Marina Terragni: "C’è il desiderio di cancellare le donne, il loro corpo, la loro differenza" - HuffPost Italia

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Marina Terragni: "C’è il desiderio di cancellare le donne, il loro corpo, la loro differenza"

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Marina Terragni mi corregge subito: “Non sono una femminista storica, sono una femminista e basta”. Da parecchio tempo prima che la materia diventasse d’attualità in Italia con il ddl Zan, Terragni – che è una scrittrice, e una docente di filosofia a contratto – si occupa della questione più controversa del mondo femminista occidentale, l’identità di genere: un concetto che ha diviso le femministe in due, quelle che ritengono che la categoria di donna debba essere ripensata ed estesa fino a includere anche le persone che non sono nate biologicamente donne (come le trans) e chi, invece, pensa che non si possa essere donne a prescindere completamente dal corpo, negando la realtà biologica.

“Anche in Spagna”, racconta Terragni, “si sta discutendo una proposta di legge secondo la quale chiunque può autodichiarare la propria identità di genere, cioè dire di essere maschio oppure femmina, indipendentemente dal proprio sesso di nascita. In Italia, non c’è nemmeno una discussione vera sul punto. La questione è stata introdotta surrettiziamente in un disegno di legge, quello dell’onorevole Zan, che ha come obiettivo il contrasto alla violenza contro gli omosessuali e i transessuali, su cui nessuno ha niente da ridire, ci mancherebbe; mentre c’è molto da dire sull’identità di genere, non ultimo che io non sono un genere, ma sono una donna. Perché, in Italia, non se ne può parlare apertamente?”.

Il concetto di identità di genere venne coniato negli anni novanta dalla filosofa statunitense Judith Butler nel saggio Gender Troubles, nel quale sosteneva non solo che il genere è costruito dalla norma sociale, ma che non esiste alcun sesso biologico preesistente al genere, ovvero che anche il sesso (maschio, femmina) è una costruzione sociale. La disputa potrebbe sembrare accademica se non fosse che, soprattutto in America, l’adesione o meno a queste teorie è alla base di una guerra culturale che ha prodotto sputtanamenti, licenziamenti, emarginazioni. “La novità”, racconta Terragni, “è che anche in Italia l’intolleranza sta attecchendo”.

Tre settimane fa, la scrittrice americana Rebecca Solnit ha rifiutato di farsi intervistare da Marina Terragni al Festival della Letteratura di Mantova: “Ha preteso di leggere preventivamente le domande che volevo porle e, ritenendole transfobiche, ha messo il veto su di me”.

Erano domande provocatorie?

Erano buone domande, e quasi tutte sull’America di oggi.

Mi pare sia la prima volta che in Italia succede una cosa del genere.

No, si sbaglia.

Era già successo?

È successo che, per alcune delle idee che ho, volevano cacciarmi dall’Università. Ora posso finalmente dirlo.

Ma scherza? Quando è successo? Dove?

Durante quest’anno accademico era previsto che tenessi un corso di Filosofia ed etica della comunicazione in un master dell’Università Iuav di Venezia, tutt’altra materia rispetto alle questioni femministe. Eppure, quindici giorni prima che iniziasse l’insegnamento, Maria Luisa Frisa, che dirige il corso di laurea, mi chiamò per invitarmi a rinunciare all’incarico, perché, mi disse: “Certe tue idee sono sgradite a me e agli studenti”.

E lei?

Le dissi che se lo scordava, e che se voleva cacciarmi dall’Università si sarebbe dovuta assumere la responsabilità, rescindendo il contratto unilateralmente con una lettera in cui spiegava quali delle mie idee erano incompatibili con l’insegnamento e perché.

Non lo fece, immagino.

No, ma in compenso ho scritto io, ora che è finito il mio corso: una lettera al Rettore dell’Ateneo in cui racconto i fatti che sono accaduti. Vedremo il seguito. Intanto, per la prima volta, ne parlo.

