Sofia Coppola: «Racconto le ragazze che diventano donne. Nessun altro momento è così ricco di ispirazione» | Corriere.it

Sofia Coppola: «Racconto le ragazze che diventano donne. Nessun altro momento è così ricco di ispirazione»

diStefania Ulivi

La regista premio Oscar torna con un film tratto dall’autobiografia di Priscilla, moglie di Elvis Presley: «Fu una sposa bambina, tutti allora hanno voluto credere alla favola. Ora che sono madre di un’adolescente capisco meglio cosa potevano desiderare davvero lei e i suoi genitori»

Sofia Coppola: «Racconto le ragazze che diventano donne. Nessun altro momento è così ricco di ispirazione»

La regista sul set di «Priscilla» con l’attrice Cailee Spaeny, che interpreta la parte della protagonista (foto Courtesy Everett Collection/Contrasto)

Romanzi di formazione di giovani fanciulle, chiuse in una bolla di cristallo, dove tutto sembra risplendere. Alla corte di Versailles come Marie Antoinette. O a quella di Elvis, a Graceland, come Priscilla. Adolescenti costantemente radiografate dallo sguardo altrui. Che Sofia Coppola prova a guardare sottraendosi a influenze e preconcetti. «Mi appassiona il racconto della ricerca di identità di ragazze che stanno diventando donne, che la trovano nelle scelte che fanno. Non penso che ci sia un altro momento della nostra vita in cui succede così tanto e che sia così ricco d’ispirazione.Mi interessano le storie e le limitazioni e le risposte delle persone a quelle limitazioni» racconta a 7 la regista, alla vigilia dell’uscita di Priscilla, (dal 27marzo con Vision), tratto dall’autobiografia Elvis and me, scritta da Priscilla Presley con Sandra Harmon.

«Prima di girare Priscilla mi ero posta il problema che potessero esserci delle somiglianze, ma nelle sue pagine ho trovato molti aspetti che ho sentito vicini. E la possibilità di raccontare, andando nel profondo, una donna della generazione di mia madre». Eleanor, documentarista e produttrice. Da cui lei, sempre chiamata a confrontarsi con l’eredità del padre regista, dice di aver preso lo sguardo, la capacità di osservazione e l’amore per il bello e la fotografia. Il film prende il via nel 1959 con l’incontro tra i due, in Germania, dove Presley faceva il servizio militare e il padre di lei era capitano della U.S. Air Force.

«PRISCILLA INCONTRÒ ELVIS CHE ANDAVA ANCORA A SCUOLA, DOVEVA ESSERE LA RAGAZZA DA SOGNO CHE NON SI LAMENTA MAI»

Elvis aveva 24 anni, Priscilla Ann Wagner Beaulieu, solo 14. Si sposarono il 1° maggio 1967, l’anno seguente nacque Lisa Marie. I due si separarono nel 1973, quattro anni prima della morte del cantante. Priscilla è stato in concorso a Venezia 80, dove Sofia è tornata dopo il Leone d’oro per Somewhere, la protagonista Cailee Spaeny ha vinto la Coppa Volpi. «Essere lì con imiei attori, Cailee che ha conquistato tutti con la sua performance e Jacob Elordi, è stato davvero un sogno. Non sai mai prima come saranno accolti i tuoi film, ogni volta hai paura dimostrarli come se fosse l’opera prima. Ero così fiera di accompagnarlo al festival, all’idea che avessero creduto in me».

Sofia Coppola: «Racconto le ragazze che diventano donne. Nessun altro momento è così ricco di ispirazione»

Al Lido c’era anche Priscilla Presley, si è commossa vedendo il film, ha voluto parlare con noi giornalisti. «È molto difficile sederti e guardare un film su di te, sulla tua vita, sulla tua storia d’amore. Elvis è stato l’amore della mia vita. Era lo stile di vita che era troppo difficile per me. Siamo rimasti legati, abbiamo avuto nostra figlia e ho fatto in modo che lui la vedesse tutto il tempo. È come se non ci fossimo mai lasciati», ha detto. Temeva la sua reazione?
«Ho sentito di avere una responsabilità verso di lei, si è fidata di me. E sì, è la generazione di mia madre, e la sua storia mi ha colpito. Avevamo parlato prima del film, uno scambio tra generazioni che penso sia stato fondamentale. E vederla commossa ha significato tanto per me. Certo, quando ha visto il film ero forse più nervosa di lei. Le è piaciuto, sono felice che si sia sentita rispettata. Ho cercato di mantenere il punto di vista di Priscilla, la cosa bella del libro è che puoi metterti nei suoi panni e farti portare indietro nel tempo, quando anche noi avevamo 14 anni. La dipingevano come la “sposa bambina di Elvis”, ma ho percepito un vissuto molto più interessante da raccontare. Ha sempre risposto con franchezza alle mie domande, mi ha colpito la sua disponibilità nel mettere in luce gli alti e bassi di una coppia come la loro».

