Conte: “La destra sa che il ddl sul premierato deve cambiare o si schianterà sul referendum” - la Repubblica

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Conte: “La destra sa che il ddl sul premierato deve cambiare o si schianterà sul referendum”

Il presidente del M5S Giuseppe Conte

Il presidente del M5S Giuseppe Conte

 (ansa)

Il presidente del M5S: “Costituzionalizzati i ribaltoni, mortificato il ruolo del Parlamento e relegato a passacarte il capo dello Stato. Ci confronteremo con le opposizioni”

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Giuseppe Conte ha sperimentato due volte cosa significhi cadere in Parlamento per il venir meno di un pezzo della sua stessa maggioranza. Dovrebbe in teoria condividere la spinta verso la stabilità che Meloni ha posto alla base del progetto di riforma costituzionale. Ma il ddl Casellati «è la risposta sbagliata, un modello ibrido e confuso, un ircocervo che non esiste in nessun’altra nazione; distrugge l’equilibrio dei poteri e rende il capo dello Stato nient’altro che un passacarte». Per questo il leader del M5S confida ancora che la maggioranza «si convinca a modificare in Parlamento» un progetto che non sta in piedi, altrimenti «si andrà a schiantare nel referendum confermativo».

Con le norme “anti-ribaltone” lei forse non sarebbe caduto per mano prima di Salvini e poi di Renzi. Su una cosa Meloni non ha torto: sono anni che si parla di come tutelare la stabilità del governo. Come le risponde?

«Innanzitutto questa norma non evita i ribaltoni, anzi per certi versi li “costituzionalizza”. Per il resto, dico che non Conte ma l’Italia si sarebbe giovata di un meccanismo intelligente come la sfiducia costruttiva: Salvini non avrebbe tenuto in ostaggio il Paese per velleità personali e colpi di testa estivi e Renzi non avrebbe potuto condurre le sue manovre di sabotaggio in piena pandemia. Ma ci sono meccanismi per rafforzare la figura del premier mantenendo l’equilibrio tra i vari organi costituzionali. Ad esempio potrebbe prendere solo lui la fiducia dal Parlamento, potrebbe promuovere la revoca dei ministri che non si rivelassero all’altezza, si possono prevedere molte cose».

In questo progetto, come ha detto Giuliano Amato a Repubblica, si prosciuga la figura di garanzia del capo dello Stato, accentrando tutto il potere sulla maggioranza e su chi la guida. Un salto nel vuoto?

«Questo è il punto più delicato. Solo apparentemente salvaguardano il ruolo del capo dello Stato, che in realtà viene degradato a una funzione meramente protocollare perché privato del potere di indicare il presidente del Consiglio e di sciogliere il Parlamento. Con poche norme stravolgono completamente l’attuale assetto costituzionale mortificando il ruolo del Parlamento e relegando il capo dello Stato a mero passacarte».

Oltretutto il Parlamento appare già ora mortificato, quasi inesistente. Con il record di decreti (quattro al mese) e il divieto ai parlamentari di maggioranza di presentare emendamenti alla legge di Bilancio, il Parlamento diventa un dipartimento di Palazzo Chigi. E c’è bisogno di dare al premier ancora più poteri?

«È vero, la decretazione di urgenza è invasiva e questo governo ne sta facendo un uso massiccio. Il problema di una razionalizzazione del procedimento normativo esiste e siamo disponibili a intervenire su singoli aspetti che si sono rivelati disfunzionali - si potrebbe contenere la decretazione d’urgenza e dare tempi certi di approvazione ai progetti che il governo ritiene essenziali per l’attuazione del suo programma - ma stravolgere il nostro sistema con un progetto così confuso significa esporre l’intero Paese a una pericolosa avventura».

Persino Marcello Pera, di FdI, su Il Sole 24 Ore critica il progetto. Perché il secondo premier previsto dalla norma “anti-ribaltone” avrebbe persino più poteri del primo…

«Esatto! Perché può ricattare il Parlamento determinando lo scioglimento delle Camere, un potere enorme che il primo premier non ha. Ho trovato l’intervento di Pera onesto intellettualmente. Confido che il governo non insisterà e vorrà far tesoro di tutti questi rilievi durante il confronto parlamentare per trovare insieme una riforma che possa rendere più funzionale il nostro sistema di governo senza stravolgerlo».

Altrimenti?

«Credo che il governo non si incaponirà in una prospettiva referendaria in cui sono convinto che Meloni rimarrà scornata. Quando gli italiani capiranno che la figura del capo dello Stato viene degradata e umiliata, respingeranno con forza questo progetto. Del resto ha visto anche lei come la premier ha messo le mani avanti, dicendo che l’esito del referendum costituzionale non influirà sulla durata del suo governo. Sanno che vanno a perdere».

Voi e il Pd fate proposte simili sul rafforzamento del premier ma senza l’elezione diretta. È possibile un raccordo tra le opposizioni?

«Ci confronteremo con le altre opposizioni per cercare di contrastare questo progetto ma, ripeto, confidiamo che ci possa essere la disponibilità della maggioranza a intervenire in modo più razionale e costruttivo».

L’altro aspetto pericoloso è il combinato disposto tra un premier che diventa capo assoluto e un’Italia fatta in pezzi con l’autonomia differenziata. Una spinta verso l’accentramento dei poteri mentre si lacera il tessuto del Paese…

«È il frutto del “pactum sceleris” tra FdI e Lega, cioè uno scambio tra loro a spese dell’equilibrio tra le istituzioni e tra le regioni. Perciò avremo regioni che già corrono e correranno sempre più e altre che già stentano e verranno sempre più emarginate: una follia! E non dimentichiamo una manovra economica che rende ancora più gravi le diseguaglianze, specie sulla Sanità».

Pensa anche lei che la riforma costituzionale sia un tema di distrazione rispetto a una manovra povera di risorse?

«È così. Quella approvata dal Consiglio dei ministri è una manovra asfittica e priva di coraggio. Per restare sulla sanità, per Meloni la salute non è un diritto per tutti ma un lusso per pochi. Servivano almeno 15 miliardi per mantenere la spesa sanitaria al 7% del Pil. Invece tagliano addirittura gli assegni pensionistici di migliaia di dipendenti pubblici, tra cui molti medici e infermieri».

La maggioranza loda molto la politica estera della premier e lo standing che avrebbe raggiunto a livello internazionale. Come stanno le cose?

«La telefonata con i comici russi è stata una figuraccia epocale, in cui Meloni confessa che gli altri leader non le rispondono neppure al telefono e sostiene posizioni ben diverse da quelle esposte in Parlamento. Ormai dobbiamo sperare in scabrosi scherzi telefonici per sapere qual è il suo vero pensiero sulla politica estera. Ci meritiamo un premier che abbia il coraggio di spingere gli alleati per negoziati di pace in Ucraina e in Israele».

Sembra ci sia un accordo tra il segretario di Stato Blinken e gli Stati arabi per un futuro di Gaza senza Hamas. Quali prospettive si aprono?

«Non mi pare che l’attivismo di Blinken al momento abbia prodotto nel mondo arabo la convergenza auspicata. Il rispetto del diritto umanitario internazionale è la bussola che può interrompere una spirale di odio e violenza senza fine. Bisogna tutelare la popolazione civile e porre fine a questa catastrofe umanitaria a Gaza. Israele deve ripiegare su azioni mirate contro Hamas, dare un segnale forte in Cisgiordania e lavorare in prospettiva per rafforzare l’Autorità nazionale palestinese».

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