Però in America si perde il posto, per queste cose: non si viene invitati ad andarsene.

Ma si rende conto della pressione che si subisce? Io non vivo grazie all’incarico universitario, ho altre fonti di reddito. Ma chi ha solo quello come può resistere alle pressioni? È ovvio: per proteggersi, si adeguerà alle idee che sono ritenute accettabili. Capisce o no che è un’autostrada per il conformismo, questa? Le assicuro che, anche in Italia, ci sono docenti che non dicono quello che pensano veramente per paura di essere presi di mira. Non è un problema mio: è un problema di libertà d’insegnamento e di pensiero.

Ma credo che, se l’avessero fatta fuori, non l’avrebbero passata liscia.

Ah, certamente: l’avrei fatto uscire sui giornali.

E credo anche che i giornali l’avrebbero difesa.

E meno male che, in Italia, e in Europa, ci si scandalizza ancora di fronte ai bavagli. Credo che il punto sia proprio questo: di fronte alla minaccia che arriva dall’altra parte dell’Occidente, l’Europa deve diventare il continente del libero pensiero, la patria del free speech, lo considero il suo compito storico.

Perché, secondo lei, è stata accusata di transfobia?

Perché è un trucco che funziona bene nello squalificare le critiche. Dici fobico e, improvvisamente, un’argomentazione diventa il frutto di una paura irrazionale e incontenibile.

Non lo è?

Io transfobica? Ma che ne sanno. Negli anni ottanta, quando gli unici che si occupavano delle trans erano quei tre-quattro militanti radicali, mi sono battuta, accanto a Pina Bonanno, per costringere lo stato italiano ad accettare il cambio di sesso. Nacque così la legge 164 dell’82, grazie alla quale Pina si potè chiamare Pina, anziché Giuseppe, il nome che aveva alla nascita.

Oggi cos’è cambiato?

Che si rivendica il diritto unilaterale di proclamarsi donna oppure uomo al di là di qualsiasi percorso, chirurgico, farmacologico e anche amministrativo. Io autocertifico la mia identità sessuale e pretendo che la comunità lo riconosca, senza fiatare.

E qual è il problema?

Che così si intacca la dimensione simbolica dell’umano. Il maschile e il femminile riguardano l’intera civiltà umana, non soltanto il singolo individuo. Per questo, non è sufficiente un’autocertificazione ed è necessario, invece, un percorso che tenga conto dei diritti del singolo e di quelli della comunità.

Ma perché non si può discutere anche il simbolico umano?

Perché il maschile e il femminile sono radicati nei corpi. Non sono discorsi campati in aria. La binarietà sessuale – maschio, femmina – è un dato incontrovertibile. Nessuna teoria può sovvertire questo dato di fatto.

Sta dicendo che la biologia conta più della cultura?

Sto dicendo che ogni volta che nella storia è stata negata la realtà del corpo, le donne l’hanno pagata cara. Carla Lonzi ha scritto Sputiamo su Hegel per contestare l’idealismo con il quale il patriarcato ha sottomesso le donne. Ora ci risiamo: in maniera nuova e diversa. Per essere donna, si pretende che basti proclamarsi tale. Non lo vede anche lei cosa c’è sotto? C’è il desiderio di cancellare le donne, il loro corpo, la loro differenza.

A che pro, scusi?

Sigmund Freud per tutta la vita cercò di venire a capo dell’enigma femminile e si immaginò che le donne provassero invidia per il corpo degli uomini, la cosiddetta invidia del pene, un sentimento che nessuna donna che ho conosciuto ha mai provato in vita sua.

E invece?

E invece, se c’è un invidia, è l’invidia che provano gli uomini per la capacità procreativa delle donne.

Donna uguale madre?

Non ho detto questo.

Allora cosa vuole dire?

Glielo dico con una definizione di Luisa Muraro.

Prego.