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Elvis taglia la torta nuziale con Priscilla, il 1° maggio 1967 (foto Getty Images)

Leggendo il libro cosa l’ha convinta a farne un film?
«Ho pensato subito che la storia fosse interessante, un percorso di scoperta verso la femminilità, in prima persona. Pur essendo un personaggio pubblico c’erano molte cose che non sapevo. Per esempio, non avevo mai pensato che loro due si incontrarono quando lei andava ancora a scuola. Ho provato a immaginare quanto fosse difficile perché non poteva avere amici, non poteva portarli a casa. Il liceo è già un momento difficile, ho provato a immaginare cosa doveva dire per lei adattarsi ai ritmi di lui, stare sveglia tutta la notte, dover essere questa ragazza da sogno senza mai lamentarsi. Lei nel libro lo racconta in modo veramente toccante e inusuale».

Nel 2022 al cinema è arrivato Elvis di Baz Luhrmann con Austin Butler. Si è posta il problema di eventuali confronti?
«L’ho visto e penso che non ci sia il rischio, abbiamo fatto una cosa molto diversa, credo anzi che si completino l’uno con l’altro».

Il suo film non è solo il ritratto di Priscilla ma anche un modo, indiretto, di raccontare l’icona Elvis.
«Ho sempre pensato di mostrarlo tramite gli occhi di lei, far vedere la loro storia e la sua vita con lui, il loro matrimonio, tramite i suoi occhi, e provare ad avere empatia per tutti i personaggi e capirli, farli vedere come esseri umani. Mi piace sempre la storia vera dietro al mito, e penso che lui sia leggendario ma non conosciamo molto lei e della sua vita, la sua identità, come è cresciuta, chi lui voleva che fosse, la forza che lei ha dovuto avere per lasciarlo e trovare la propria identità».

Sofia Coppola: «Racconto le ragazze che diventano donne. Nessun altro momento è così ricco di ispirazione»

Cailee Spaeny (Priscilla Presley) e Jacob Elordi (Elvis) nella scena del matrimonio, nel film «Priscilla» di Sofia Coppola (foto Contrasto)

Incontrando Priscilla, che cosa l’ha stupita?
«Non riesco a pensare a una sorpresa, piuttosto a alcuni dettagli che mi hanno aiutato ad aggiungere elementi del ritratto».

«RACCONTARE QUESTA STORIA MI HA FATTO SENTIRE PIÙ VICINA A MIA MADRE ELEANOR, QUELLA È LA SUA GENERAZIONE»

Per esempio?
«Il racconto di quando andavano al cinema insieme, il fare la fila mentre lui diceva quanto desiderasse diventare un attore. Mi ha fatto capire quanto la sua frustrazione avesse toccato anche la loro relazione. Lei riesce a restituirci l’aspetto umano di una coppia diventata parte dell’immaginario popolare. Mi hanno colpito alcune piccole cose, come lei che descrive che si metteva le ciglia finte prima di andare all’ospedale, quest’idea così tipica delle donne di quell’epoca, di essere sempre in ordine, di pensare sempre a come presentarsi».

Lei è stata una sposa bambina, quando l’ha conosciuto aveva 14 anni, lui dieci di più. Era raro ma accettabile. Oggi non lo sarebbe.
«Sì, è quello che ho pensato. Sono stata molto colpita da quello che ha attraversato. Per anni nessuno sapeva nulla della sua versione della storia, che esperienze avesse avuto, nessuno sembrava interessato. Ci è si è limitati a credere alla favola. So ancora cosa voglia dire avere quell’età, ma ora sono una madre di un’adolescente e posso anche vedere la prospettiva del genitore, che è quello che serve in questo film, capire cosa vuole lei ma anche cosa volevano i genitori. Questo è stato fondamentale, vedere entrambi i lati».

Non è un classico biopic. Lei si concentra più sugli aspetti privati del rapporto Elvis&Priscilla.
«Volevo che fosse un ritratto intimo della sua esperienza a Graceland, come me l’aveva comunicata lei stessa». 

