Crimes of the future: un noir distopico firmato David Cronenberg

Crimes of the future recensione del film

Dopo otto anni di assenza e dopo aver calcato il red carpet di Cannes 2022, David Cronenberg torna al cinema con il suo secondo Crimes of the future. Nonostante riprenda il titolo di un precedente lungometraggio datato 1970, non si tratta di una riproposizione in chiave moderna del suo precedente lavoro, ma di un richiamo simbolico a quel microcosmo body horror che l’ha reso celebre. Un ritorno a un’estetica viscerale fatta di corpi in movimento e in mutamento che mancava dai tempi di eXistenZ, attraverrso i quali il regista canadese continua a interrogarsi sui cambiamenti del nostro presente, dando uno sguardo sul futuro. Con la sua più recente e allegorica visione, Cronenberg ci mostra un domani cupo e crudo con nuove dinamiche sociali. Un futuro in cui è in atto una rivoluzione dei corpi e delle menti, che porterà l’essere umano alla disperata ricerca di nuove forme di piacere e d’intrattenimento. Un percorso che avrà come tappa ultima, ancora una volta, lo scontro tra l’uomo e la propria natura mortale, nell’accettazione del peccato e dei nuovi crimini dei quali andrà inevitabilmente macchiarsi.

La chirurgia è il nuovo sesso

In un fatiscente futuro, il genere umano ha quasi perso completamente la sensibilità corporea, diventando incapace di provare dolore. Senza più sofferenza fisica e senza più il rischio di contrarre infezioni, parte della popolazione è attratta dal piacere estremo di tagliarsi, aprirsi per poi ricucirsi, sottoponendosi anche alle più disparate operazioni chirurgiche per ridefinire la propria immagine di sé, diventando simultaneamente essere umano e opera d’arte.

In questo contesto, Saul Tenser (Viggo Mortensen) è famoso in tutto il mondo per la capacità del suo corpo di sviluppare autonomamente nuovi organi, apparentemente privi di una funzione. Definiti come veri e propri tumori, Saul si sottopone a spettacoli d’estrazione degli stessi con l’artista e amante Caprice (Lea Seydoux). La coppia si rivolge alla National Organ Registry per registrare i precedenti organi estratti, facendo la conoscenza della nervosa Timlin (Kristen Stewart). Il protagonista percepisce però un cambiamento inarrestabile dentro di sé, e questa sensazione lo porterà a prendere strade nuove, ritrovandosi invischiato in un intrigo che vede al centro l’omicidio di un bambino “diverso”.

Un film da sentire sotto la pelle

Non sono passati nemmeno tre anni da Venezia 76 dove, senza alcun cedimento, David Cronenberg dichiarava di “avere chiuso con il cinema” e di non avere alcuna nostalgia dei bei tempi dietro la macchina da presa. Fortunatamente, l’autore canadese è tornato sui suoi passi e, nel suo ultimo lungometraggio, sembra che si lasci anche andare a un’ammisione di colpevolezza per le precedenti dichiarazioni. Non è un caso che il nuovo alter-ego del maestro del body horror sia al tempo stesso tela e artista della body art. Stanco e pieno di cicatrici che simboleggiano la nascita di vecchie opere, Saul Tenser inizia a provare un sentimento nuovo. Nel profondo, vorrebbe tenere dentro di sé questi nuovi organi senza funzione, senza eclatanti spettacoli di condivisione ma semplicemente per la curiosità di sapere quello che potrà accadere alla sua persona.

Eccezionale è la performance di Viggo Mortensen, rauco e abile nel simulare le problematiche corporee del suo personaggio che riesce a dare il meglio di sé quando è affiancato dalla straordinaria Lea Seydoux. Inizialmente castata per il ruolo di Timlin, l’attrice francese ha dichiarato di aver sentito immediatamente una connessione con il ruolo di Caprice, tanto da convincere il regista ad assegnarle la parte. Più lo spettatore andrà fondo della pellicola e più scoprirà che l’artista, nota per esibirsi sguarciando il corpo dell’amato che brama per essere dall’altra parte. L’idea stessa di eccedere ed esporsi addentrandosi all’interno del proprio corpo è un gesto rivoluzionario di riscoperta, in un futuro che vede l’umanità privata dal dolore, emotivamente vuota. Senza scopo o direzione, l’atto chirurgico diviene dunque erotico, sensoriale.