La donna è un essere umano che può essere madre. Sottolineo può, non deve. Ecco il potere che gli uomini invidiano alle donne: il potere di generare, un potere che nessuna tecnica, per quanto mirabolante sia, è ancora riuscita ad attribuire a un uomo.

Sa bene che c’è chi le contesterebbe questa frase.

Certo, si sono state delle donne che hanno fatto un percorso di transizione verso il maschile e poi hanno partorito: ma non è l’uomo che ha partorito, è il loro corpo femminile, il loro sesso rimasto intatto nonostante il cambio. Mi sembra difficile negarlo.

Chi vuole negare le donne, secondo lei?

Il nuovo linguaggio dell’inclusione, per esempio. Prenda Lancet, uno dei giornali scientifici più prestigiosi al mondo. Anziché donne, ha scritto ‘corpi con vagina’. Ha cioè raso al suolo più della metà della popolazione mondiale per non discriminare una piccola minoranza di persone.

Anche lei contro il politicamente corretto?

Ma lasci stare ora il politicamente corretto: lei ha mai letto ‘corpi con prostata’?

No, non ancora.

Ecco spiegata cos’è la cancellazione delle donne.

Judith Butler, invece, dice estendiamo la categoria di donne fino a includere anche le donne trans.

Vogliamo parlare di fatti?

Parliamo di fatti.

In tutto il tempo che ho militato nel femminismo italiano, e sto parlando ormai di qualche decennio, avrò visto una sola trans chiedere di partecipare alle nostre riunioni. Naturalmente, accolta. Dacché deduco che alle altre non interessi molto il femminismo.

Per lei cos’è, il femminismo?

È anche una lotta contro tutti gli stereotipi: a partire da quelle storie secondo cui la femmina deve giocare con le bambole e il maschio a calcio. Oggi, invece, osservo un preoccupante movimento contrario: l’adeguamento chirurgico allo stereotipo. Tu sei maschio e ti piacciono le Barbie? Intorno a te qualcuno si chiederà se non sei nato nel corpo sbagliato. Anche perché, in alcuni casi (bisogna dire anche questo), è più facile accettare il presunto ‘sbaglio’ naturale che l’omosessualità.

Non la sta facendo troppo facile?

Sa quante madri mi chiamano disperate perché non sanno cosa fare con i propri figli, anzi figlie? Oggi otto transizioni su dieci sono di ragazze.

Come lo spiega?

Con il fatto che il mondo è molto cambiato, ma essere donne continua a essere difficile.

Mi pare ci sia nel suo discorso un sottotesto.

Quale?

Che i maschi temono le donne.

È così, infatti.

Ma cosa temono precisamente secondo lei?

Una volta ho condotto un piccolo sondaggio sui miei amici maschi. Ho domandato: “Che cos’è per te la virilità?”. La risposta che ho trovato più esatta è stata: “Controllo”.

Perché esatta?

Perché i maschi sono terrorizzati dalla libertà femminile. La vivono come una minaccia alla vostra esistenza. Nel mondo islamico, per esempio, si evoca una rovinosa epoca pre-maomettana nella quale le donne non avevano freni, giravano nude per strada, facevano sesso liberamente: è il simbolo di cosa può succedere se non si tengono a bada le donne, la distruzione della civiltà.

Noi maschi, però, non siamo tutti talebani.

Ma anche nelle fantasia di voi maschi occidentali c’è l’incubo della donna sessualmente vorace, incontenibile, incontentabile, un incubo radicato anche nel fatto che la donna può ripetere più volte l’atto sessuale, mentre l’uomo no.

Questo ci avvicina ai talebani?

La radice dell’ansia di controllo è la stessa, per un talebano e per un maschio occidentale. Quello che cambia è la gradazione di quest’ansia: violenta per un talebano, sorvegliata per una maschio europeo come lei.

Ah ecco, questo mi solleva.

O, almeno, mi auguro che sia così.

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