Come ha scelto gli attori?
«Sono stata molto felice che i produttori non mi abbiano fatto pressioni per avere delle star, volevo volti nuovi. Per Priscilla volevo una sola attrice, non volevo cambiare durante le riprese, mi serviva qualcuno che interpretasse con convinzione un personaggio dai 14 ai 29 anni. Il nome di Cailee me lo ha fatto Kristen Dunst: ci aveva lavorato, mi ha detto quanto fosse riuscita a fidarsi di lei. Quando l’ho conosciuta ho pensato che avesse la sensibilità e l’intelligenza necessarie per il ruolo, e che la sua faccia fosse credibile come adolescente. Da subito dopo il casting ho capito che lei poteva sembrare giovane e innocente ma sapevo che dato che era più grande, ora ha 25 anni, potesse reggere il passaggio all’età più adulta. Mi ha colpito la sua maturità, sapeva come reggere la parte, è stata capace di catturare questa cosa. Anche Jacob è stato un incontro felice. Neanche per lui era facile, interpretare Elvis può spaventare. Ha retto benissimo. E sta facendo un percorso bellissimo».

Sofia Coppola: «Racconto le ragazze che diventano donne. Nessun altro momento è così ricco di ispirazione»

Cailee Spaeny (Priscilla Presley) e Jacob Elordi (Elvis Presley) nel film Priscilla ( foto Everett Collection/Contrasto)

Avete dovuto ricostruire Graceland, vero?
«Sì, a Toronto. È stata una sfida perché non avevamo molti soldi. Le ricerche sono state molto accurate, hanno davvero ricreato tutto. È stato incredibile entrarci: mi ricordo la prima volta, l’emozione. Abbiamo costruito davvero la nostra Graceland». 

Una corte anche quella, una Versailles di Memphis.
«Un posto unico. È una cosa che amo dei film, che ti permettono di tornare indietro nel tempo, vivere vite di persone come non avresti potuto fare nella realtà, muoverti in luoghi leggendari. Questo è stato un altro viaggio nel tempo».

Tra le difficoltà anche quella relativa alla colonna sonora: la Presley Enterprises vi ha negato i diritti, non essendo un loro progetto. Che soluzione avete trovato?
«Con mio marito Thomas Mars e i suoi Phoenix abbiamo usato la musica per evocare l’epoca. Ci ha spinto a essere più creativi. Mi è piaciuto molto, abbiamo preso musica di quel periodo per provare a trovare un modo di collegarci. Per esempio, Baby I Love You dei Ramones sembra come una ninna nanna che senti un po’ distrattamente, come in una fiaba. E ha una connessione con il suono di quell’epoca».

«IL CAMMINO PER UNA REGISTA DONNA RESTA DIFFICILE, I FINANZIAMENTI VANNO PIÙ FACILMENTE AGLI UOMINI»

Il suo cinema è sempre molto personale, cosa ha messo di suo raccontando la vita di persone reali?
«Mi sono concentrata, come ho detto, sulla sua ricerca di identità, in cui tutti possiamo rifletterci: il primo innamoramento, il tentativo di essere ciò che pensi e non ciò che ti dicono di essere gli altri. Il fatto di diventare madre. Questa è stata la sfida più grande perme, perché dovevo essere creativa ma avevo la responsabilità di raccontare la storia in unamaniera che Priscilla sentisse che rispettavo la sua storia. Ho dovuto trovare un equilibrio, perché il libro copre periodi storici diversi, volevo fosse comprensibile e attuale».

Sofia Coppola: «Racconto le ragazze che diventano donne. Nessun altro momento è così ricco di ispirazione»

Bill Murray e Scarlett Johansson in una scena di «Lost in Translation» (2003), di Sofia Coppola

Il suo non è propriamente un biopic, ma è vero che ultimamente il cinema, anche d’autore, pesca sempre di più dalle vite dei personaggi conosciuti. Perché secondo lei?
«Non sono certa sia un fenomeno nuovo, penso che sia una tradizione, da molti anni: le storie delle persone vere sono sempre state materia viva per i registi. E per il pubblico». 

