sole, nel far parte di qualcosa che purtroppo è universale”.

Come ha girato il film?

“E' stato fatto tutto in pochi giorni. Ho proposto un appuntamento in una strada di Parigi alle persone che mi avevamo scritto. Non era una convocazione né un casting. Ignoravo in quante sarebbero venute. Alla fine si sono presentate mille persone, tante donne ma anche uomini. Ho cercato di fare un film che parlasse di tutte e di tutti, intrecciando un coro di testimonianze. Vorrei che lo spettatore potesse pensare: sono io, potrei essere io”.

Com'è nato il gesto di coprirsi la bocca, che avete ripetuto sulla Montée des Marches?

“E' un'idea che ha avuto la coreografa del film. Volevamo un gesto infantile, che mima la paura di parlare e il silenzio imposto alle vittime. Durante le riprese però non abbiamo costretto nessuno a farlo. Chi l’ha fatto se n’è in qualche modo appropriato istintivamente. Non ho voluto nessuna messa in scena. Ho cercato di dare un senso di uguaglianza anziché imporre una gerarchia come si fa di solito nei set”.

In questo film appare sua figlia, Tess Barthélemy. Era importante che ci fosse anche lei?

"Ho impiegato anni a capire cosa mi era successo, come il mio destino fosse stato deviato, spezzato. Ho lasciato la scuola a 15 anni. Le storie che leggevamo, i film che vedevamo, tutto promuoveva questa immagine di lolita, di baby doll. Solo quando mia figlia è arrivata all'adolescenza ho capito davvero cosa mi fosse successo. Avevo navigato in un mondo senza regole né leggi. Dobbiamo dire alle giovani ragazze di stare attente. Si può finire nella trappola di una persona più potente, e l'arte è uno strumento estremamente forte per esercitare questo tipo di abusi".

Nel cinema francese c'è finalmente una presa di coscienza?

“Quando vedi che alla guida del Cnc (Centro nazionale del cinema, ndr.) c'è un uomo accusato di stupro dal suo figlioccio, mantenuto al suo posto come se fosse insostituibile, è naturale avere dubbi. Tante donne che hanno denunciato stupri in questo ambiente sono state sostituite, messe da parte. Il senso di ingiustizia c'è ancora, a tutti i livelli”.

Dal suo impegno è nata anche una commissione d'inchiesta parlamentare. Cosa si aspetta?

“Sempre più persone parlano ma bisogna che ci siano delle regole più severe sui set e anche più controlli. Non è facile, lo so. Il cinema è un ambiente piccolo, con un sistema feudale. Vedo che c'è anche chi cerca di delegittimare questo movimento. La storia delle liste di nomi di attori e produttori, circolata prima dell'apertura del festival di Cannes, era chiaramente un modo di screditare le vittime, di farle apparire come delatrici”.

Juliette Binoche ha fatto una lunga intervista per confidare quanto sia stato difficile all'inizio della sua carriera avere continue pressioni per girare solo scene di nudo. C’è una solidarietà tra voi attrici?

“E' complicato. Si parla spesso della 'famiglia del cinema'. Non credo sia un termine adatto. O forse serve a capire che, proprio come in una famiglia, è ancora più difficile ripensare le relazioni, chiedere a qualcuno di accusare o prendere le distanze da un fratello, un padre, uno zio. Molte persone hanno bisogno di tempo prima di parlare. Non voglio giudicare chi non se la sente. Abbiamo molti condizionamenti anche culturali, io stessa ho impiegato del tempo per decostruire quello che mi era successo. E poi in Francia c'è ancora quest'idea che l'artista è al di sopra della legge, è una grande differenza con gli Stati Uniti”.

Ha avuto l'impressione di essere stata sostenuta dal Festival?

“Diciamo che ho avuto quello che speravo, ovvero poter mostrare il mio film a più persone possibile e salire le Marches con un centinaio di donne, rendendole protagonista”.

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