L’arte, l’artista, l’opera e il concetto stesso di natura umana sono alla base di questa narrazione in pieno stile Cronenberg che torna a interrogarsi sul futuro dell’essere umano, sempre più in simbiosi con l’artificio. Una fusione apparentemente inarrestabile, tanto che il prossimo step evolutivo, si scoprirà essere la naturale risposta del corpo al grande peccato ecologico dell’uomo contemporaneo. Un’ammissione di colpa difficile da confessare, che comporterebbe l’accettazione di un legame ormai indissolubile con la materia sintetica. Dopotutto, siamo ciò che mangiamo e quando l’apparato digerente autonomamente si adegua ad assorbire la plastica, il segnale del cambiamento è impossibile da tenere nascosto. Ed è proprio in questa direzione che vanno gli sforzi della Nuova Buoncostume: un’agenzia che si occupa di contrastare, arginare e insabbiare i cambiamenti della società del Domani. Un’organizzazione che ha soppiantato le autorità che oggi conosciamo e attraverso il quale l’autore ci porta a riflettere sul sentimento avverso dell’uomo nei confronti della novità, del diverso.

Crimini del futuro o del presente?

Ogni dialogo di Crimes of the future riporta inevitabilmente al nostro presente: fatto di filtri e alterazione, di chirurgie estetiche alla ricerca della perfezione e di una tecnologia sempre più pensata per essere il proseguimento del corpo dell’individuo. Tutto questo, nel disperato tentativo di non provare e di non trovarsi in una situazione dolorosa. Tuttavia, la percezione del dolore è un segnale di pericolo e di allarme che, più di qualsiasi altra cosa, ci tiene ancorati alla nostra forma umana. Privi di questa capacità volta alla sopravvivenza, l’indole umana è portata a ricercare artificiosamente questo sentimento, eccedendo, sottoponendosi consensualmente a situazioni estreme pur di provare un’emozione preziosa e naturale che diventa, in una parola, piacere.

Ciononostate, per quanto i temi siano forti e centrati, resta l’amaro in bocca per aver avuto soltanto un piccolo squarcio di questo interessentissimo distopico mondo del futuro. Infatti, quando la narrativa sembra pronta a esplodere, il lungometraggio giunge alla sua conclusione. Per quanto David Cronenberg sia un esteta nella sua estrema e cruda visione scenica, osservando i nostri protagonisti passare costantemente da una stanza all’altra, da un vicolo buio a un nuovo sotterraneo, si ha la percezione di non aver potuto godere pienamente di quanto il genio dell’autore aveva da offrire. La motivazione è da ricercarsi in un budget limitatissimo, dove tante (tantissime) piccole case di produzione, organizzazioni e fondi si sono fatte avanti per finanziare il progetto. Ne consegue un ritorno al body horror non così spettacolare in chiave visiva, privo di quegli effetti prostetici e quella genuinità che ha reso l’autore canadese il padre di questo genere.

Al termine della visione di questo capolavoro mancato, non resta dunque che interrogarsi se sia davvero questo il Nuovo Mondo che vogliamo. Un mondo dove uno dei più grandi esponenti della Storia del Cinema, nella sua poetica tanto disturbante quanto riflessiva, fatica a trovare i fondi necessari per realizzare il suo prossimo film. Un mondo che, per contro, ci sommerge giorno dopo giorno con produzioni multimilionarie di plastica, tanto patinate da essere vuote. Se è davvero questo il futuro che ci attende, questo sarà il crimine più grande, cinematograficamente parlando.

Michele Finardi

IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area Tecnica
Michele Finardi
Planner di salotti cinefili pop fin dalla tenera età, vorrei disperatamente vivere in un film ma non riesco a scegliere quale!
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