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Una scena de «Il giardino delle vergini suicide» ( 1999), che segnò il debutto di Sofia Coppola alla regia (webphoto)

In settembre era ancora in corso lo sciopero degli attori del Sag-Aftra, una vertenza molto lunga dopo quella degli sceneggiatori. Come vede la situazione adesso?
«Ero molto ottimista, ero sicura che avrebbero raggiunto un accordo che rispetta il lavoro creativo. Sono molto contenta che il sindacato stia lavorando per gli attori. Io mi preoccupo per le altre persone, le troupe, tutti quelli che lavorano sui set: i sarti, i trasporti, tutte le aree. Spero che siano riconosciuti i diritti di tutti i mestieri del cinema». 

Al Lido, Liliana Cavani ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera di Biennale Cinema, era la seconda donna a ottenerlo. Da regista trova che le donne continuino a fare fatica a trovare spazio e riconoscimenti?
«Penso che ci siano stati molti progressi da quando ho cominciato, ma il cammino resta difficile. Spero che ci sia sempre più equa rappresentazione anche se il cambiamento sta avvenendo troppo lentamente. È anche una questione economica. Confido che ci siano più finanziamenti per progetti diretti da donne». 

Che rapporto ha con il cinema italiano?
«Sono fiera di essere in parte italiana, e essere cresciuta con grandi registi, come Bertolucci, Fellini. E Lina Wertmuller, nuovi nomi come Alice Rohwacher. L’Italia ha una grande cultura di cinema, ogni volta che mi trovo alla Mostra di Venezia rinnovo il legame, lo respiro nell’aria». 

Sofia Coppola: «Racconto le ragazze che diventano donne. Nessun altro momento è così ricco di ispirazione»

Sofia Coppola sul set di Priscilla con Cailee Spaeny e Jacob Elordi, che interpretano rispettivamente Priscilla ed Elvis Presley (foto Courtesy Everett Collection/Contrasto )

«NON MI PIACE MOLTO RIVEDERE I FILM CHE HO DIRETTO, NEL CASO LO FACCIO PER LE MIE FIGLIE, MA SOLO SE ME LO CHIEDONO»

Nella costruzione di un film a quale fase si appassiona di più?
«È difficile sceglierne uno solo di tutti i gradini, è difficile dirne solo uno. Ma mi piace molto il montaggio, quando metti tutto insieme, metti la musica e vedi se funziona. Sono tutte sfide. E mi piace collaborare sul set, con il mio dipartimento artistico, i costumi, le scenografie, il rapporto con il mio direttore della fotografia». 

Ama rivedere i suoi film?
«Non molto, a volte se li passano in tv ne vedo un pezzo. L’anno scorso per la prima volta ho provato a fare vedere a mia figlia Lost in translation, è stato divertente! Non mi capita spesso, a volte lo faccio per le mie figlie. Seme lo chiedono».

Lei ha avuto una breve esperienza da attrice con suo padre. Ha lavorato con diversi attori di cui ha seguito il percorso negli anni: Kirsten Dunst, Scarlett Johansson, Elle Fanning, ora Cailee Spaeny e Jacob Elordi. Si considera una sorta di mentore o guida per loro?
«Amo lavorare con gli attori, cerco lo scambio. Mi piace che esprimano quello che hanno, sé stessi. Credo che i registi in qualche modo amino sempre i loro attori, serve fiducia per affidare loro le nostre storie, ma la fiducia deve essere reciproca. Qui tutto ruota attorno a Cailee e Jacob, sono loro due a doverci fare entrare nel loro mondo. È un lavoro che si fa insieme, li vedo come i miei collaboratori».

Il suo è un cinema empatico ma non sentimentale. Riflette il suo modo di essere?
«Credo di sì. È difficile, perché mi piace mettere toni romantici, dolci, ma non mi piace risultare sdolcinata. Cerco sempre un equilibrio, chiedo sempre al mio direttore della fotografia: è troppo?». 

La sua canzone preferita di Elvis Presley?
«Una che amo e che non conoscevo prima che la ascoltassimo è Pocketful of Rainbows. La amo davvero, e non la conoscevo, ma poi mio marito me l’ha fatta sentire mentre stavamo cercando musica dell’epoca. E mi ha conquistato. È molto romantica. Questo sì».

Pochi mesi fa ha pubblicato un libro Sofia Coppola Archive: 1999-2023. Vuole essere un bilancio del suo lavoro?
«È una specie di albumi di ritagli, di sguardo all’indietro sul mio lavoro negli anni. E un tributo a collaboratori e fotografi che mi hanno influenzato, che mi piaceva condividere».

 Prossimo passo?
«Non so ancora. Nessuna certezza».

15 marzo 2024 ( modifica il 15 marzo 2024 | 08:53)