La risaia della Marchesa Colombi - Club di Lettura "Se Una Notte.."

La risaia della Marchesa Colombi

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La risaia della Marchesa Colombi

La risaia della Marchesa Colombi

Nanna non le sapea le cose che si dicono gli innamorati; ma era certa che dovevano esser belle; al pensarci si commoveva come alla musica delle litanie. E poi, i piccoli urti col gomito, e le occhiate lunghe lunghe… Oh, quelle le aveva vedute spesso tra amanti.

Marchesa Colombi, In risaia

In risaia, di Maria Antonietta Torriani (Novara, 1840 – Torino, 1920), meglio conosciuta come La Marchesa Colombi, narra la storia di Nanna, una giovane contadina: per comprarsi gli spilloni d’argento necessari a sposarsi, la ragazza va a lavorare come mondina nelle risaie del novarese e qui contrae una malattia che cambierà il suo destino. Il breve romanzo, pubblicato nel 1878 come racconto di Natale, pur presentando in modo realistico la condizione delle donne e in generale quella dei braccianti nel secondo ‘800, offre spunti morali: lo scopo implicito di una favola natalizia, come insegna Dickens, è infatti quello di trasmettere i buoni sentimenti associati alla festività cristiana, quindi anche nel racconto della Marchesa Colombi il bene finirà per prevalere sopra ogni cosa. Presentiamo qui alcuni brani che ritraggono Nanna all’inizio della sua esperienza come mondina: si osservano lo sforzo, la fatica prodotta dal lavoro duro, e allo stesso tempo i sogni della protagonista, un’adolescente il cui desiderio è quello di innamorarsi e fidanzarsi magari con Gaudenzio, un personaggio che tornerà ancora nel racconto.

Da In risaia

Il lunedí fino dalle sette del mattino il vasto piano della risaia era gremito di giornalieri. Le donne in gonnellina corta, coi piedi scalzi, ed una pezzuola a colori vivi sul capo; i giovani coi calzoni rimboccati, e la camicia bianca. Facevano delle belle macchiette; era una scena vivace, animata per chi la guardava dalla strada che costeggiava la risaia; ma gli attori sudavano a grosse
goccie. Nanna si provò a cantare, ma non le riescí. Lo sforzo di maneggiare la zappa e d’incidere il terreno, la faceva sussultar tutta di dentro ad ogni colpo.
— Non si può cantare — disse.
— No — rispose una delle fanciulle di Trecate, che lavorava accanto a lei. — Sai pure che zappando non si canta. Non hai mai provato a zappare?
— Sí; infatti non cantavo; ma non zappavo neppure tante ore cosí.
— È alla mondatura che si canta, ed anche alla mietitura — rispose la Teresa, la vicina di Nanna.
— Ora è triste il lavoro — sospirò la fanciulla.
— Sí, è triste; ma questa sera si ballerà sull’aia per inaugurare la zappatura
— Conosci Gaudenzio il carrettiere? — domandò ad un tratto Nanna, a cui l’idea di ballare aveva suggerita quella piú attraente di ballare con Gaudenzio.
— No, non lo conosco — disse Teresa.
— Ah! Quello è un ballerino! Va come l’olio.
— Ma qui non c’è.
— Può darsi che ci capiti. La mia mamma mi ha detto che, se avrà da fare dei trasporti da queste parti, lo manderà qui a portarmi qualche cosa da mangiare col pane. Allora lo vedrai.
— È il tuo innamorato?
— Oh no! Non ho ancora l’argento. — E Nanna si sentí tutto il sangue salire al viso a quella domanda della compagna; ma non poté arrossire di piú. Lo sforzo del lavoro le aveva infiammate le guancie come due belle foglie di peonia. Lasciò quel discorso e continuò a lavorare in silenzio. Ma la giornata non le parve troppo gravosa, e passò lesta assai. Essere l’innamorata di Gaudenzio! Era un tema su cui c’era un’infinità di motivi da ricamare; tornare insieme dai vespri la domenica, ed andare adagio lungo la via, uno accanto all’altro, e dirsi tante cose… Nanna non le sapea le cose che si dicono gli innamorati; ma era certa che dovevano esser belle; al pensarci si commoveva come alla musica delle litanie. E poi, i piccoli urti col gomito, e le occhiate lunghe lunghe… Oh, quelle le aveva vedute spesso tra amanti.
La sera però, malgrado la compagnia di quei pensieri belli che le avevano alleviato il lavoro, Nanna era stanca a morte, e disse:
— Io non ho voglia di danzare. Starò a vedere gli altri — e andò a sedere sulla trave dinanzi alla fattoria, mentre i giornalieri ballavano là davanti, sull’aja.
Tutt’intorno, sopra i terreni coltivati, si vedeva una nebbia fitta, bianca, sollevarsi fino all’altezza d’un uomo. Pareva che quelle pianure fumassero, o che fossero un vasto lago, ed il cortile ci stesse nel mezzo come un’isola. A distanza si sarebbe veduta la stessa nebbia, appena meno densa, avvolgere anche il cortile, e la casa, e l’organetto e le danzatrici. Infatti Nanna sentí un umidiccio penetrarla fino alle ossa; ed il freddo la prese tutta; aveva i brividi.
— Stanca o no, bisogna ballare — disse. — A star qui ferma il gelo mi va fino al midollo. E si mise a danzare colle compagne, che sudavano, ed ansimavano come soffietti.

Ulteriori notizie sul romanzo si trovano nell’articolo intitolato “In risaia: racconto di Natale della Marchesa Colombi“, in questo Blog.

Ludovica Valentini

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